Deus non irridetur! Perché il monito di monsignor Viganò va preso molto sul serio.

L’intervista che monsignor Carlo Maria Viganò ha concesso a The Remnant, e che ho ripreso su Duc in altum nella versione italiana, contiene numerosi spunti di riflessione e alcuni punti fermi che vanno ribaditi.

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Incentrate sull’attuale situazione caratterizzata dalla pandemia del coronavirus, le considerazioni di monsignor Viganò partono da un dato decisivo per noi cattolici, un dato che non può essere mai trascurato: “La pandemia del coronavirus, come tutte le malattie e la stessa morte, sono una conseguenza del peccato originale”. Dopo la colpa di Adamo, malattia e morte sono entrate nel mondo “quale punizione per aver disobbedito a Dio”.

La redenzione portata a compimento con l’incarnazione, la passione, la morte e la risurrezione di Nostro Signore ha riscattato l’umanità dalla dannazione eterna, ma le conseguenze dell’antica caduta sono rimaste. “Il cattolico sa che la malattia, e quindi anche le epidemie, la sofferenza, la privazione dei propri cari, devono essere accettate con fede e umiltà anche in espiazione dei nostri peccati personali”. Ecco perché una sventura come la pandemia può e deve diventare “occasione preziosa per crescere nella fede e nella carità operosa”.

Il cattolico non può trascurare o, peggio, eliminare questa dimensione trascendente del male e della sofferenza. E, se entriamo in tale dimensione, facciamo i conti con una domanda inevitabile: Dio può punire?

Anche da parte di alti esponenti della gerarchia cattolica è arrivata in questi giorni una risposta netta: Dio non punisce. Ma è proprio così?

Monsignor Viganò in proposito è chiaro: “Un padre che non punisce dimostra di non amare il figlio, ma di disinteressarsi di lui”. Dio non punisce per il gusto di veder soffrire i suoi figli, ma manda segnali perché i figli possano correggersi e meritare l’eternità beata. E i segni sono tanto più espliciti quanto più i figli, con il loro comportamento, dimostrano di averne bisogno.

Occorre recuperare il concetto di peccato, che la Chiesa sembra aver messo nel dimenticatoio. E monsignor Viganò lo fa con espressioni forti: “I crimini di cui ognuno di noi si macchia davanti a Dio sono un colpo di martello sui chiodi che hanno trafitto le mani del nostro Redentore, un colpo di frusta che ha strappato la carne del suo santissimo corpo, uno sputo sul suo amorevole volto. Se avessimo dinanzi agli occhi questo pensiero, nessuno di noi oserebbe peccare. E chi ha peccato, non finirebbe di piangere per tutto il resto dei suoi giorni”.

A questo punto mi permetto di aggiungere che non è un caso che la Chiesa cattolica parli di peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Si tratta di peccati così gravi che Dio non può restare indifferente, non può non punirli. Ricordiamoli: sono l’omicidio volontario (dunque anche l’aborto), il peccato impuro contro natura, l’oppressione dei poveri e defraudare la giusta mercede agli operai.

Noi abbiamo trasformato alcuni di questi peccati (come l’aborto e le unioni omosessuali) in diritti e assistiamo, attraverso un sistema economico e finanziario fondato sulla speculazione e lo sfruttamento, a continue ingiustizie contro i più deboli. Dunque, davanti a tutto ciò, può Dio restare indifferente?

Anche gli Stati, come i singoli, peccano. Peccano quando non riconoscono Dio e impediscono alle persone di conseguire il bene spirituale. Quando impongono ai sudditi di accettare leggi contrarie alla morale naturale e alla fede cattolica. Anche la comunità ecclesiale pecca e dunque “non è esente dalle punizioni celesti”.

Lo sdegno del Signore è particolarmente forte verso chi, chiamato a essere testimone e custode, mette a repentaglio l’integrità della fede, la purezza della dottrina, la santità della morale, arrivando addirittura all’adorazione di un idolo pagano nella basilica di San Pietro, come è successo nel caso della famigerata pachamama.

Dice a questo proposito monsignor Viganò: “Urge chiedere perdono per il sacrilegio perpetrato nella basilica di San Pietro, riconsacrandola secondo le norme canoniche prima di celebrarvi nuovamente il Santo Sacrificio. E si dovrebbe parimenti indire una solenne processione penitenziale – anche di soli prelati, guidati dal papa – che implorino la misericordia di Dio su loro stessi e sul popolo. Sarebbe un gesto di umiltà autentica, che molti fedeli attendono, in riparazione delle colpe commesse”.

Circa la sospensione delle celebrazioni, monsignor Viganò parla di “grande sofferenza” e rileva: “In questi frangenti è sembrato che la gerarchia, a eccezione di rari casi, non abbia avuto alcuno scrupolo a chiudere le chiese e ad impedire la partecipazione dei fedeli al Santo Sacrificio della Messa. Ma questo atteggiamento da freddi burocrati, da esecutori della volontà del Principe, viene percepito ormai dalla maggior parte dei fedeli come un’inquietante mancanza di fede”.

Difficile poi non pensare che Dio abbia potuto rendere possibile questa situazione perché stanco della sciatteria e della mancanza di rispetto di tanti suoi ministri, perché troppo spesso oltraggiato dalle profanazioni del Santissimo Sacramento, perché indignato da liturgie assurde e prediche eretiche. Deus non irridetur, Dio non può essere irriso! Il monito di san Paolo è terribile e molto chiaro.

Attenzione poi, dice monsignor Viganò, alle norme emanate su confessione sacramentale e comunione eucaristica. Le dispense motivate dallo stato di pandemia non siano usate come precedente per estenderle all’uso comune. E le Messe trasmesse via streaming e in tv non diventino una scusa per legittimare la virtualizzazione del sacro. Come nell’ordine naturale non si può nutrire il corpo guardando l’immagine di un alimento, lo stesso avviene nell’ordine soprannaturale.

Termino con le forti parole di monsignor Viganò rivolte ai vertici della Chiesa: “È indispensabile e indifferibile una vera e propria conversione del papa, della gerarchia, dei vescovi e di tutto il clero, così come dei religiosi… Non possiamo permettere che il gregge che il divino Pastore ci ha affidato per governarlo, proteggerlo e condurlo alla salvezza eterna sia disperso da mercenari infedeli… I vescovi devono riprendere coscienza della propria autorità apostolica, che è personale, che non può essere delegata a soggetti intermedi come le Conferenze episcopali o i sinodi, i quali hanno snaturato l’esercizio del ministero apostolico, recando gravi danni alla costituzione divina della Chiesa come Cristo l’ha voluta. Basta sentieri sinodali, basta con una malintesa collegialità, basta con questo assurdo senso di inferiorità e cortigianeria verso il mondo; basta con l’uso ipocrita del dialogo al posto dell’annuncio intrepido del Vangelo; basta con gli insegnamenti di false dottrine e il timore di predicare la purezza e la santità di vita; basta con i silenzi pavidi davanti all’arroganza del Male. Basta con la copertura di ignobili scandali: basta con la menzogna, l’inganno e le vendette! La vita cristiana è una milizia, non una spensierata passeggiata verso il baratro. A ciascuno di noi, in ragione dell’ordine sacro che abbiamo ricevuto, Cristo chiede conto delle anime che abbiamo salvato e di quelle che abbiamo perduto per non averle ammonite e soccorse. Torniamo all’integrità della fede, alla santità dei costumi, al vero culto gradito a Dio. Conversione e penitenza, dunque, come ci esorta la Vergine Santissima, Madre della Chiesa. A Lei, tabernacolo dell’Altissimo, chiediamo di ispirare nei pastori questo eroico slancio per la salvezza della Chiesa e per il trionfo del suo Cuore Immacolato”.

Sì, è proprio vero e non dobbiamo dimenticarlo mai: Deus non irridetur!

Fonte: Aldo Maria Valli; radioromalibera.org

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