La culla

stellamatutina-la-cullaMai mi sarei immaginata di avere una simile e tanto grande responsabilità nella mia breve vita di culla. Mi riaffiora alla memoria quel tempo in cui tutto risplendeva di una bella luce. Francesco aveva comprato delle tavole di legno d’acacia per costruire una culla. Piano piano il mio corpo di culla prendeva forma. Le forti braccia di Francesco si allungavano sopra i pezzi di legno e fu proprio così che, piano piano, crebbe in me quella voglia di abbracci e tenerezza.

Mamma Margherita lo osservava con ammirazione. Alcune notti ricamava le scarpine e gli abitini per il bambino, altre invece ricamava le bordure degli asciugamani. Francesco e Margherita mi rivestirono di grande amore.

Ad un certo punto, finalmente, Francesco, montò sulla mia base due pezzi di legno ricurvi che mi permettevano di dondolare, rimanendo sempre in equilibrio. Una sensazione meravigliosa che mi dava l’illusione di essere viva.

Lui nacque ad agosto. La borgata dei Becchi era in festa per il giorno dell’Assunzione della Madonna. Raggiunsi il culmine della felicità proprio in quel momento in cui appoggiarono sopra di me il corpo di quel bambino che tutti chiamavano Giovannino Bosco.

E come dimenticare poi la dolcezza con cui Francesco ci dondolava entrambi?

Le sue mani avevano la dolcezza della brezza che muove le foglie, i rami e i viticci dei vigneti. Erano allo stesso tempo sicurezza e promessa di futuro. Mamma Margherita conservava tutte quelle cose in cuor suo. E così passarono quasi due anni.

All’improvviso, però, ecco giungere una terribile disgrazia. Francesco si ammalò di polmonite e a nulla servirono le varie medicine prescritte dal dottore.

Ancora mi emoziono al solo ricordare la compostezza di Francesco mentre dettava il proprio testamento di fronte al notaio di Castelnuovo. Risuonano ancora in me le ultime parole che condivise con Margherita: «Abbi sempre fiducia in Dio!

La casa si sarebbe riempita di tristezza e di abbandono, se non fosse stato proprio per lei, per Margherita. Piena di fede in Dio e di coraggio, “strinse i denti” e andò avanti, allevando tutti e tre i figli. Ora, quando Giovanni ritorna ai Becchi circondato dai tantissimi ragazzi che è riuscito a riscattare dalle periferie di Torino, io me ne resto in disparte, abbandonata in soffitta. Quando poi lo ascolto rivolgersi a tutti quanti loro con grande sicurezza ed affetto, non posso far altro che sentirmi orgogliosa. Anche se nessuno lo sa, io nei suoi primi anni di vita sono stata ben più che una semplice culla: sono stata il prolungamento elle braccia di Francesco, suo padre.

Fonte: Bollettino Salesiano, Luglio/Agosto 2015
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