Commento al Vangelo: III Domenica del T.O. 2015 B

Gesù annuncia il regno di Dio

San Marco sintetizza i discorsi di Gesù Cristo in poche parole: È compiuto il tempo e si avvicina il regno di Dio; fate penitenza e credete al Vangelo. 

Egli mostrava che, secondo le profezie, era proprio quello il tempo nel quale doveva venire il Messia, e che, quindi, si avvicinava il regno di Dio, cioè la glorificazione di Dio nel cuore degli uomini e sulla terra. Con questo, risuscitava, nei cuori, la fede e la speranza nelle divine promesse, il desiderio di una vita migliore, condizione indispensabile per accogliere la grazia di Dio. Per questo soggiungeva: Fate penitenza, e credete al Vangelo. La penitenza era il rinnovamento interiore, nel rammarico di aver peccato, nel desiderio di riparare le proprie colpe, e nell’imposizione e nell’accettazione, liberamente fatta, di opere penose, in riparazione dei peccati.

La penitenza era il nuovo orientamento dell’anima al Signore, nel riconoscimento della divina Maestà, nell’umiliazione profonda al suo cospetto, nel desiderio di amarlo con tutto il cuore e sopra tutte le cose.

Lo spirito di vera penitenza

Gesù Cristo non predicava una penitenza esteriore, come quella dei farisei, ma voleva che l’anima si pentisse, si umiliasse, riparasse, e si presentasse al cospetto di Dio pura, fiduciosa, umile e confidente, vivendo una vita nuova. La penitenza corporale, del resto, non è tale se non in quanto produce o aiuta a produrre gli atti interni. Un rigore tutto materiale è fachirismo, non è amore; l’anima non punisce il corpo per mostrare in esso una forza di resistenza fisica, ma per contenerlo nei limiti, e aprire libero il varco allo spirito; non lo priva di un cibo per severità, ma perché sia minore il frastuono dei sensi, non lo percuote per sadismo, ma per scuotere attraverso la pena il torpore spirituale, e per unirsi alla Passione di Gesù Cristo; non gli inibisce la comunicazione col mondo per mancanza di gentilezza, ma proprio per non rendersi scortese col suo Signore. La penitenza è purificazione, ordine, disciplina dello spirito che produce nell’anima e nel medesimo tratto esterno una soavità gentilissima, facendo, per così dire, affiorare sul corpo stesso la luminosità interiore.

Era questa la penitenza che Gesù predicava, e perciò non impose ai suoi apostoli alcun rigore di vita, volendo che il loro cuore si formasse a mano a mano e si orientasse a Dio in una vita totalmente nuova. Egli esortava, pertanto, tutti a credere al Vangelo, cioè a prestare attenzione alla sua predicazione, e metterla in pratica, poiché, dalla sua parola, doveva venire l’indirizzo ad una vita nuova, e i suoi insegnamenti dovevano demolire tutto quello che di falso o di arbitrario gli scribi e i farisei avevano preteso aggiungere alla divina Parola.

Gesù chiama i primi apostoli

Quando Gesù predicava, la gente gli si affollava intorno, lo ascoltava, ne rimaneva più o meno commossa, secondo le proprie disposizioni; ma, presa dal vortice delle occupazioni terrene, difficilmente conservava nel cuore i suoi insegnamenti. Egli, perciò, credé necessario eleggere alcuni uomini, i quali, liberati dalle preoccupazioni temporali, avessero potuto seguirlo dovunque, raccogliere i suoi insegnamenti e trasmetterli agli altri. Egli non volse gli occhi ai sapienti, ai forti e ai grandi del mondo, ma a poveri pescatori, cioè a gente semplice, schietta, abituata ai pensieri del Cielo, perché dimorante nei pericoli del mare.

Dalle statistiche giudiziarie risulta che la classe dove è minore o quasi nullo il numero dei delitti, è proprio quella dei pescatori; Gesù, dunque, si rivolse a cuori sani per quanto ancora rozzi e difettosi, a cuori lontani dallo spirito del mondo, abituati alle silenziose solitudini marine, agli orizzonti vasti che dilatano l’anima in orizzonti più vasti. D’altra parte i pescatori erano abituati alle pazienti attese nel cercare il frutto della pesca, alle prudenti mosse nel difendersi dalle tempeste, alla costanza forte nel pericolo, ed Egli volle che queste belle qualità diventassero il carattere dei suoi apostoli; volle portare nel campo dello spirito le doti che un pescatore ha nel campo della vita naturale ed elesse, come pietre fondamentali dell’edificio che incominciava ad elevare, quattro pescatori.

La vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa

La vocazione di Dio è un mistero altissimo di grazia, è l’attrazione che Egli esercita personalmente su di un’anima, inducendola soavemente a seguirlo e a dargli la libera volontà e il libero consenso nei disegni che vuole sviluppare su di essa. È una luce interna che le fa vedere il cammino che deve percorrere, non solo come una via facile, ma anche come la propria via, la propria gioia, il proprio centro di vita.

Dio, chiamando, dà all’anima le disposizioni fondamentali della vocazione cui la elegge, e l’anima si sente disposta a quello che Egli le domanda, sebbene preveda asprezze o difficoltà nel suo cammino; non si sente solo affascinata, ma si sente convinta e persuasa, il che è sommamente importante; non obbedisce quasi ad un istinto cieco, ma segue una scia luminosa tracciatale da Dio, nella quale la ragione è profondamente illuminata; la vocazione, quindi, è tale placida luce interna che induce prontamente la volontà ad assentire alla divina volontà, e ad abbracciare i sacrifici che comporta il suo compimento.

Da questo, si capisce facilmente la natura delle false vocazioni a qualsiasi stato, determinate dall’insinuazione altrui, dall’illusione di trovare il proprio comodo, da calcoli d’interesse, o da fantasie fanciullesche, frutto più di volubilità di carattere che di mozioni interne. L’attrazione verso la forma particolare di vita, o di abito o di attività di un particolare stato può essere anche un segno della chiamata di Dio, o un’attrattiva che orienta l’anima verso la divina volontà, e la dispone alla sua chiamata.

«Venite: vi farò pescatori di uomini»

Gesù Cristo, passando lungo il lago di Genesaret, chiamato anche Mare di Galilea, vide Simone e suo fratello Andrea che gettavano le reti e, poco più avanti vide Giacomo e Giovanni che, insieme col padre e con i garzoni, rassettavano le reti. Questa circostanza c’induce a credere che, in quel giorno, avessero trovato difficoltà a pescare. Mentre, infatti, Simone e Andrea, di condizione meno agiata, gettavano le reti per tentare di nuovo di pescare qualche cosa, Giacomo, Giovanni e il loro padre Zebedeo, i quali, avendo dei garzoni con loro, dovevano essere più agiati, rassettavano le reti, avendo perso la speranza di prendere qualche pesce e non avendo bisogno d’insistere nel gettare le reti.

Gesù Cristo scelse questo momento di delusione, nel quale, psicologicamente, doveva sembrare più penosa la loro arte, e nel quale, quindi, era per essi più facile rinunciarvi. È naturale, infatti che, dopo una delusione sofferta in una speciale professione, si desideri abbandonarla, e che, offrendosi l’occasione di mutare stato, la si accolga come una liberazione.

I quattro apostoli avevano già sentito parlare di Gesù Cristo e lo avevano ascoltato; quando lo videro sulla riva con quella sua dolcissima maestà che li attraeva, illuminandoli, dopo aver visto poco proficua la loro professione che sarebbe stata, se remunerativa, l’unico vero ostacolo a seguirlo, non esitarono un momento e, abbandonato tutto, andarono dietro a Lui.

È evidente, dal contesto, che essi abbandonarono tutto non inconsideratamente, ma dovettero affidare a qualcuno la barca e le reti; Giacomo e Giovanni rimisero ogni arnese al padre che era con loro e ai garzoni, e Simone e Andrea forse affidarono tutto a loro; certo, san Pietro conservò poi la barca per uso del Maestro divino e, prima di darsi interamente all’apostolato, continuò, di quando in quando, a tratti, il suo mestiere; ma, nel momento della chiamata, tutti sentirono tale attrazione verso il Redentore che pensarono solo a seguirlo. Probabilmente non capirono il significato di quelle parole: Vi farò pescatori di uomini; ma capirono che era per loro una grazia e un onore grande seguire il Nazareno, la cui notorietà cresceva sempre più in mezzo al popolo.

Vi farò pescatori di uomini: essi che pescavano i pesci dando loro la morte, sottraendoli dal loro elemento di vita e spacciandoli poi come merce, dovevano pescare gli uomini, sottraendoli alla morte e donandoli a Dio come frutti d’amore. Dovevano allettarli con l’esca delle promesse soprannaturali, e far sì che, di loro libera volontà, fossero andati dal Signore; dovevano tirarli fuori dal mare del peccato e farli morire alla vecchia natura per rivivere nella grazia.

Vi farò pescatori di uomini: parola arcana che è stata il programma della vita della Chiesa in tutti i tempi, e lo sarà fino al termine dei secoli; essa getta sempre le sue reti con la predicazione, con l’apostolato e con la carità, e trae alla riva della vita eterna le anime; come il pescatore raccoglie nella rete i pesci buoni e cattivi, così anche la Chiesa raccoglie, nel suo seno, buoni e cattivi, e attende che il suo Re faccia poi la cernita nell’ultimo giorno.

 Don Dolindo Ruotolo, (Mc 1,14-20)

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