Santa Giovanna Francesca di Chantal

 Una delle stelle più fulgide della Chiesa Cattolica, una vera “perla preziosa””(Mt 13,45), la “donna forte” (Prv 31,10) che Salomone non riuscì a trovare in tutta Gerusalemme, venne a trovarsi nel seicento francese in Santa Giovanna Francesca di Chantal. Orfana, vergine, sposa, madre, vedova, nei primi trent’anni di vita. E poi, Suora, fondatrice, superiora, suddita, in un Ordine religioso chiamato Visitazione di Santa Maria.

Santa Giovanna Francesca di Chantal rappresenta la copia fedele di Colei, che è modello perfetto e Madre di tutte le donne e di tutta la Chiesa: la Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra.

Giovanna Francesca nacque a Digione il 23 gennaio 1572. I genitori, ferventi cattolici, fecero subito battezzare quel piccolo fiore, perchè al più presto palpitasse della vita divina. Dopo soli diciotto mesi, però, le morì la mamma, e la prima biografa della Santa, sua contemporanea, poteva perciò scrivere: “Non mai la beata nostra madre ebbe altra madre che la Santissima Vergine, poichè fu orfana di madre fin dalla culla, ed appena le balenò in mente il lume della ragione, si votò alla santa Vergine per sua figliola e se la tenne per Madre”.

Così si può spiegare, con questa tenera e sorgiva devozione alla Madonna, la pratica delle· virtù cristiane che Giovanna Francesca mostrò fin dall’età di cinque anni.

“COSÌ BRUCERANNO GLI ERETICI”
Ecco un bell’esempio di fortezza della Fede in questa bimba dagli occhi di cielo.
I n casa Fremiot veniva spesso un ricco signore dei dintorni, di religione protestante. Il barone, papà della fanciulla, aveva certamente in mente di attirarlo poco per volta alla Fede cattolica. Per questo si intratteneva spesso con lui in discorsi religiosi.

Una sera si accende una discussione che sta fortemente a cuore al barone, cattolico tutto d’un pezzo: la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. La piccola Giovanna è presente. Attende ai suoi giochi di bimba e sembra che non presti ascolto ai problemi dei “grandi”. La discussione si fa sempre più animata. D’un tratto la piccola scatta in piedi e rivolta all’ugonotto dice: “Signore, dobbiamo credere che Gesù Cristo è veramente presente nel Santissimo Sacramento; è Gesù stesso che ce lo dice. Se non credete, fate di lui un bugiardo”.

Tutti si rivolgono verso la piccola. L’eretico, un po’ per togliersi d’impaccio, un po’ per calmare la fanciulla tutta rossa in volto, le si avvicina per regalarle dei dolcetti; ma lei non vuole nemmeno toccarli: stende il suo grembiulino e li riceve solo per andarli a buttare nel fuoco del caminetto, dove con non minore fermezza dice: “Cosi bruceranno nell’inferno gli eretici, perchè non hanno voIuto credere a ciò che disse Gesù”.

SALVATA DA UN INGANNO
Intanto la fanciulla, sotto la forte e amorevole cura del padre, entrava nell’adolescenza, portando con sè quel misto di gravità e di dolcezza proprie dell’età. I lineamenti materni rendevano ancor più cara al padre la figliuola; ma i tempi erano duri per le continue lotte civili e militari, e il papà dovette staccarsi dalla figlia per l’impegno politico e militare a favore di un re cattolico.

E cosi, a quindici anni, Giovanna Francesca era ospite del signore di Neufchese, marito della sorella Margherita. I doni che il padre le aveva lasciato erano una fede convinta, una pratica esemplare di vita cristiana ed un immenso amore verso i poveri, tanto che ripeteva spesso: “Se non amassi i poveri, mi sembra che non amerei Dio”.

Era bella Giovanna Francesca! La natura e, prima ancora, la Grazia non erano state avare con lei. Il portamento signorile, maestoso. Ricca e all’ombra di un gran nome, con quel velo di tristezza e di leggiadria sul volto, che forse ricevette entrambe dalla madre e dalla perdita di essa, Giovanna sembrava attrarre tutti i giovani desiderosi di ammogliarsi; ma a tutti mancava il coraggio di chiedere in sposa quella creatura che sembrava discesa dal Cielo.

Più audace si fece un giovane signore protestante, che, pur di avere in moglie una simile ragazza, non desistette dal maligno inganno di fingersi cattolico. Le pressanti richieste aspettavano una risposta. Giovanna Francesca, però, non sapeva decidersi, perchè, sebbene il giovane fosse di bella presenza e avesse i requisiti per un matrimonio di eIevata condizione, pure all’avvicinarsi di quel signore, ella provava un’invincibile avversione.

Pregò più a lungo la Madonna, che le venne in aiuto e le diede un lune speciale per scoprire nel cuore di quel gentiluomo l’assenza della fede romana e la presenza dell’eresia. Allora i movimenti della natura e della Grazia trovarono in Giovanna Francesca una volontà ferma e decisa, che le fecero dire a quel tale: “preferisco piuttosto mille morti che vedermi stretta in matrimonio con un nemico della Chiesa.”

SPOSA FELICE E SANTA
Superata questa e altre prove, il Signore le veniva preparando, per intercessione della Madonna, una delle grazie più grandi che una sposa possa desiderare: un marito tutto secondo il cuore di Dio.
Aveva vent’anni quando lo conobbe; era nella casa del padre; si chiamava Cristoforo, barone di Chantal; gli parlò e trovò in lui l’uomo dei suoi desideri. Si sposarono, e lo amò fino alla fine, totalmente, immensamente.

Diventata sposa, la principale sua occupazione fu di affidare se stessa, la famiglia e le domestiche alla Santa Vergine; e, dopo il santo timor di Dio, non aveva maggior sollecitudine che di allevare la prole nella devozione e nella confidenza verso la Madonna. In otto anni di vita matrimoniale ebbe sei figli: fu vera “sposa come vite feconda” (Sal 127,2).

Il 1600 fu un anno di prova non solo per la casa degli Chantal, ma per tutta la Francia. L’inverno rigido aveva abbassato maggiormente i suoi tepori e le colture non avevano resistito, portando la carestia dovunque e specialmente nella Borgogna.

I poveri, che sempre numerosi bussavano alla porta di sì generosa benefattrice, si moltiplicarono a decine, a centinaia, forse a migliaia, tanto che i forni della casa non bastavano più. I parenti, e altri del vicinato, fecero avvertire il marito, perchè obbligasse la sposa a non essere temeraria distruggitrice di tutti i suoi beni, e che almeno salvaguardasse i figli. Ma il barone di Chantal – che discendeva per genealogia dalla mamma di S. Bernardo – aveva anch’egli la devozione e la confidenza di quel grande devoto di Maria. Egli fu l’unico sostenitore della moglie, anche quando gli stessi servi, che tanto amavano la signora, dopo cinque mesi di carestia, cominciavano a tremare e a preoccuparsi: le risorse avevano toccato il fondo.

Ma dove termina lo sforzo degli uomini, là inizia l’ azione di Dio. L’ultimo sacchetto di segala, che i servi con trepidazione avevano portato alla padrona e che ora distribuivano, sembrava che non finisse mai. Prima a piccoli pugnetti, poi con mano sempre più larga e fiduciosa, veniva distribuito a tutti: mamme, bambini allegri e ignari, nobili anziani, e tutti, tutti correvano a quella donna che con il cuore, le maniere, le parole, sembrava la dispensatrice di tutte le grazie, a somiglianza e per virtù della Celeste Mediatrice.

IL CALICE AMARO
Dopo sei mesi di penosa carestia, finalmente il buon raccolto porta rinnovata pace e speranza nei cuori. Tutti ornano a guadagnarsi, con l’umile lavoro della terra, il pane e il Cielo; e anche la signora trova un periodo di pace e di tranquillità. Ad allietare la casa, torna pure il barone di Chantal, pieno di gloria.

Ma non durò molto questa pace. Di tanto in tanto risuonavano nel capo della signora le strane parole che il marito le aveva detto durante le forti febbri di una brutta malattia: “Non sarebbe bene promettersi a vicenda che quello fra noi che rimanga vivo si consacri a Dio? ” Ma poi il marito aveva riacquistato la piena salute, ora nasceva il sesto bambino, le feste e i ricevimenti al castello, che distraevano, fecero sentire sempre meno l’eco di quelle parole.

Un giorno, però, un servo avvisa tremante la signora che il marito è stato ferito durante la caccia; non riesce a dire di più. La baronessa avverte in quelle parole un pericolo più grave, ma non vuole credere, non può credere e corre, sforzandosi di non pensare, al luogo del disastro. Il barone era là, disteso a terra, con la coscia rotta e una impallinata nei fianchi. Portato nel castello, alla moglie che piangeva, che si disperava, che inveiva contro l’incauto uccisore, “No – diceva il marito – dobbiamo adorare i disegni della Provvidenza; accettiamo questo colpo dalle sue mani”.

Durante i nove giorni che precedettero la sua santa morte, fu sentito ripetere spesso il nome dell’uccisore, a cui subito aggiungeva: “Gli perdono, so che l’ha fatto per sbaglio, mentre io, per malizia, tante volte ho dato la morte al mio Salvatore Gesù”. E morì, abbandonato alla Volontà di Dio e con i più accesi desideri del Paradiso.

La sposa, in questi nove giorni, aveva invocato il Cielo e la terra; aveva anche offerto se stessa a Dio in cambio del marito: ma tutto invano. L’orrore della morte le faceva paura; il pianto dei figli le entrava nelle ossa; l’amore umano porgeva il suo calice col sorso più amaro.

SI CONSACRA TUTTA A DIO
“La prova – dice !’Imitazione di Cristo – non rende l’ uomo fragile, ma dimostra quale esso è”.
Nei giorni che seguirono alla morte del santo marito, per Giovanna Francesca fu un continuo appello alla fede e al soprannaturale; e con il sostegno della grazia, il suo spirito resse l’urto della prova e superò la terribile sciagura, arrivando non solo a perdonare, ma anche a voler essere la madrina di un figlio dell’uccisore.

Adesso ella ha acquistato un distacco enorme dalle cose e dalle creature, e non desidera altro che vivere per fare la volontà di Dio. Adesso ha compreso il senso nascosto delle parole del marito sulla consacrazione a Dio; ed ella è pronta a fare il voto di castità e a smetterla con le feste e i festini, desiderando solo ritirarsi in un deserto, e là pregare e vivere del suo Dio. Ma c’è un ostacolo insormontabile: i figli ancora piccini non le consentono questo ritiro, per allora.

Dice però il suo Fiatt incondizionato alla segreta voce della Madonna che le andava dicendo: “Come mio Figlio Gesù è stato obbediente, così io voglio che sia anche tu sempre”.
Con questo Fiat ella offre a Dio tutti i beni che possono venire dalla propria volontà e dal proprio giudizio, per essere completamente spoglia di sè e di ogni cosa.

In tal modo Giovanna Francesca andò riempiendosi talmente di Spirito Santo, che via via attirerà moltissime ‘ anime alla vita consacrata, come già gli apostoli all’amore di Cristo. Entrata in un piccolo paese, una volta, ottanta di Cristo. Entrata in un piccolo paese, una volta, ottanta ragazze vorranno vestire contemporaneamente il suo abito religioso; e i suoi monasteri raggiungeranno un record mai più toccato in tutta la storia della Chiesa fino ad oggi: ottantasette monasteri, in venti anni di apostolato.

FIGLIA DI SAN FRANCESCO DI SALES
Non molto dopo la morte del marito, Giovanna Francesca ebbe la grazia di potersi mettere totalmente alla scuola di S. Francesco di Sales. Aveva pregato e supplicato, per avere una guida esperta e santa. Andava pellegrina nei Santuari mariani per questo scopo. E la Madonna le ottenne di poter essere figlia spirituale del santo Vescovo di Ginevra.

Sotto la sua guida, ella continuava le sue visite ai poveri e agli ammalati. Tra l’altro, non temette di andare ad assistere una cancerosa, restandole vicina fino alla morte. In un’epidemia, era giunta a lavare e seppellire le salme. Si contagiò, e si trovò anch’ella alle soglie della morte. Ricorse alla Madonna, la supplicò; e guarì, prodigiosamente.
S. Francesco di Sales, intanto, l’andava formando a quella che sarà la grande missione spirituale di S. Giovanna Francesca nella Chiesa. Nelle lettere, egli le raccomanda di vivere in costante comunione con Dio, come la sua anima stesse in un monastero, di cui l’Abbadessa era la SS. Vergine.

Quando altre due compagne vollero unirsi a Giovanna Francesca, si costituì il primo nucleo della nuova comunità diretta da S. Francesco di Sales. Ciò avvenne ad Annecy, in Savoia, il 6 giugno 1610. Compito di questo primo gruppetto era quello di visitare i poveri e gli ammalati, ispirandosi direttamente al mistero mariano della Visitazione di Maria a S. Elisabetta.

MONASTERI MARIANI
Questa verità dolcissima della Visitazione di Maria a S. Elisabetta animerà per sempre la carità di S. Giovanna Francesca e delle sue figlie Visitandine, anche quando le comunità, moltiplicandosi, saranno organizzate solo come comunità contemplative.

La Santa voleva che il giorno della Visitazione di Maria e le altre feste mariane, fossero celebrate con la massima solennità possibile. Fra tutte le feste della Madonna, però, ella prediligeva l’Immacolata Concezione, per la quale si adoperò al massimo perchè nella diocesi di Ginevra venisse considerata festa di precetto. E lei, personalmente, aveva fatto anche il voto di recitare ogni giorno, fino alla morte, la corona dell’Immacolata Concezione.

Nei monasteri, il giorno scelto per la rinnovazione dei voti delle suore, fu quello della Presentazione di Maria al Tempio. Inoltre, per onorare ogni giorno in modo particolare la Madonna, nei suoi monasteri S. Giovanna Francesca sostituì l’ufficio romano con l’Ufficio della B. Vergine. Così ogni giorno era un coro di voci e di cuori che si innalzava soave verso il trono della Celeste Regina; era un coro di vergini consacrate che, sulle ali soprannaturali della preghiera, andava a visitare tante creature bisognose, portandovi aiuto e benedizioni dal cielo, a imitazione e con la grazia della Vergine della Visitazione.

“TROVIAMO TUTTO IN MARIA”
Amava ella dire ogni giorno anche una preghiera mariana composta da lei stessa, e S. Francesco di Sales le insegnò l’esercizio giornaliero della visita alla Chiesa trionfante, che la Santa fece ogni mattina per tutta la vita con questa breve preghiera del Breviario: “Santa Maria e tutti i Santi, intercedete per noi presso il Signore, affinchè noi meritiamo di essere aiutati e salvati da Colui che vive e regna nei secoli dei secoli”.

Inoltre nutriva la sua devozione leggendo con passione gli scritti di S. Bernardo sulla Madonna; portava sempre aI collo una borsetta in cui era racchiusa, insieme ad altre cose, un’immagine della Madonna su un libretto di devozione, e una volta, mostrandolo a un gruppo di suore, disse: “Guardate, figlie mie, come troviamo tutto in Maria e con che premura e confidenza dobbiamo ricorrere a Lei: se noi siamo figlie, Essa è la Madre della divina Grazia, se siamo ignoranti, Essa è Sede della sapienza, se siamo tristi, Essa è causa di letizia a tutta la terra…”. E prosegui così, commentando ogni invocazione delle litanie con ogni sorta di soavi riflessioni sulla Madonna.

Ella doveva essere ben piena di amore alla Madonna, perchè spesso sostava in lunghe contemplazioni sui misteri e sulle virtù della B. Vergine, e consigliava ciò anche alle suore, per i frutti spirituali che se ne ricavano. Un giorno, infatti, alcune suore le chiesero il permesso di fare qualche penitenza in più, e la Santa ordinò loro di trascorrere un quarto d’ora di orazione davanti a un’immagine della Madonna. A un’altra suora che le chiese quale preghiera speciale potesse scegliere per sè, la Santa rispose con dolcezza: “Figlia mia, si prega in modo assai gradito alla SS. Vergine quando si loda Dio delle grandezze che ha posto in Lei e della scelta, che di Lei ha fatto sua degna e vera Madre”.

DOVEVA TUTTO ALLA MADONNA
Inutile dire che, dagli inizi fino alla fine, S. Giovanna Francesca affidava ogni giorno se stessa e tutta la novella Congregazione alla Madonna. Le responsabilità, gli impegni, le lotte, le ansie, tutto ella metteva fra le mani della SS. Vergine. “Mia dolcissima Madre – pregava – chiudete nel Cuore del vostro Figlio questa indegna figliuola e i suoi proponimenti”.

E questa protezione materna ella stessa attestava di sperimentarla in maniera così straordinaria, da poter scrivere che alle preghiere “presso Dio della Vergine Santissima… noi dobbiamo tutto”. Nelle ardimentose iniziative per nuove ascensioni spirituali o per nuove fondazioni di monasteri di vergini, ella confidava sempre di ottenere grazie potentissime “per l’onore del vostro santo nome, Gesù, e per la purezza della santa Madre vostra che scelgo come mia Protettrice”.

Diceva anch’ella, però, come tutti i Santi, che la cosa più importante nella devozione alla Madonna è l’imitazione delle sue virtù. Un atto di umiltà, di pazienza, di rinunzia a se stesso, vale ben più di molte preghiere. L’imitazione è la misura della vera devozione mariana. Ogni altra devozione è sospetta in sè e nelle sue espressioni.

TRE GLOBI LUMINOSI
S. Giovanna Francesca visse così, in modo intenso e profondo la sua devozione alla Madonna. Per tutta la vita, luminosa e forte, brillò la sua imitazione filiale della B. Vergine, appressandosi di anno in anno al passaggio nell’aldilà, piena di amore e di meriti.

Non fu lunga la sua vigilia della morte, che iniziò il giorno della festa dell’Immacolata Concezione. Si trovava nel monastero di Moulins, e fu colta da malessere. Aveva compiuto per l’ultima volta una penitenza monastica con la comunità, ripetendo con fervore: “Madre di Dio, ricordati di me”. Portata in cella, venne circondata di cure e di premure dalle consorelle. Soffriva e pregava, e la si sentiva ripetere di frequente: “Maria, Madre della Grazia! “.

Il suo beato transito in paradiso avvenne iI 13 dicembre 1641.
S. Vincenzo de’ Paoli, grande amico della Santa, ebbe una visione in qui vide l’anima di S. Giovanna Francesca innalzarsi verso il cielo come un globo luminoso; dal cielo vide discendere un altro globo luminoso (l’anima di S. Francesco di Sales) che si unì a questo. Infine apparve un terzo globo di luce, più grande e radioso, che assorbì quei due globi per l’entrata in Paradiso.

Nel terzo globo luminosissimo a noi piace vedere la SS. Vergine Maria, “splendente come il sole”(Ct 6,9), venuta ad accogliere i suoi due grandi figli che l’avevano amata e fatta amare, per introdurli Lei stessa in Cielo e presentarli al Suo dolcissimo Gesù.

FONTE: I Santi e la Madonna, ©Ed. CasaMariana, vol. 6
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