San Francesco di Sales

Francesco di Sales, un nome e un santo che richiamò subito una virtù: la dolcezza.
Figlio di nobile casato, col late ereditò anche i bei modi, ma fu certamente virtuoso nello sforzo per acquistare la virtù, come lo dimostrano le innumerevoli trecento pietruzze trovate alla sua morte nell’organo sotto il fegato (cistifellea), segno di un diuturno e doloroso rinnegamento. Ma l’aggettivo “fine” aggiuntivo alla virtù della dolcezza, crediamo doversi attribuire più allo sforzo, a una costante storia d’amore e di predilezione iniziata dalla Madonna con Francesco, già priama della sua comparsa nel mondo.
La mamma, infati che già da tempo portava con sé il dolce e primo peso, ebbe un forte impulso a consacrarlo al Signore quando, nella chiesa mariana di Chambery, vide per la prima volta sulla Sindone il volto impresso e piagato di Cristo.
Il 15 agosto, festa dell’Assunzione di Maria, ella rinnovò in modo più consapevole l’offerta a Dio, sicché, nascendo sei giorni dopo, nel 1567, il piccolo bambino sembrava già avere in sé per impressione della genitrice, l’immagine di Cristo e della sua Santissima Madre, che perfezionerà lungo tutta la sua vita, fino al giorno della sua morte, il 28 dicembre 1622.

Fanciullo

Fanciullo dapprima macilento, poi vispo, imparò subito e per primi i nomi di Gesù e di Maria, le preghiere, il catechismo. Sotto l’abile guida della madre imparò anche a porre disciplina nei suoi esercizi di devozione con la visita al Santissimo Sacramento, la lettura spirituale e il S. Rosario giornaliero. “quello che sentiva dentro” lo faceva inginocchiare con i compagni di gioco, in mezzo al bosco e pregare la Madonna con le litanie; gli faceva creare visite alle cappelle nelle gite campestri e scoprire già a dieci anni la capacità di ricevere Gesù e lo Spirito Santo nei due Sacramenti della Comunione e della Cresima.
Ma ancora per poco i trilli di Francesco dovevano allietare la mamma, i servi, il cortile, i falli del castello; ormai il babbo aveva deciso:l’onore della casa richiede il sacrificio: Francesco studierà a Parigi; e purtroppo (avrà eslamato la mamma) andò.

Studente parigino

A Parigi, quindicenne, solo e lontano dalla famiglia, Francesco cominciò la lotta propria dell’età. L’amore che portava alla Vergine, specie sotto l’augusto titolo di IMMACOLATA lo trovava fermo sul punto della verginità; anzi, benché digiunasse e portasse il cilizio tre volte la settimana (mercoledì, venerdì e sabato), tuttavia quello che più lo incoraggiava a manternersi puro era proprio l’amore della bellissima Signora. Tale devozione e pietà fu notata anche dalla congregazione della S.S. Vergine, là nel collegio dei gesuiti ove studiava, e Francesco fu accolto in essa per invito e alla unanimità. Da allora soprattutto lotta generosamente per diventare “mite e umile di cuore a somiglianza della Madre dolcissima”.
Amava inoltre visitare ogni giorno un santuario, una cappella o almeno un altare dedicato alla SS. Vergine e “ogni volta – diceva – che entro in qualche luogo consacrato a questa augusta Regina, sento che il mio cuore esulta e da ciò intendo che mi trovo in casa di mia madre”.
Fra i vari luoghi, poi, prediligeva il Santuario di S. Stefano dei Grès, dove si venerava appunto una statua della Madonna. Quivi pregava, si confidava, si commuoveva fino alle lagrime. Spesso escalamava: “Ah, chi potrebbe non amarti mia carissima Madre? Sia io eternamente tutto vostro”.
A Lei fece e ripeté spesso l’offerta del suo cuore e del suo corpo, con la ferma risoluzione di custodire sempre la verginità.
Amava consacrarsi a Gesù per le mani di Maria, con questa preghiera: “Dio del mio cuore, voglio amarvi con questo cuore che è vostro, con tutto il mio amore che vi offro per le mani della vostra tenera Madre; ricevere, o Vergine Santa, quest’offerta, conservate questo dono, e fate che il mio cuore altro amore non abbia che per il vostro Figlio e per Voi!”
L’ardente zelo nel propagare l’amore alla celeste Regina, e i mirabili esempi della sua vita furono luce anche per i congregati della SS. Vergine che elessero Francesco presidente.

Una tentazione

Il demonio però era in agguato. La purezza no, la pazienza no, la pigrizia no, come tentarlo? L’occasione a quest’insonne nemico, che giorno e notte “va’ in giro cercando chi divorare” (Pt 5,5), venne proprio dagli studi teologici di Francesco di Sales e da un problema che fortemente agitava la coscienza cattolica di quei tempi: la predestinazione.
Incominciò a insinuarsi in lui verso i 19 anni, quando una lunga e snervante aridità gli strinse il cuore. Il problema, non aveva prima penetrato Francesco anche perché il fervore, la tranquillità di coscienza, un desiderio vivo di amare il Signore non lo avevano mai abbandonato. Ma ora? Gli echi dei pulpiti rimbombavano ancora solenni negli orecchi: “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti” (Mt 20,16). Pochi, pochi… e quel numero, meglio quella esiguità, lo scuoteva, lo rivolgeva, lo vagliava. Con penitenze, digiuni, veglie, preghiere pesava di riacquistarsi quell’amicizia divina che credeva perduta, ma al calore artificiale e umano di questi sforzi, la sua anima dovette sentirsi come una foglia autunnale che, proprio sotto il tiepido sole, vola, si stacca, cade. Una profonda tristezza cominciò a invadere il suo spirito e un senso di dannazione. “O Signore – pregava – io ti amo, ma se debbo andare all’inferno, dove non posso più amarti e odiare Te che tanto amo, fa’ almeno o Signore che, nei giorni che mi restano, possa ancora e totalmente amarti”.
Le asprezze esagerate incominciavano a minargli anche il fisico che, debole e appesantito, aggravava ancor di più la situazione dello spirito.
Già sei settimane trascorrevano in questo stato miserando quando, proprio nella cappella mariana di Santo Stefano dei Grès, una luce potentemente pacificatrice quasi lo svegliò. “Francesco – gli fece capire – mille martiri, mille sacrifici, mille e mille digiuni e preghiere a nulla servirebbero se lo non li ispirasse; da sole, sono cose troppo umane che non arrivano al Cielo. Il Cielo non è terra, ma il Cielo, solo il Cielo, ha una virtù per elevare la terra. Io ti amo Francesco e con te tutti gli uomini della terra, ma ricordati: non l’importanza umana conquista e scopre Dio, ma la luce, la forza, la Grazia dell’Onnipotenza divina crea e vuole salvo l’uomo dalla morte terrena e dal dolore eterno. Riconosci chi tu sei, accetta chi Lui è. Ama la Madre mia e tua che tutto capì e fece, fanne la tua imitazione, tienila con te, come lo fu ed è, Madre e Regina”.
Il pianto non interrotto continuò, ma fu segno di gioia e di riconoscenza, ora libero e felice. La tentazione lo fece diventare un cuore aperto con coloro che si sono allontanati da Dio, sommo bene che tutti ama; gli fece capire che non le opere in se stesse, questa o quella opera, procura la salvezza, ma è Dio che opera la salvezza, il Signore, e che le opere sono un segno di gratitudine e di lode, una completa adesione, nella certezza della fede, a Dio presente, che chiama amando e che, amando redime.
Tutto questo capì Francesco davanti alla immagine di Maria in Santo Stefano dei Grès, a Parigi: l’essenziale. Più tardi quando parlerà di Maria, egli, ricordando la liberazione, ribatterà; “Faccio il mio servizio di ringraziamento, nella corte della mia Regina”.

In Italia

Superati brillantemente gli esami conclusivi del 1588, venne a Padova in quel medesimo anno. il cambiamento di clima e, molto più lo studio che lo appassionava, costrinsero il brillante giovane savoiardo a una lunga degenza, e la completa guarigione sembrava non giungere mai. Eppure un giorno, in modo molto rapido, egli non solo s’alzò dal letto, ma anche le forze avevano ripreso il primiero vigore. Tale fatto il giovane lo considerò sempre una grazia, un favore speciale a lui accordato dalla celeste Madre.
La difficoltà di un nuovo ambiente, specie quello padovano del tempo, tanto licenzioso, costrinsero, a volte Francesco a difendere, anche con le armi e modi bruschi, la virtù tanto delicata della purezza. Ma insieme alle difficoltà non mancarono gli aiuti che la celeste Regina poneva sulla sua strada. Il Padre Possevino da una parte e il dottor professore Pancirolo dall’altra portarono la scienza e la santità di Francesco di Sales a un alto grado. E questa feconda unione di scienza e di fede fu tanto vera e reale, che quando egli ricevette con onore la laurea in giurisprudenza, il dotto accademico non poté fare a meno di accennare anche alla esima condotta del neolaureato, cosa questa per niente comune nei circoli universitari.
In tanta perfezione Francesco di Sales riconobbe con certezza l’aiuto della Vergine madre per cui, prima di lasciare l’Italia, volle visitare positivamente la S. Casa di Loreto e là, fra quelle sacre mura, rinnovò con più ardore il voto già fatto da tempo: il voto di castità, che significa il donarsi a Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e con tutto il corpo, nel modo più reale e puro.

I tre sabati

Ritornato a Casa con questo fervore spirituale e quindi più felice e più sano, egli diede una stragrande gioia a tutta la famiglia. Il padre già aveva preparato per lui un posto nel Senato di Chambery, mentre la mamma raccontandogli le rinnovellate devastazioni dei calvinisti, gioiva visibilmente della sua presenza, perché suo figlio non solo non aveva perso la fede, in lunghi anni di studi e di lontananza, ma anzi questa era andata rafforzandosi nella conoscenza e nella virtù. Ma il dramma che ormai vivevano quasi tutte le ragioni dell’oltre Italia veniva scuotendo fortemente anche lui: masse di popolo che per infelice congiuntura venivano travolte dall’apostasia. Sentì in quei momenti l’urgenza della chiamata di Gesù, misteriosa e profonda, per la salvezza di tutti gli uomini, ad essere sacerdote. L’amore al padre terreno però che tanta cura aveva avuto e stava avendo per la sua carriera, lo frenava un poco; tuttavia la chiamata era più forte, come più vane apparivano le cose della terra che ora sono e domani non più.
Intanto, poiché alcuni ordini preparatori al sacerdozio erano concessi anche soltanto come titoli onorifici, egli cercò in questo modo di preparare il padre alla decisione finale. Il 12 giugno del 1553 venne ordinato suddiacono, era di sabato. Il 18 settembre dello stesso anno venne ordinato diacono, era di sabato; e il 18 dicembre del 1593, dopo inevitabili contrasti familiari, divenne sacerdote, era ancora di sabato.
Coincidenza? Non sappiamo. È certo però che, da quando divenne suddiacono, Francesco intensificò la preghiera e lo zelo e, quando fondò varie confraternite, non omise di intitolarne una anche all’Immacolata Concezione, unendo alle pratiche interne del regolamento l’adorazione eucaristica, la pratica dei sacramenti e il S. Rosario.
Di fronte alla sublimità del sacerdozio, egli esclamava in lacrime a Gesù: “Quando saremo come la vostra Santissima Madre che portandovi nel seno viveva nel mondo in cui devono vivere tutti coloro che vi ricercano, nell’augusto Sacramento dell’Eucaristia?”.

Missionario

Da sacerdote cominciò subito con grande zelo la missione apostolica visitando poveri ed infermi, dedicando varie ore al ministero della confessione e soprattutto predicando.
Ma il suo cuore era per le pecore perdute del popolo di Israele. Troppe regioni erano divise dalla verità e dall’amore di Cristo, disprezzando la presenza salvifica e sacramentale di Dio e riducendo il divino un mondo invisibile e lontano, troppo lontano…
Ma ciò che più angustiava il cuore del buon pastore era il non poter aiutare quelle anime tanto bisognose, perché un forte regime politico-religioso ne vietava l’accesso. Ma quando un nuovo regime permise al vescovo Annesino De Granier di mandare in qui luoghi missionari, questi subito convocò il clero facendo a tutti la proposta. Alla fiduciosa chiamata due furono le risposte: Francesco di Sales e il cugino. La paura delle bastonate e di una non impossibile morte teneva fermi quei cuori: non un paso, non una parola.
I due coraggiosi cugini partirono, ma dopo alcuni mesi di molte fatiche e di nessun raccolto, anche il cugino abbandonò il campo e Francesco rimase solo. Con gratitudine egli ricevette in quei giorni un’immagine della Madonna che adora Gesù Bambino e la contemplava spesso, per ricreare i suoi occhi “stanchi di vedere la soitudine e la rovina dei nostri templi”.
Voleva ad ogni costo restaurare l’oratorio della SS. Vergine sul monte Voirons, distrutto dagli eretici. Ma questi glielo impedirono con la forza e stavano quasi per ucciderlo. La Madonna lo protesse miracolosamente, attestò il santo.
Con il passare dei mesi e il cambio delle stagioni, l’apostolato divnne più sfibrante; i sentieri ghiacciati, facendolo camminare carponi, gli spaccavano piedi ee mani; eppure egli, confidando in quella stessa fiducia che Dio concede ai peccatori, tenedonoli in vita, continuava l’annuncio, bussava le porte volutamente sprangate, affingendo ai muri, o fuori e sotto le porte, l’immagine di quella parola, non ascoltata ma che letta risuonava come una voce amica, eco che attira nel suo ritorno il concorso e la vita. “Tu sola, o Immacolata, hai distrutto le eresie in tutto il mondo” aveva esclamato, ventisettenne, all’inizio del nuovo apostolato, sperimentando prima la gioia della missione, ora la croce dell’annuncio, poi la gloria della Redenzione. Infatti, dopo sette mesi di lunghe fatiche senza frutto, finalmente quei cuori si aprirono e masse di popolo, fino a 2500 persone, tornarono alla conversione.
Aveva già fondao in precedenza la confraternità di Nostra Signora della compassione e dei sette dolori, appunto per la conversione degli eretici e non erano mancate, sotto i suoi stessi occhi, grazie particolare della Madonna, coe quella a una donna che stava per morire nelle doglie del parto e a cui il santo mando una cintura di N.S. di Loreto da cingere alla vita, mentre egli recita le litanie: la donna partorisce lietamente. Ma lo ripetiamo, non le opere avute per intercessione di Maria furono l’occasione prossima della voncesione degli eretici, bensì quell’azione interiore della Santa vergine che lo rendeva “lieto nella speranza, forte nelle tribolazioni”. E di ritorno da Roma, dopo l’esame per l’episcopato, di tutto egli rese grazie alla celeste Regina, nella santa Casa di Loreto dove, fermatosi per alcune ore, rinnovò a Maria tutte le promesse fatte dalla gioventù.

Il Vescovo

“Intraprendiamo cose grandi – soleva dire – sotto la protezione di Maria, poiché se l’ameremo teneramente, essa ci otterrà tutto ciò che possiamo desiderare” Fatto vescovo, le preoccupazioni non diminuirono, anzi aumentarono la devozione verso la Madre di Dio. Tale era l’amoroso trasporto del santo vescovo verso Maria, che ne parlava in tutte le prediche, in ogni conferenza e dovunque ne trovava l’occasione. In tutte le feste ne encomiava pubblicamente le eccelsi doti e il fervore, mentre l’allegrezza e l’abbondanza delle parole tradivano gli interni suoi sentimenti. Ogni mese assisteva regolarmente alla processione della confraternita del santo Rosario, tenendo la corona in mano e camminando con un esteriore molto raccolto. In ciascun anno nel giorno della presentazione di Maria, rinnovava il voto di verginità fatto quando ancora era in collegio e aggiungeva di essere soltanto di Dio e della Chiesa.
Il dì dell’Immacolata, inoltre, giorno fra tutti il più caro alla sua devozione, fu dal suo zelo dichiarato festa di precetto in tutta la sua dicesi; e un gran giubilo provava, durante la visione pastorale, nel ritrovare nella sua diocesi molte chiese dedicate alla Madonna. Ma l’unione di spirito sempre costante che egli aveva con la Santa Vergine ci appare molto chiara da questo episodio. Un giorno in cui si sforzava di arrampicarsi su un colle assai erto, sul quale era situata una chiesa della santissima vergine, le sue genti, vedendo che aveva i piedi tutti insanguinati, lo pregarono di fermarsi e di rinunziare ad un così scabrosa salita. A queste, egli rispose “È vero che io sono assai stanco, ma se è per me motivo di rossore il non essere sufficientemente abituato a lavorare per il divino servizio, mi è altresì un motivo di allegrezza l’aver sparso il mio sangue in onore della Madre di Dio”.

Il fondatore

Anche da vescovo le ostilità non erano mancate. Da quando l’8 dicembre del 1601 salì sulla cattedra di Annesì, gli eretici avevano deciso di eliminarlo, al più presto, per non venir essi cambiati dalla sua carità. Infatti un giorno dopo i pasti incominciò a provare un forte dolor di stomaco, che dapprima sopportò con pazienza. La virtù però questa volta aveva agito negativamente riguardo al fisico, poiché facendo penetrare il veleno nel sangue con il passare del tempo, ai dolori terribili, seguirono freddi sudori e tremolii, latori certi di morte vicina. Ancora una volta il santo si affidò alla buona Madre del Cielo, promettendole in caso di guarigione, di compiere un pellegrinaggio a piedi in ringraziamento, alla chiesa a Lei consacrata in Tonone. Subito guarì.
Il sabato di quel 14 dicembre del 1601, facendo l’ingresso solenne nella chiesa di Annesì, aveva esclamato: “Sono ben lieto che la Madre Santissima del supremo Pastore mi introduca nell’ovile del suo divin Figlio”, ed ora la Medesima lo proteggeva e custodiva nell’ovile proprio per quel gregge.
Perciò la maggior parte della sua carriera vescovile fu impiegata nel fondare sopra la terra, un istituto che contasse tutti i giorni le lodi di questa sovrana Regina. E quando, dopo aver conosciuto la baronessa di Chantal, fonderanno insieme l’ordine religioso di Santa Maria, subito misero come regolamento di recitare ogni giorno l’ufficio della santissima Vergine Maria. L’amore alla Vergine poi doveva far cambiare anche il nome all’istituto. Difatti un bel mattino, quando meno vi pensava, venne ad annunciare, con volto di gioia, alla fondatrice che Iddio gli aveva fatto mutar decisione e che voleva che l’Ordine si chiamasse Visitazione di Santa Maria e che sceglieva questo mistero, perché meno in voga e non tanto celebrato nella Chiesa come gli altri, e che almeno lo sarebbe in questa congregazione. così il novello Ordine divenne tutto mariano, tutto a somiglianza di Maria.

Scrittore

“Da una profonda e tenera devozione per Gesù Cristo scaturiva, come un ruscello dalla sua sorgente, la devozione a Maria. Aveva infatti per massima che l’amore alla Madre è inseparabile da quello del Figlio; che è un mancare a questo il non onorare Quella; che quanto più si ama Gesù Cristo, tanto più si deve amare Colei che ce l’ha dato.
In particolare, il santo raccomandava insistentemente che non dobbiamo aver paura di amare molto Maria e di non essere con Lei avari nel tributarLe onori, perché da Gesù stesso Ella è stata per prima tanto amata e che la gloria che lei gode è la stessa della quale godi il Figlio, poiché da Lui stesso trae Maria la sue grandezze. Infine, concludeva il santo, siccome dio è venuto a noi per mezzo di Lei, così egli desidera che noi pure per mezzo di Lei andiamo a dio. Penetrato da siffatti pensieri, il santo vescovo aveva per Maria una specialissima devozione, un tenero affetto e una speciale confidenza”.
Fin qui un suo biografo che ha compilato la sua vita sui manoscritti e sugli autori contemporanei. ma a noi, in questo brevissimo profilo di S. Francesco di Sales scrittore, interessa più la sua testimonianza che ricaviamo dalla lettera dedicatoris al “Trattato dell’Amor di Dio”. Eccola:
“Santissima Madre di Dio, la più amabile, la più amante e la più amata fra tutte le donne, prostrato ai vostri piedi col volto a terra, dedico e consacro questa operatta di amore all’immensa grandezza della vostra dilezione- Oh Gesù! a chi posso meglio dedicare le parole del vostro amore se non al Cuore amabilissimo della diletta vostra Madre?”.
Già aveva consacrato a Maria tutta la sua vita e ora le consacrava anche la sua opera letteraria. Imitiamola certamente nell’una nell’altra, se possiamo.

Il Dottore mariano

S. Francesco di Sales ha parlato e ha scritto della Madonna come pochi, anche fra i Santi, hanno saputo fare. E nella sua dottrina mariana, oltre la verità già definite dalla Chiesa, egli fece suo e difese con arte e con sapienza tutto ciò che poteva ridondare a gloria della Tutta Santa.
Anzitutto, S. Francesco di Sales sostenne la tesi francescana della predestinazione eterna della Madonna a Madre del Verbo Incarnato, anche se l’uomo non avesse peccato. Come rassegnarsi all’idea che la Madonna non sarebbe mai esistita, solo che l’uomo non avesse peccato?
Inoltre, in armonia con il pensiero di altri grandi Santi, come S. Vincenzo Ferreri, S. Bernardino da Siena e, in seguito, S. Alfonso de’ Liguori con altri ancora, S. Francesco di Sales sostiene che il mistero dell’Immacolata Concezione comporta nella Madonna, fin dal primo istante della concezione, l’uso di ragione con cui Ella aderì subito e liberamente a dio, donandosi a Lui in pienezza di grazia. Sembra infatti che ripaghi chiaramente mettere insieme in Maria la concezione immacolata e l’ignoranza totale di tale meraviglia sublime che Dio operava in Lei.
Non solo, ma con S. Alberto Magno e con S. Antonino, anche S. Francesco di Sales sostiene che la Madonna, fin dal primo istante dell’Immacolata concezione, ebbe la scienza infusa, con cui conobbe luminosamente le verità soprannaturali e le verità naturali riguardanti la sua divina missione di Madre di Dio e del genere umano. Se è umano, infatti, assumere una missione, a ci prepararsi adeguatamente, solo dopo chiara conoscenza di ciò che essa comporta, si deve tanto più ammettere che la concezione immacolata, destinata alla Maternità divina e alla Corredenzione universale, doveva comportare nella Madonna la conoscenza – per via di scienza infusa- di tutti gli elementi essenziali del piano di Dio.
Inoltre, sostiene ancora S. Francesco di Sales, facendo eco a S. Bernardino da Siena e a S. Pietro Canisio, la Madonna, con la sua anima perfettissima e perfettissimamente unita a Dio, non conobbe interruzioni o soste nelgi atti meritori con cui cresceva continuamente in grazia, anche durante il sonno.
Ancora più, in compagnia di S. Bernardo, di S. Tommaso da Villanova, di S. Antonio e di S. Bernardino da Siena, l nostro santo Dottore afferma che la madonna ebbe sulla terra momenti di visione beatifica, pari, anzi superiori, a quelli concessi a Mosé e a S. Paolo. In quali momenti? Chissà, forse nell’istante della sua concezione Immacolata, alla sua nascita, al momento dell’Incarnazione del Verbo, alla nascita di Gesù, alla resurrezione di Gesù. Forse in molti altri momenti ancora. È certo, comunque , che a Lei è stato concesso in misura e in odo eccelso tutto ciò che hanno ricevuto e riceveranno le altre creature.
Infine, anche la morte della Madonna per S. Francesco di Sales fu un evento del tutto straordinario, sia perché non fu una morte ordinaria, ma una morte operata da una sublime estasi d’amore; sia perché fu seguita dall’Assunzione corporea in cielo, non essendo neppure pensabile che il corpo consanguineo a quello di Gesù potesse restare cadavere sulla terra.
A questo punto, bisogna dire che S. Francesco di Sales, Dottore della Chiesa, ci ha fatto della Madonna un quadro meraviglioso, e solo pochi hanno saputo fare altrettanto.
È evidente che, se la Madonna è tanto sublime da sfiorare l’infinito, come dice S. Tommaso D’Aquino, non sarà mai sufficiente lo sforzo dei più grandi Santi e geni per scandagliarne l’ineffabile mistero di grazia. Ogni grandezza, ogni privilegio, ogni valore appare piccola cosa di fronte ai misteri di grazia come l’Immacolata Concezione, la Maternità Divina, la Verginità perpetua, la Corredenzione e Mediazione universale, l’Assunzione corporea in cielo, la Regalità del Cielo e della terra: “Ave, Regina dei cieli, Ave, Signora degli Angeli!…”.

FONTE: I Santi e la Madonna, ©Ed. CasaMariana, vol. 5
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Commenti

  1. CARMELA LOMBARDO

    Affermazioni profonde che ci incoraggiano ad andare avanti protetti dalla vergine Immacolata. GRAZIE

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