Paolo VI

paolo VI

Inizio 30.VI.1963 – Fine 6.VIII.1978

Quando fu eletto papa, il cardinale Giovan Battista Montini, ebbe a dire profeticamente: “Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa”. La sua acuta intelligenza gli fece intuire realisticamente, sin dal primo momento, il lato più pesante di una missione densa di incognite e di tribolazioni, che cadeva improvvisamente sulle sue spalle e che avrebbe messo a dura prova il suo carattere ed anche il suo fisico.

La famiglia, la gracile salute, il carattere
Il futuro papa, Giovan Battista Montini nacque a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 e alla nascita era talmente gracile e debole, che i medici che assistettero al parto, sentenziarono: “Durerà soltanto fino a domani”. I genitori Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, possedevano la villa di campagna a Concesio, dove avvenne il parto e dove trascorrevano l’estate, secondo l’usanza delle famiglie borghesi e benestanti di Brescia e dell’epoca.
Il bambino si riprese, ma crescerà stentatamente e malaticcio; come carattere prese soprattutto dalla madre, nobildonna delicata e gentile, piena d’amore per la sua famiglia, ma non espansiva, di poche carezze che manifestassero esteriormente questo affetto.
Il padre Giorgio era impegnato attivamente a rompere l’isolamento, in cui vennero a trovarsi i cattolici, dopo la proclamazione di Roma a capitale d’Italia; giovane avvocato era fautore di idee e lotte stimolanti contro l’anticlericalismo imperante; nel 1881 fu chiamato a dirigere il quotidiano cattolico “Il Cittadino di Brescia”, che guidò fino al 1912.
La passione per la stampa, le polemiche roventi ma sempre civili del padre, si trasmetteranno presto al figlio Giovan Battista, che dimostrò sempre una predilezione per lo scrivere, che faceva intravedere una futura carriera di scrittore o critico letterario. Crebbe all’ombra e sotto la guida del padre, che in quegli anni fu un gran suscitatore di iniziative cattoliche, come le “Leghe bianche” nelle campagne bresciane, l’Unione del Lavoro; il pensionato scolastico; fondatore di una Casa Editrice “La Scuola”; impegnato in cariche pubbliche; dirigente, per incarico del papa Benedetto XV di una Sezione dell’Azione Cattolica; deputato per tre legislature.
La casa dei Montini per anni vedrà la presenza di don Luigi Sturzo e Romolo Murri che insieme a Giorgio Montini saranno i fondatori del Partito Popolare Italiano, di estrazione cattolica, dal quale nel 1943 nascerà la Democrazia Cristiana; il giovane Giovan Battista assisteva alle discussioni e assimilava i concetti che poi elaborava nel suo studio; fra i frequentanti della casa c’era anche Alcide De Gasperi.
Bisogna dire che il futuro papa, ebbe sempre un carattere severo e malinconico, in contrasto al clima gioioso e di concordia della sua famiglia, allietata da tre figli Ludovico, Giovan Battista e Francesco e da tanti parenti della patriarcale famiglia, agiata e senza ristrettezze economiche.
Eppure su quest’adolescenza privilegiata del giovane Battista c’era come un incubo, la sua gracilità fisica; aveva febbre improvvisa che lo abbattevano, fu dato ad allevare per 14 mesi ad una coppia di contadini, ma il suo ritorno a Brescia continuò ad impensierire i medici per il suo sviluppo; certamente è da rintracciare in quel periodo infantile, caratterizzato da debolezza, i motivi della leggera nevrosi che impregnerà il suo temperamento nell’età adulta, con timidezza, ipersensibilità, una certa insicurezza e molte altre angosce che non riuscì mai a nascondere.

Gioventù, studi, sacerdozio
Alternò brevi periodi di studio negli Istituti dei Gesuiti, sempre interrotti per motivi di salute e proseguiti privatamente, ciò gli impedì di avere quei contatti così necessari con altri compagni di scuola. Ciò nonostante tentò di arruolarsi nella Prima Guerra Mondiale, ma naturalmente fu scartato, probabilmente fu una fiammata d’amor di Patria e idealistica, comune ai giovani dell’epoca.
Amante della velocità, la cui paura aveva vinto a forza di volontà; in una discesa folle sulla bici, accusò un malore che verrà diagnosticato come uno scompenso cardiaco, che se pur scomparendo nel tempo, gli vieterà comunque quei giochi che richiedevano qualche sforzo; tutto ciò aumentò la sua timidezza e il suo distacco, che nelle foto dell’epoca lo fanno apparire come invecchiato precocemente, pallido, magro, solo gli occhi brillano per una continua attenzione.
La vocazione al sacerdozio non fu folgorante, ma graduale, frequentando sacerdoti e respirando il clima religioso della sua famiglia. Ebbe come padre spirituale l’oratoriano padre Giulio Bevilacqua, con il quale instaurò un’amicizia profonda; da papa vorrà dimostrargli la sua gratitudine, creando il vecchio parroco bresciano, cardinale, nonostante il suo meravigliato rifiuto.
Frequentando da esterno il Seminario bresciano, sempre per i noti motivi di salute, con l’aggiunta di un lungo esaurimento nervoso; giunse ad essere ordinato sacerdote il 29 maggio 1920, dal vescovo di Brescia Gaggia. Certamente in questo cammino agevolato verso il sacerdozio, che a rigor di logica per la sua salute non avrebbe potuto raggiungere, ebbe un particolare riguardo essendo il figlio dell’impegnatissimo in campo cattolico avvocato Montini; e il vescovo decise per lui una destinazione per Roma; prima si laureò in cinque mesi, a Milano in Diritto Canonico, poi nell’autunno del 1920, il giovane sacerdote arrivò a Roma, alloggiando al Collegio Lombardo e si mise subito all’opera iscrivendosi alla ‘Gregoriana’ per la Teologia e contemporaneamente all’Università Statale, alla Facoltà di Lettere.

Nella Curia Romana, carriera, Assistente FUCI romana e Nazionale, formatore di futuri politici
Venne segnalato da un’influente deputato bresciano, che lo conosceva da ragazzo, al cardinale Segretario di Stato Gasparri e così Montini dopo poche settimane entrò nell’Accademia dei nobili ecclesiastici, passaggio necessario per tutti i diplomatici della Chiesa, dove s’impara la difficile arte di trattare con i potenti e curando i rapporti internazionali.
Nella Curia romana si distinse per la sua attenzione, la rapidità nell’apprendere lingue straniere e tecniche di governo, studiosissimo, attirò l’attenzione di mons. Pizzardo, incaricato per gli Affari Straordinari della Segreteria di Stato e quindi dopo un anno, divenne ‘minutante’ nell’importante ufficio posto al vertice della politica vaticana.
E nel giugno 1921 con pochi effetti personali e tanti libri si trasferì in Vaticano, a 24 anni, da dove uscirà trent’anni dopo, si laureò in Teologia, conseguì il Diploma dell’Accademia per la diplomazia, ma dovette lasciare la Statale e il suo desiderio di laurearsi in Lettere.
Fu chiamato il “pretino che non prende mai le ferie”, lavoratore instancabile, la sua scrivania era sempre piena di pratiche da sbrigare; ebbe come compagni, futuri monsignori, vescovi, cardinali, come Ottaviani, Tardini, Spellmann, Maglione, Tedeschini, ecc. Morto papa Benedetto XV nel 1922, salì al trono pontificio l’arcivescovo di Milano Achille Ratti, che prese il nome di Pio XI; sotto il suo pontificato cominciò l’ascesa nella Curia di Montini, che si fermerà solo al vertice.
Il cardinale Gasparri, suo superiore e protettore lo inviò per tre mesi a Parigi per approfondire gli studi, poi per quattro mesi alla segreteria del Nunzio di Polonia a Varsavia, ma il freddo del Nord lo fece ammalare sempre di più, quindi ritornò a Roma. Per il suo desiderio di un’esperienza pastorale, così necessaria per un prete, gli fu affidato il compito di Assistente spirituale del Circolo Universitario Cattolico di Roma.
Trascorsero così due anni di apostolato gioioso, oltre il suo lavoro in Curia; gli studenti lo chiamarono “don Gibiemme” e gli davano del tu, si può dire che scoperse la sua gioventù, con scampagnate ai castelli romani, l’organizzazione di giochi e corsi didattici, provocando le uniche risate spontanee della sua vita; in seguito al massimo sorriderà con un dolce, consenziente, a volte mesto sorriso, ma mai allegro.
Nel settembre del 1925, nel pieno del clamore della ‘Marcia su Roma’ fascista, papa Pio XI gli diede l’incarico di Assistente Nazionale della FUCI (Giovani universitari cattolici), carica che tenne dal 1926 al 1933, periodo difficile per la propensione del fascismo ad avere il controllo della gioventù, specie quella universitaria, tramite il GUF (gioventù universitari fascisti); in questo periodo egli lavora per raccogliere le migliori intelligenze cattoliche che escono dalle Università, per indicare le future mete politiche e sociali, fra loro vi furono Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Guido Carli.

Monsignore, collaboratore del Segretario di Stato, ‘Sostituto Affari Ordinari’
Intanto nella Curia continuava a salire di grado; nel 1934 era monsignore, quando morì il card. Gasparri, subentrandogli il romano cardinale Eugenio Pacelli e il nuovo Segretario di Stato nel riorganizzare i suoi collaboratori, chiamò Montini, che aveva già notato per le sue specifiche doti.
Li dividevano 20 anni di età, ma erano tanto affini, in pratica due aristocratici, la loro carriera nella Chiesa si era svolta tutta al di fuori della cura d’anime; entrambi dotati di suggestione mistica e dello stato di angoscia che prende le anime raffinate, quando devono decidere. Lasciata con rammarico la FUCI, Montini si dedicò con la dovuta passione ad essere collaboratore stretto del card. Pacelli e nel 1937 ad appena 40 anni, venne nominato “sostituto degli Affari Ordinari”, terzo gradino della gerarchia vaticana.
Nel contempo all’altro ufficio di “sostituto degli Affari Straordinari” venne chiamato il suo ex compagno ‘minutante’ Domenico Tardini; i due collaboratori di Pacelli si stimeranno sempre, ma non si ameranno mai; tanto erano diversi nel carattere; tradizionalista ed esuberante Tardini; aperto alle novità, ma prudente Montini.
La Curia per i 18 anni che vide il binomio Tardini – Montini, si divise in due fazioni che per molti divennero dei ‘conservatori’ e dei ‘progressisti’. Montini diventò l’ombra del cardinale Segretario di Stato, custode dei suoi segreti diplomatici ne curò la corrispondenza.

Braccio destro di papa Pio XII
Nel 1939 papa Pio XI morì quasi improvvisamente e Pacelli venne eletto papa con il nome di Pio XII, i due ‘sostituti’ rimasero al loro posto e il cardinale Luigi Maglione venne nominato Segretario di Stato, ma quando questi nel 1944 morì, papa Pacelli decise di non sostituirlo, lasciando la carica vacante; così i due ‘Sostituti’ divennero i numeri due della gerarchia vaticana.
Il pontificato di Pio XII, vide il grande sconvolgimento della Seconda Guerra Mondiale, che lo rese drammatico ed angosciante nel suo ministero pontificale; la Storia chiarirà in seguito la sua segreta opera di mediazione fra le parti, la salvezza di Roma, gli aiuti nascosti per ebrei e rifugiati politici, la Pontificia Opera di Assistenza, la rinascita politica, culturale, ed economica dell’Italia sconfitta e devastata.
E al suo fianco, discreto ma attivo, sempre nell’ombra, il suo Sostituto Montini che a suo nome agiva in tutti i campi, dall’organizzazione dei soccorsi nel neutrale Vaticano, all’opera diplomatica fra i contendenti, per colmo cattolici da ambo le parti.
Allo sfacelo della Seconda Guerra Mondiale, fece seguito la divisione del mondo in due blocchi: Occidente ed Oriente, democrazia e comunismo, Stati Uniti e Unione Sovietica, con in mezzo la vecchia e disastrata Europa; che si tramutò ben presto in una lotta fra il cristianesimo e l’ateismo; in Italia si visse con lo slogan “O Roma, o Mosca”.
Il Sostituto Montini, moderato per natura, fu in contrasto con il Presidente dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, che ligio alle disposizioni di Pio XII di cui era diventato il pupillo, cercò di organizzare i giovani d’A.C. in forma estremistica e di lotta aperta al comunismo; ormai in Vaticano egli era “Montini il progressista”.
Con 16 ore di lavoro al giorno organizzò l’Anno Santo del 1950; fondò le ACLI e la Pontificia Opera di Assistenza. Fu il braccio destro del papa, ricevé ogni tipo di personalità; era primo ministro e insieme ministro degli esteri, eppure Pio XII non lo elevò dal semplice grado gerarchico di monsignore; rimase pur essendo il numero due del Vaticano, un uomo modesto, sobrio, viveva in un semplice appartamento.
Nel Concistoro del 1953, il primo dopo molti anni, i nomi di Montini e Tardini non comparvero, pur essendo i più qualificati alla promozione cardinalizia e rimasero monsignori. La lotta fra ‘conservatori’ e ‘progressisti’ aveva avuto i suoi effetti; ma Montini impose il suo appoggio a De Gasperi nelle elezioni amministrative del 1952, il quale era allora inviso al Vaticano; i conservatori della Curia e lo stesso Pio XII, non perdonarono la sua scelta e il 3 novembre 1953 Montini fu allontanato, perché di questo si trattò, promovendolo nel contempo arcivescovo di Milano.

Arcivescovo di Milano
La consacrazione a vescovo fu celebrata dal decano dei Cardinali Tisserant, il papa ammalato, fece sentire la sua voce con un collegamento radiofonico nella Basilica di S. Pietro, che benediceva il “diletto figlio”, che era stato suo diretto collaboratore per tanti anni.
Il nuovo arcivescovo partì da Roma il 6 gennaio 1954 dopo 30 anni, per intraprendere nella grande diocesi ambrosiana, la sua nuova esperienza pastorale, qualità che mancava alla sua formazione di alto uomo di Chiesa, quindi anche se fu considerato da molti un esilio, alla fine fu un disegno della Provvidenza Divina.
Nella diocesi di S. Ambrogio, Montini trovò una situazione socio-politica in piena evoluzione, si era nel periodo della ricostruzione civile e industriale post-bellica e ogni giorno arrivavano treni carichi di immigrati dal Sud. L’angoscia di vedere una società che convulsamente, era tutta impegnata alla costruzione di un mondo profano e materiale, lo sconvolse al punto di essere tentato di abbandonare tutto.
Ma nel discorso d’insediamento, presenti tutte le componenti della società milanese, egli si dichiarò il pastore alla ricerca delle pecore smarrite, deludendo chi si aspettava di sentire il politico raffinato qual’era. In poco tempo riformò tutta la diocesi con piglio e metodi manageriali, ristrutturò il palazzo arcivescovile in abbandono; il suo attivismo attirò l’attenzione di tutto il mondo cattolico, che vide Milano come contraltare della Santa Sede.
In breve lasciò le vecchie abitudini della Curia romana, per assumere il ritmo di lavoro ed efficienza dei milanesi; girò da una fabbrica all’altra incontro al mondo del lavoro; convinse l’alta finanza della città a sostenere la costruzione di nuove chiese. Restò a Milano per otto anni e fino alla morte di Pio XII avvenuta il 9 ottobre 1958 a Castelgandolfo, rimase arcivescovo senza ricevere la dignità cardinalizia, com’era privilegio della diocesi di Milano.

Cardinale con Giovanni XXIII, diventa papa Paolo VI, il suo tormentato pontificato
Nel Conclave che seguì si avvertì l’ombra del grande assente, venne eletto papa Giovanni XXIII, l’anziano Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, il quale come suo primo scritto inviò una lettera all’arcivescovo di Milano per comunicargli la sua intenzione di nominarlo cardinale. In altre occasioni Giovanni XXIII disse: “Quel nostro caro figlio che sta a Milano, noi siamo qui a tenergli il posto” e lo mandò in giro per il mondo a rappresentarlo, gli fece conoscere ed approfondire non solo il mondo cristiano ma anche quello di altre religioni; proprio come un tirocinio per ogni futuro papa.
E così dopo il breve pontificato di papa Giovanni, il papa che aveva indetto il Concilio Ecumenico Vaticano II, alla sua morte avvenuta fra il compianto generale il 3 giugno 1963, nel successivo conclave il 21 giugno 1963, veniva eletto 265° successore di S. Pietro, Giovan Battista Montini, il gracile pretino di Brescia, con il nome di Paolo VI, aveva 66 anni.
Un compito pesantissimo per chiunque dopo il rivoluzionario pontificato di papa Giovanni, che aveva scosso dalle fondamenta la Chiesa, e che aveva cercato ciò che ci unisce, non ciò che ci divide. Toccò a lui di continuare il Concilio e portarlo a termine, ma il compito più immane fu quello di promulgare e attuare i decreti rivoluzionari per la Chiesa, che ne scaturirono, anche se per alcuni il suo pensiero capovolse alcuni dettati conciliari, come quello sul celibato dei preti.
Scrisse encicliche basilari per la dottrina della Chiesa, come l’”Ecclesiam suam”, la “Misterium fidei”, la “Populorum progressio”, l’”Humanae vitae”, quest’ultima sul controllo delle nascite e sulla ‘paternità responsabile’, che tante polemiche suscitò e che costrinse per la prima volta un papa a difendersi pubblicamente.
Dopo secoli fu il primo papa ad uscire dall’Italia e ad usare l’aereo; come prima tappa dei suoi futuri viaggi apostolici si recò in Palestina il 4 gennaio 1964, suscitando un delirio di entusiasmo nelle strette vie di Gerusalemme, rischiando di rimanere soffocato dalla folla. Incontrò il patriarca ortodosso Atenagora, dopo 14 secoli un papa e un patriarca si incontravano dopo lo scisma; nel 1967 andò ad Istanbul andando così incontro umilmente alla Chiesa d’Oriente.
Abolì stemmi, baldacchini, la tiara pontificia, i flabelli bizantini delle fastose cerimonie pontificie, la sedia gestatoria, le guardie nobili, i cortei di armigeri, il trono fu sostituito da una poltrona, la Guardia Palatina; con suo decreto stabilì che i cardinali dopo gli 80 anni non potevano entrare in conclave; fece costruire la grandiosa aula delle udienze, che oggi porta il suo nome.
Rimodernò uffici e strutture del Vaticano, il modo di vestire, l’uso della lingua inglese al posto della latina; vennero introdotti computers e telescriventi collegati con tutto il mondo. Riformò le cariche e i dicasteri della Curia, ridimensionò il Sant’Uffizio; invece dei soliti romani, chiamò da tutto il mondo uomini nuovi internazionalizzando il Vaticano; furono inserite le prime segretarie.
Dovette affrontare e contestare le novità del ‘Nuovo Catechismo olandese’, la disubbidienza dilagante di fedeli e sacerdoti, cosa che l’angustiava oltremodo; il dissenso di vescovi e conferenze episcopali, la contestazione anche violenta come a Cagliari.
Andò in India, all’ONU, a Fatima in Portogallo, in Colombia, a Ginevra, in Uganda, nelle Filippine, dove scampò ad un attentato, nelle Isole Samoa, l’Australia, l’Indonesia, Hong Kong e naturalmente in tante città italiane e parrocchie romane.
Combatté contro il divorzio che veniva introdotto in Italia, più lacerante fu la lotta contro l’aborto, ambedue perse con suo grande dolore. Gli ultimi anni oltre la decadenza fisica, con l’artrosi che l’affliggeva, una operazione chirurgica alla prostata, furono amareggiati dalla ribellione del vescovo tradizionalista francese Marcel Léfèbvre, che suscitò quasi uno scisma e poi il dolore della morte del suo antico amico Aldo Moro, ucciso in pieno periodo di terrorismo, dalle Brigate Rosse nel maggio 1978, nonostante il suo toccante appello a rilasciarlo vivo.
Pochi mesi prima della sua morte, avvenuta a Castelgandolfo il 6 agosto 1978, aveva scritto una intensa preghiera per il funerale dell’on. Moro, che aveva personalmente officiato in Laterano e che presagiva la fine del suo pontificato, durato 15 intensi e tormentati anni e della sua vita durata 81 anni, nonostante che sarebbe dovuto morire il giorno dopo la nascita: “Fa o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che, pur nelle tenebre della morte, ancora intercede tra i defunti da questa esistenza temporale e noi tuttora viventi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta…”.

E’ stato beatificato a Roma con celebrazione in Piazza San Pietro presieduta da Papa Francesco il 19 ottobre 2014.

FONTE: santiebeati.it
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