San Giovan Giuseppe della Croce

Un proverbio molto popolare, vecchio quanto la barba di Matusalemme per le molte volte ripetuto, ammonisce che “tra il dire e il fare ci sta di mezzo il mare”.
E’ proverbio di sapienza antica sempre vera. Ad esempio, nei riguardi della santità, può essere molto facile a chiunque dire di voler diventare santo, ma il superare le concrete difficoltà e le lotte inevitabili per sacrificarsi, è stato fatto solo dai Santi veri campioni, che hanno sempre saputo spuntarla con le loro virtù.

Fulgido esempio ne è appunto S. Giovan Giuseppe della Croce, umile e grande figlio di S. Francesco d’Assisi.

DA FANCIULLO A FRATICELLO
Giovan Giuseppe nacque il 15 agosto del 1654 nella spumosa isola di Ischia, perla del meraviglioso golfo di Napoli. Di famiglia nobile e pia, il fanciullo crebbe come fiore di bontà. Degna di nota nella sua formazione fu la cura amorevole dei genitori, specie della mamma, da cui il piccolo imparò le prime preghiere e il primo santissimo nome: Maria.
Giovanetto, quando ebbe occasione di conoscere i frati alcantarini, rimase letteralmente incantato dalla loro figura: quel povero saio francescano, piedi nudi, i capelli cortissimi a corona attorno a una grande chierica, parlarono al cuore del pio giovanetto e lo spinsero a conoscere la vita mirabile di quei buoni frati. Si interessò, e venne a scoprire il loro spirito soprannaturale di penitenza, di povertà, di santa letizia. Ne fu soggiogato. Rifletté e pregò molto. Poi chiese di entrare nel convento di S. Lucia al Monte, nella città di Napoli, dove i frati minori alcantarini; avevano preso il posto dei frati minori conventuali riformati (detti “Barbanti”), dei quali parte venne dispersa, parte si aggregò agli alcantarini, come fece il P. Carlo da Finale, grande mistico e maestro di spirito.
Il giovanetto venne accettato, dopo matura prova, sotto il P. Carlo da Finale. E il suo entusiasmo arrivò fino alle stelle. Ma qualche giorno prima della vestizione si era buscato un febbrone, per cui temeva fortemente che venisse rimandata la cerimonia o addirittura che lo rimandassero a casa. Pregò allora con tutte le forze, e fervorosamente diceva alla sua cara Madonna: “Madonna mia, fa’ che non se ne accorgano… ” La Madonna lo esaudì. I frati non se ne accorsero, e al momento in cui ricevette l’abito, tutto scomparve.
Cosi divenne per sempre fra’ Giovan Giuseppe della Croce.

NELLA “SOLITUDINE” CON MARIA
Nell’austero chiostro, con la crescita della santità, cresceva anche, delicata e forte, la devozione alla Madonla di fra’ Giovan Giuseppe.
La Madonna già lo aveva voluto tutto suo sin dalla nascita avvenuta nel grande giorno dell’ Assunta del 1654, Ella gli aveva poi donato la vocazione serafica, portandolo nel chiostro. Ella lo accompagnerà fino al sacerdozio e per tutta la vita. E a lei S. Giovan Giuseppe diede tutto se stesso, non risparmiandosi in nulla per Lei; anzi, appena potrà, costruirà un piccolo conventi no sui fianchi del monte Muto, sopra Piedimonte d’Alife, presso Caserta, e lo metterà sotto la protezione della Regina degli Angeli. Tale conventino fu eretto per vivervi la vita francescana contemplativa con la massima perfezione: camere strette e basse, assenza della cucina, area totale dell’edificio m. 30 x 8; silenzio, preghiera, penitenza si alternavano a vicenda, senza soste: sempre sotto lo sguardo della cara Mamma che benediceva gli eroismi di questi intrepidi figli di S. Francesco.
Da questo Conventino tutto mariano verrà fuori una scuola di santità con una nutrita schiera di eroici servi di Dio e venerabili.
In questa “Verna” rediviva S. Giovan Giuseppe avrebbe voluto vivere per sempre; ma l’obbedienza lo chiama di qua e di là, dove più ferveva la lotta per il Regno di Dio.

PROTETTO DALLA CELESTE MAMMA
Si può dire senz’altro che, durante tutta la sua vita, S. Giovan Giuseppe sperimentò la protezione materna di Maria che lo circondò di cure e, all’occorrenza, anche di miracoli.
Ventiduenne, egli soffriva di forti dolori al petto e tosse ostinata; un giorno avverti un gorgoglio caldo alla gola: sangue! Ebbe un attimo di sgomento ma, riavutosi all’istante, si rivolse con tutto l’affetto di figlio a Maria SS. e la Divina Madre lo esaudì subito, e talmente bene che durante la sua lunga vita non ebbe mai più a soffrire di petto.
Non meno interessante è l’altro episodio della protezione miracolosa della Madonna, raccontato dal suo biografo, l’alcantarino P. Angelo Salvatore:
“Era un giorno tutto assorto nella lettura di un libro sulle glorie di Maria. Seduto su di una pietra, di fianco alla sorgente cappellina della Madonna, Giovan Giuseppe In quel beato silenzio (si trovava alla “Solitudine”) si estasiava nel meditare le superne bellezze della Mamma del cielo. Fu distratto una prima volta come da un incubo. Sentiva una voce interna che gli diceva: – fuggi di qui.
Pensò che fosse il nemico che volesse distrarlo e continuò nella lettura. Ma l’invito si faceva più pressante: levati
levati di qui.. L’anima sua era gelosa di perdere la dolcezza di quell’ora e, con la virtù della stabilità, resisteva a quella che sembrava una distrazione. Ma i santi sanno distinguere le voci del cielo da quelle dell’inferno. Per la terza volta, la voce assunse nell’anima di Giovan Giuseppe quasi l’eco della voce materna. Quand’era piccolo, la mamma sua spaventata dallo scoglio d’Ischia, lo richiamava angosciata: – Togliti, togliti di là. Questa voce adesso, materna e imperiosa, gli risuonava nell’anima come un comando del cielo.
Giovan Giuseppe ubbidì: subito s’allontanò.
Allontanarsi e sentirsi sulla testa un rovinio di pietre, uno schiantarsi di rami e un rombo fu tutt’uno. Dal ciglione soprastante, un masso enorme era precipitato sul posto dove un istante prima si trovava il Santo. L’avrebbe ridotto in poltiglia: la Madonna l’aveva salvato.

“NON SAPEVA VIVERE SE NON PER ESSA”
A queste predilezioni materne, il santo rispondeva generosamente con la sua vita di amore tenerissimo alla Divina Madre.
Già quando era novizio, dopo l’Ufficio di mezzanotte, S. Giovan Giuseppe si fermava a pregare di continuo I fino all’alba, senza concedersi mai il riposo facoltativo dalle 3,30 alle 6. E non poteva mai mancare in quelle ore la lunga orazione alla dilettissima Mamma.
Una volta, nella veemenza del suo affetto, rapito in estasi, diceva al fraticello con cui stava parlando: “Chiamala col dolce nome di Madre. DiIle: Mamma mia Maria! Mamma mia Maria! Sii devoto di Maria! ”
Da sacerdote, poi, non si stancherà mai di magnificare le glorie di Maria nel suo vasto e fervido apostolato. E nelle conversazioni, se poteva far cadere il discorso sulla Madonna, ne parlava con passione ardente che colpiva e commuoveva.
Da superiore, ordinava ai frati predicatori di propagare la devozione alla Madonna con tutte le forze. Non si concedeva requie nello spingere, esortare, infiammare gli altri a lodare la Madonna. Diceva molto bene un suo con· fratello, il P. Antonio dell’Incarnazione: “Pare che non sapesse più vivere se non per Essa”.

“BELLA! BELLA!”
Un giorno S. Giovan Giuseppe vide una bella tela del De Matteis, che raffigurava la Madonna. Il Santo la contemplò per pochi istanti, poi non poté fare a meno di esclamare con trasporto soavissimo: “Bella! . Bella! “.
E chi mai potrà dirci le segrete estasi d’amore, le lunghe veglie d’amore, i frequenti rapimenti d’amore che consumavano il cuore di questo Santo per la Celeste Regina? Solo in Paradiso conosceremo le meraviglie dell’amore a Maria racchiuso nel cuore di questo grande figlio di S. Francesco d’Assisi, gloria dell’Ordine Serafico.
Certo è che, a quanti lo avvicinavano, egli ripeteva senza stancarsi: “Siate devoti di Maria. Ricorrete a Maria, perchè essa vi consolerà, vi aiuterà, vi toglierà dagli affanni”.
Quando gli venivano rivolte domande per ottenere una risposta che sciogliesse problemi e risolvesse situazioni dolorose, il Santo prima di rispondere si concentrava per alcuni momenti, in uno sguardo intenso rivolto alla Madonnina del quadretto che aveva sul tavolino, e poi rispondeva con serenità e con forza.
Possiamo dire veramente che S. Giovan Giuseppe viveva sotto gli occhi materni della Madonna e voleva avere la Madonna sempre sotto i suoi occhi.
I cuori che si amano, si cercano.

“PADRE CENTOPEZZE”
Una caratteristica particolare di S. Giovan Giuseppe fu lo sforzo continuo che metteva nell’imitare la perfetta ! povertà di Gesù e della Sua 55. Madre, come fece e come l voleva S. Francesco, il Poverello d’Assisi.
Il nostro Santo ebbe una sola tonaca per tutta la sua vita! E col passar degli anni, ovviamente, essa venne talmente rammendata, che appariva come un campionario di sole pezze. Non per nulla a Napoli finirono col chiamarlo, pittoresca mente, “Padre centopezze! ” E il Santo non solo non se ne affliggeva ma, anzi, rispondendo una volta in tono scherzoso, a un cavaliere che gli rimproverava la povertà estrema di quella tonaca, disse: “Come voi portate i vostri galloni… cosi noi le nostre pezze”…
Novello Francesco, quante volte avrà pianto di commozione per la povertà della Madonna! Ma era contento, anzi fiero, poichè se la Regina degli Angeli era apparsa così agli uomini, umile e dimessa, tanto più poteva apparire lui che si considerava il più grande peccatore della terra.

“TI RACCOMANDO LA MADONNA”
Intanto la sua vita si svolgeva operosa e feconda. Si può dire che non gli mancarono mai lotte e travagli, malattie e dispiaceri. Ma, proprio in questi frangenti, egli si maturò e si mostrò santo di natura gigante. Mai gli mancò l’assistenza materna della Madonna, che egli amò anche quando, durante tre mesi di terribili prove di spirito, si sentiva abbandonato perfino da Lei. Proprio allora egli La pregava e Le offriva sacrifici ancor di più, non stancandosi mai di contemplarla nel bel quadretto che aveva sempre con sè in cella, e che ora si trova sul suo corpo, nella Chiesa di S. Lucia al Monte, dove lui morì il 5 marzo del 1734.
Infine, il più bell’esempio di devozione mariana che S. Giovan Giuseppe ci ha lasciato, fu quello che diede sul letto di morte, poco prima che spirasse. “Da quattro giorni senza parola – scrive il biografo – il venerdì parlò. Verso mezzogiorno, con un filo di voce, disse al fratello Michele: “Pochi momenti mi restano di vita… Ti raccomando la Madonna”. Queste furono le sue ultime parole. Parole di chi era dominato da sommo amore a Maria: “Ti raccomando la Madonna”.
Furono l’ultimo testamento d’amore trasmesso a tutti e per tutti i tempi, quindi anche a ciascuno di noi… . “Ti raccomando la Madonna”.

FONTE: I Santi e la Madonna, ©Ed. CasaMariana, vol. 6
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Audio – Storia narrata dal Sac. Padre Antonio M. Sicari

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