Settimio e Licia Manelli

QUESTA E’ LA MIA FAMIGLIA (PADRE PIO)

a mò di presentazione

NOI TREDICI VIVENTI…

Papà e Mamma. Cinquant’anni di matrimonio. Ventuno figli, di cui tredici viventi.

Questa è la famiglia Manelli. Una famiglia cri­stiana nata e cresciuta attorno a padre Pio da Pietrel­cina, lo Stimmatizzato del Gargano.

«Questa è la mia famiglia», disse padre Pio a mamma, sposa novella al suo primo incontro con il santo cappuccino.

«Supererete i venti figli», profetizzò padre Pio a papà, che fu uno dei suoi primi figli spirituali.

15 luglio 1926-1976: siamo alle Nozze d’oro. Do­po cinquant’anni di matrimonio, la famiglia si ritrova moltiplicata e arricchita: papà e Mamma, tredici figli viventi, un figlio Sacerdote francescano, sette figli lau­reati, undici sposati, circa quaranta nipoti, fino ad ora. Quanta festa della vita!

La nostra famiglia è stata davvero la famiglia del «Dio non dei morti, ma dei vivi» (Mc 12,27), come ci ripeteva spesso papà.

Questo libretto?

È un omaggio di noi tredici figli viventi ai nostri genitori che celebrano il 50° di Nozze. È un atto di amore filiale. È un riconoscimento affettuoso al loro amore.

Siamo certi che nulla può essere loro più gradito di questo grappolo di ricordi, da loro stessi colti dalla «vite ubertosa» (Sal 127,3) quale è stata la nostra famiglia.

Prima di ogni cosa, però, vogliamo presentare, in breve, la scheda personale dei nostri ammirabili ge­nitori.

PAPA’ NOSTRO

Si chiama Settimio Manelli. Nacque a Teramo il 25 aprile del 1886. Era il giorno solennissimo della Pasqua.

Fu il terzo di sei figli. Purtroppo non ricevette un’educazione cristiana sufficiente. Ma non fu trascu­rata la sua formazione intellettuale.

Studiò Lettere e Giurisprudenza nelle Università di Bologna e di Roma.

Divenne studioso appassionato ed è stato scritto­re di alcune opere ad alto livello di contenuto e di stile

(Spartaco, La canzone del Kaiser, L’ex Kaiser, Alla ricerca delle sorgenti). Ha collaborato anche a varie riviste, specialmente religiose.

Dopo aver conosciuto padre Pio da Pietrelcina, la sua vastissima cultura si è via via arricchita ed elevata ulteriormente con l’approfondimento dei grandi Autori della Teologia e della Mistica: sant’Agostino, san Tom­maso d’Aquino, santa Caterina da Siena, santa Teresa di Gesù, san Giovanni della Croce. Ancora oggi, all’età di novant’anni, egli sta rileggendo sant’Agostino, Com­mento al Vangelo di san Giovanni.

Ma soprattutto, sangue e fuoco della sua anima è stato il Vangelo di Gesù, letto, riletto, meditato, impa­rato quasi a memoria, portato sempre in tasca e cita­to a meraviglia in ogni circostanza della vita. «Beato chi ascolta le parole del Signore e le mette in pratica» (Lc 11,28).

Ha fatto anche la carriera militare. Generoso e valoroso, è stato promosso per meriti di guerra. È ar­rivato fino al grado di tenente-colonnello dell’aero­nautica, combattendo nella Grande Guerra.

La sua vera professione, però, è stata l’insegna­mento. In oltre quarant’anni di lavoro, è stato profes­sore di lettere classiche e di cultura militare, Preside negli istituti medi, Commissario di esami per le Scuo­le superiori.

Si sposò nel 1926, il 15 luglio, a Nembro (Ber­gamo), paese natale della sua giovane sposa.

Da Bergamo, dove già insegnava, si trasferì con la famiglia a Fiume; poi chiese e ottenne il trasferi­mento a Lucera (Foggia), per stare più vicino a padre Pio; infine si è stabilito a Roma, ultima e attuale re­sidenza dal 1948.

La sua gloria più grande è la sua numerosa fa­miglia.

Alla scuola spirituale di padre Pio – che deter­minò dalle radici il suo nuovo e fortissimo impegno di vita cristiana – imparò a vivere così totalitariamente «secondo la fede» (Rm 1,17) che padre Pio stesso una volta lo definì «tutto d’un pezzo»; ed egli non dubitò mai – né lui né mamma – di queste consolanti parole dello Spirito Santo, a proposito della prole:

«Dono del Signore sono i figli è sua grazia il frutto del grembo» (Sal 126,3). Alla scuola di padre Pio si imparava bene che se­condo Dio la procreazione è il fine primario del ma­trimonio. «Il matrimonio è per i figli», scandiva forte padre Pio; e alle nostre nozze da lui benedette egli au­gurava sempre di avere «una bella corona di figli per popolare la terra e il Paradiso». Altro che la maledetta pillola anticoncezionale, di cui «si parla all’infer­no», come diceva padre Pio!

Né c’è da preoccuparsi fuori posto «di che man­giare, di che vestirsi…», se si ha fede in Dio padre buono che «nutre gli uccelli dell’aria e veste i gigli del campo…» (Mt 6,25-28).

Un giorno padre Pio da Pietrelcina stava con gruppo di figli spirituali mentre si commentavano le parole di Gesù sulla fiducia nella Provvidenza che so­stenta le sue creature (cf Mt 6,25-34). Ad certo mo­mento, indicando agli altri papà che si stava avvici­nando al gruppo, padre Pio disse sottovoce a tutti i presenti: «Ecco uno che applica il Vangelo integral­mente». E forse sarà stato per questo che padre Pio, in un’altra occasione, mentre benediceva con visibile gioia tutta la famiglia riunita ai suoi piedi, disse a papà: «Beato te! per questa famiglia…».

Certamente, è per merito della fede di papà che la nostra famiglia è vissuta di Provvidenza; e noi bam­bini parlavamo della Provvidenza proprio come di una persona: «È arrivata la Provvidenza!», dicevamo, oppure: «Aspettiamo che arrivi la Provvidenza…». Il ricordo di quei tempi ancora ci commuove.

Due protettori speciali aveva papà, uno in Cielo e uno in terra: la Madonna Santissima e padre Pio. Riguardo alla Madonna c’è un fatto straordinario che capitò a papà quando era ancora adolescente. Una mattina, all’alba, mentre stava sulla spiag­gia del mare di Giulianova, e contemplava il sorgere del sole dal mare, fu visitato da una rapida e sublime apparizione della Madonna all’orizzonte. Per questo, poi, egli ha sempre chiamato la Madonna affettuosa­mente così: «la mia Madonna del mare».

Padre Pio gli spiegò in seguito il perché di quella apparizione: «Ti è apparsa per farti da Madre».

Ed è a questa Divina Madre che Papà deve il cu­mulo di grazie ricevute nella sua lunga vita, per sé e per noi. L’assistenza materna della Madonna è stata una continua benedizione sulla nostra famiglia.

Insieme alla Madonna, anche padre Pio ha riem­pito la vita di papà. Viene proprio da pensare che se la Madonna gli ha fatto da Madre, padre Pio gli ha fatto da Padre. In tal modo la Provvidenza ha suppli­to meravigliosamente alla mancata formazione cri­stiana che egli avrebbe dovuto ricevere dai genitori.

E noi non dubitiamo minimamente che la Ma­donna e padre Pio lo assisteranno fino alla fine per portarlo in Paradiso, tanto più che riguardo al Para­diso fu padre Pio stesso a dirgli una volta: «Tu andrai in Paradiso!», e papà gli rispose: «Voglio il Paradi­so!».

Questa è proprio una profezia di Paradiso.

MAMMA NOSTRA

Si chiama Licia Gualandris. Nacque a Nembro (Bergamo), il 13 luglio 1907. Era di sabato, giorno caro alla Madonna.

Fu la settima di dieci figli.

Frequentò le scuole tecniche. Fu molto laboriosa e pia fin da piccola. Crebbe alta e slanciata, di rara, splendida bellezza.

Quando papà la incontrò la prima volta, ne rima­se così colpito che uscì quasi d’istinto in questa mera­vigliosa e profetica espressione: «Quanto sei bella! Ti vorrei scolpire in venti figli di bronzo!».

E sarà ancora papà a descrivere suggestivamen­te le bellissime sembianze di mamma, dal «profilo greco», dagli «occhi d’acciaio», dal «passo sovrano».

Sempre a fianco di papà, mamma è stata la sposa feconda e la madre amorevole per tutti i figli, i «doni del Signore» che hanno riempito il suo grembo come «frutti di grazia», anno per anno fino all’età di qua­rantatrè anni, generando ventuno figli. Davvero sono valse per papà le ispirate parole del Salmista sulla sposa e sui figli:

«La tua sposa come vite feconda, nell’intimità della tua casa;

i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa» (Sal 127,3).

Anche mamma è stata figlia spirituale di padre Pio, al quale fu condotta da papà la prima volta in viaggio di nozze. E quando ella raccomandò a padre Pio la nuova famiglia che sorgeva, sentì dire da lui le consolanti parole: «Questa è la mia famiglia».

La gloria e i tesori di mamma sono stati i figli. Ne ha generati quanti Dio gliene ha dati, con generosità illimitata. Ha arricchito l’umanità, la Chiesa e, spe­riamo, il Paradiso. Quale splendore avrà in Cielo la sua aureola di Madre?

Ma chi mai avrà potuto contare i suoi sacrifici, le sofferenze, i travagli? Padre Pio una volta la definì «povera martire!». Chi avrà potuto misurare il suo co­raggio, la sua dedizione, la sua fiducia nella Provvi­denza? Solo Dio.

Quale vitalità di fede, quale fecondità di speran­za, quale energia di carità e di vita cristiana in lei! Quale fedeltà a Dio, devozione alla Chiesa, attacca­mento ai Comandamenti e ai Precetti! Ancora oggi, ad esempio, ella può ripeterci quel che disse una volta con cristiana fermezza: «Non ho mai perduto una Santa Messa festiva nella mia vita, nonostante la cura di una famiglia con tredici figli».

E noi non possiamo dimenticare quelle Domeniche in cui ella correva da sola alla prima Messa alle cinque del mattino, lasciando noi bambini immersi nel sonno. Né finirà mai di consolarci il ricordo di quelle Domeniche in cui si andava a Messa tutta la famiglia insieme, e alla Comunione l’intera balaustra era occupata da tutti noi, genitori e figli. Quale edifi­cazione!

Mamma pregava molto, come papà; e ci faceva pregare, giorno per giorno. Come dimenticare la reci­ta del Rosario quotidiano ogni sera davanti al picco­lo altarino domestico o attorno alla stufa accesa nelle serate d’inverno?

E come dimenticare la sua grazia squisita, inimi­tabile nell’espressione del volto e della voce quando raccontava a noi bambini le favole più belle del mondo, incantandoci letteralmente per ore intere?

E come non ricordare con tenerezza quando ella ci insegnava le preghiere più devote per il ringrazia­mento alla Comunione o per il mese di maggio alla Madonna? Quando ci aiutava a fare i compiti di scuola con tanta e santa pazienza? Quando parteci­pava ai nostri giochi e ai nostri canti o preparava le gioiosissime sorprese della Befana?…

Cara mamma, sorriso dei nostri sorrisi, cuore del nostro amore e amore del nostro cuore!

Fu ella che si preoccupò di far fare la Prima Comunione da padre Pio a tutti noi tredici figli.

Era ella che, scendendo da Fiume per andare a San Giovanni Rotondo, si fermava con papà al San­tuario di Loreto e ogni anno consacrava un nuovo bimbo alla Madonna!

Tutte le preoccupazioni materiali e spirituali della famiglia dovevano toglierle il respiro. E tuttavia, non è mai successo che ella abbia sofferto del minimo esaurimento nervoso, né lei né papà.

Per lei non ci sono mai stati né cinema né teatro né divertimenti né cosmetici. Nulla la interessava di tutti questi beni caduchi «che il tarlo corrode e la tignola consuma» (Mt 6,19). Eppure è stata sempre così bella e ardente, nobile e forte, laboriosa e soave. Ma chi l’ha sostenuta? «La grazia di Dio!», le disse una volta padre Pio. Proprio così. Solo la gra­zia può spiegare i miracoli di mamma. Questa grazia ella attingeva ogni giorno dalla preghiera e dai Sa­cramenti, dal Rosario e dalle sue letture preferite, che erano quelle spirituali su san Francesco di Sales, santa Teresina, santa Gemma Galgani e le vite dei santi in genere.

Con tutto questo cammino di amore che cosa au­gurarle ora se non di vederla per sempre gloriosa nei Cieli, coronata e glorifica, assieme a papà, da tutti noi suoi figli?

Cari Papà e Mamma, gli esempi altissimi della vostra fede cristiana, del vostro amore appassionato a Gesù e alla Madonna, della vostra intensa preghiera quotidiana, della vostra frequenza ai Sacramenti del­la Confessione e Comunione, della vostra fedeltà pu­ra alla Chiesa e al Papa, in una vita tutta lavoro, de­dizione e sacrificio, alla scuola di padre Pio, tutti que­sti vostri esempi altissimi costituiscono l’eredità più preziosa di cui noi figli non saremo mai abbastanza degni!

Tocca a noi ora non farvi «sfigurare», come voi non avete fatto «sfigurare» padre Pio, che vi terrà pronto un bel posto in Paradiso, perché dopo essere stati vicini a lui in terra, possiate stare vicini a lui anche in Paradiso.

E la benedizione speciale che vi chiediamo nel giorno felice delle vostre Nozze d’oro è appunto que­sta: che anche noi figli, come Voi, possiamo restare sempre fedeli a padre Pio, per continuare a essere sempre «la sua famiglia».

vostri affezionatissimi tredici figli

Saulo, Giambattista, Maria Teresa, Pia, Stefano, Sara, Filomena, Maria, Pio, Annamaria, Giorgio, Marcella, Giuseppe.

«QUESTA E’ LA MIA FAMIGLIA»

Padre Pio aveva una predilezione speciale per le famiglie numerose. Le amava e le proteggeva, consi­derandole focolari di grazia. Perché ogni figlio è un dono straordinario di grazia. E come si rattristava padre Pio, e come reagiva contro chi disprezzava que­sta «grazia di Dio»!

La sua speciale predilezione per la nostra famiglia numerosissima (21 figli, di cui 13 viventi) apparve manifesta, profeticamente, fin dal primo sorgere della famiglia.

Mi ricordo molto bene che, in viaggio di nozze nel 1926, da Bergamo mio marito mi condusse per la prima volta a conoscere e visitare padre Pio. Egli ci accolse come soltanto lui sapeva accogliere gli sposi, e proprio in quel primo incontro egli ci benedì e salutò dicendoci: «Crescete e moltiplicatevi». Poteva dire parole più profetiche? A mio marito più tardi dirà a proposito del numero dei figli: «Supererete i venti… ».

In confessione, il giorno dopo, in quella mia pri­ma confessione dal Padre, io gli raccomandai espres­samente di voler assistere e proteggere la nascente famiglia. Padre Pio con dolcezza e fermezza mi rispose: «E come se la proteggerò! Questa è la mia fami­glia; me l’ho assunto come un dovere».

E difatti, egli è stato sempre vicino a noi, e nei momenti drammatici, quando tutto sembrava perduto, egli arrivava, immancabilmente con il suo aiuto. E chissà da quanti pericoli e rovine ci ha salvati altre volte a nostra insaputa!

Come non lodare Dio per questo suo fedele mini­stro e rappresentante? In lui abbiamo visto, come in figura umana, la Provvidenza Divina sempre china sulle sue creature.

«MA IO NON SONO UN SANTO»

Come conobbi padre Pio? Quale fu il mio primo incontro con lui?

Ecco qui il breve racconto di quell’evento decisi­vo per la mia vita.

In gioventù io ero fuori strada. Incapace di nuoce­re a chicchessia, avevo però un modo di pensare e di vedere tutto mio.

Ammiravo Cristo, ma non riconoscevo la sua Chiesa e mi disinteressavo di ogni problema religioso. Nel 1919 conobbi per caso una persona che a un certo momento mi si rivelò in possesso di poteri dia­bolici impossibili a credersi se non si provano.

La stessa persona una volta mi disse che nei pres­si di Foggia c’era un frate che indovinava e mi propo­se di andarlo a trovare. Risposi che quelle voci erano fantasie di donnicciuole e nient’altro, e tutto finì li.

Col passare del tempo, frattanto, io incominciai a sentire come un malessere nell’incontrare quella per­sona, e decisi di non avervi più a che fare, evitandola. Non l’avessi mai fatto!

Fu allora che scoprii in lei una santa di Satana, che aveva potere di torturarmi dovunque mi trovassi, a qualsiasi distanza, in spirito e fisicamente. Non avevo più pace e certe volte mi sembrava di impazzire.

Ho bisogno di un santo

Mi ricordai allora del Frate di Foggia e proposi a me stesso di andarlo a trovare.

Cominciai a domandare di lui qua e là e venni a sapere che era un santo e si trovava in un convento a San Giovanni Rotondo, vicino Foggia.

Decisi di partire immediatamente, e questo avven­ne nel 1924.

Giunto a San Giovanni Rotondo, mi recai subito al Convento. Al primo piano del Convento incontrai un frate, gli chiesi di padre Pio: «Sono io padre Pio», rispose.

Agitato com’ero, entrai subito in argomento, di­cendogli che ero venuto da lui perché mi avevano detto che era un santo e io avevo bisogno di un santo.

Egli con faccia visibilmente sorpresa mi rispose: «Ma io non sono un santo»; e io di rimando con incre­dibile ingenuità: «Ma come! Sono venuto apposta qui, perché mi avevano assicurato che lei era un santo, e ora lei mi dice che non è un santo?».

Digiuno di cose religiose, ero proprio un bambino; non sapevo quel che dicessi; e intanto ripetevo: «Lei seguita a dire che non è un santo, mentre io cerco un santo. Allora me ne vado in Assisi; là ci sono i santi?». E padre Pio: «Sì, là ci sono i santi!».

Ma non riuscivo a rassegnarmi. Perplesso, parlavo a me stesso e mi ripetevo ancora: «Mi hanno detto di venire qui perché lei è un santo, e ora mi tocca andare in Assisi per trovare un santo…».

Salutai dicendo che sarei partito il giorno dopo per Assisi.

In fondo alle scale mi voltai per un ultimo saluto; il Padre di sopra mi fissava con sguardo così forte, che anche oggi ricordo.

Tornai in albergo; dentro di me non riuscivo a rac­capezzarmi.

La mattina dopo, alzatomi, rivedendo in un lampo tutto quel che mi era accaduto mi trovai a dirmi: «Ma perché debbo andare in Assisi, quando mi hanno detto di venire qui da padre Pio che è un santo?». Non volli più partire, e salii al Convento.

«Starò sempre vicino a te»

In sacrestia c’era, solo, padre Pio, come se mi stesse aspettando; appena mi vide mi disse: «Ma co­me, non sei partito?». E io: «Mi hanno mandato qui per trovare un santo, e ora dovrei andare a cercarlo in Assisi: no, resto qui». Mi rispose padre Pio: «Resta». Allora cominciai subito ad aprirmi, e dissi: «padre Pio, se mi aiuterà a uscire da questo inferno in cui mi trovo, io sono un uomo tenace e fedele e sarò sempre tenace e fedele a lei».

Ed egli con voce forte: «Io starò sempre vicino a te: non ne dubitare!».

Per dare appena un’idea della drammatica situa­zione di spirito in cui mi trovavo, ricordo che padre Pio una volta ebbe a dire a un amico: «Per Manelli ho im­piegato due anni a trovare il bandolo della matassa!». Il giorno dopo, incontratomi di nuovo con padre Pio in sacrestia, gli chiesi di confessarmi. «Te lo dirò io quando devo confessarti», e mi lasciò.

Ogni giorno salivo al Convento. Di giorno in gior­no aspettavo che padre Pio mi chiamasse. Finalmente dopo sei giorni mi disse: «Vieni a confessarti».

Mi confessai; era la prima volta che mi confessa­vo dopo la Confessione della mia prima Comunione. Avevo messo tutto me stesso nel prepararmi a questa Confessione. Padre Pio mi ascoltò con la più grande pazienza. Venni assolto. Ricevetti anche la Santa Comunione; e feci il ringraziamento con un ardore a me sconosciuto.

Recatomi poi in sacrestia per salutare padre Pio, lo trovai in compagnia di un gruppo di signori roma­ni; non appena mi vide, si staccò dal gruppo, venne a me e mi disse: «Questa tua Comunione sarà piena di benedizioni».

Da quel gran giorno iniziò per me il vero cammi­no verso il Regno dei Cieli.

«ACCAREZZÒ IL BAMBINO»

Quando nacque il nostro primogenito, dopo un due mesi notammo che sotto la mascella sinistra aveva un gonfiore, che si estendeva su parecchia parte del collo; sul momento non demmo peso pen­sando che sarebbe passato da sé. Col passare dei giorni, però, il gonfiore invece di diminuire aumen­tava, tanto che cominciava a sformare il volto del bambino; era un peccato, perché il bambino era molto bello e ben formato. Impressionati, ci recam­mo a Bologna e lo facemmo visitare da un chirurgo di chiara fama, professore in quella Università. Avendo visto che si trattava di un caso particolare, il professore chiamò attorno a sé gli assistenti e mentre lo illustrava loro spostava con le dita il gon­fiore fino a portarlo su la trachea; ci accorgemmo che il piccolo non poteva più respirare; senza preamboli allora il professore ci disse che si tratta­va di un tumore vascolare, che non poteva guarire; e seguitando a crescere, a un certo punto avrebbe chiuso la trachea soffocando il piccolo. Noi gli chiedemmo se era possibile operarlo; egli ci rispo­se: «Essendo nato così non si sa dove siano le radi­ci», e consigliò di aspettare fino a che il bambino avesse cinque o sei anni; ma aggiunse che le spe­ranze di salvarlo erano poche.

Pur dopo quel doloroso responso, dentro di noi speravamo sempre. Ma intanto il gonfiore, andava aumentando, accrescendo la nostra pena.

Non avevamo più la “boccia”

L’anno dopo, come ogni anno, ci recammo con il bambino a San Giovanni Rotondo da padre Pio. Notiamo che il bambino già camminava da solo.

Un pomeriggio, in sacrestia, il Padre stava di­scorrendo con alcuni signori. Il nostro bambino andò vicino a lui, che lo accarezzò; il bambino appoggiò la testina sulla tonaca alle gambe di padre Pio e rimase così per un po’ di tempo. Padre Pio continuava a conversare con quei signori e nello stesso tempo con le dita della mano sinistra sem­brava che scherzasse con la boccia del nostro bam­bino premendola e sfregandola.

Dopo aver parlato con il Padre noi andammo via, e alcuni giorni dopo ripartimmo per Bergamo. Qualche giorno dopo il nostro arrivo a casa, ci accorgemmo con stupore che il bambino non aveva più la «boccia».

Ci dicemmo allora che padre Pio, pur non aven­dogli noi detto nulla della boccia del nostro bambi­no, aveva pensato lui a far tutto con la generosità propria dei Santi.

«SIMILE NON VUOL DIRE EGUALE»

La lotta personale fra padre Pio e il demonio era una realtà misteriosa di cui a volte traspariva anche all’esterno qualche traccia, sia pure fuggevole. Una di queste tracce mi capitò di scoprire in una mattina del lontano 1930.

Mi trovavo nella piccola sacrestia dell’antica Chiesetta. Ero solo con padre Pio; giunta l’ora per lui di risalire in Convento, l’accompagnai verso l’uscita della sacrestia; dopo pochi passi, come rispondendo a un invisibile interlocutore che gli si fosse improvvisa­mente parato dinanzi e gli avesse parlato, padre Pio, pur seguitando a camminare, esclamò risentito: «Ma simile non vuol dire essere uguale». Dopo un attimo di sorpresa, compresi di colpo che si trattava di una risposta del Padre al demonio, il quale stava magnifi­cando se stesso come «simile all’Altissimo» (Is 14,14). La risposta vibrante di padre Pio dovette bru­ciargli come umiliante sferzata.

«CI STA CHI CI PENSA»

Nel 1935 ero a Fiume con la famiglia e insegna­vo lettere nell’Istituto tecnico di allora.

Il mese di agosto decidemmo di trascorrerlo al mare nelle vicinanze di Fiume e precisamente ad Abbazia-Volosca, dove avevamo preso in affitto un appartamento al secondo piano, a cui si accedeva per una scalinata con ringhiera dalle sbarre distanti l’una dall’altra un trenta centimetri.

Allora avevamo sette bambini, il maggiore di ot­to anni, il più piccolo di tre mesi, e avevamo con noi una giovane donna di servizio.

Un pomeriggio, di ritorno da Fiume in piroscafo, mi meravigliai allo scalo di non trovare mia moglie con i bambini ad attendermi, come eravamo rimasti d’accordo la mattina.

Era accaduta una disgrazia.

A casa, i bambini con la donna di servizio erano scesi nel sottostante giardino, mentre mia moglie ter­minava di allattare l’ultimo nato.

La bambina si sporse e precipitò di sotto

Ad un certo momento la donna si accorse che una delle bambine, di diciassette mesi, era senza calzetti­ne; ritornò su a prenderle con la bambina in braccio; posò la bambina per terra all’entrata, dimenticando di chiudere la porta; la bambina, uscita fuori della porta, si attaccò alla ringhiera per vedere i fratellini di sotto e sporgendosi un po’ troppo fra le sbarre larghe tren­ta centimetri, precipitò nella tromba delle scale a testa in giù, battendola sulla pietra con un tonfo da far rab­brividire, come poi riferì la padrona di casa che in quel momento si trovava a rientrare dal giardino e che gettò un urlo di spavento. La raccolse che aveva gli occhi appannati e che respirava rantolando. La padro­na da sotto gridò: «La bambina, la bambina». Mia moglie, non immaginando, mai che si trattasse di una nostra bambina, perché sapeva che stavano tutte con la donna, uscì sul pianerottolo per vedere di che si trattava, e vide allora la donna di servizio correre in fretta e furia per le scale, e istintivamente capì che cosa era successo. Scese immediatamente anche lei, prese la bambina in braccio e la portò di corsa all’o­spedale, accompagnata da un’altra figlioletta di sei anni.

Non aveva cessato di invocare Padre Pio

Giuntavi, due suore portinaie le dissero che non c’era nessun medico disponibile, perché in visita alle corsie, e non potevano essere chiamati se non in casi gravissimi. Ma, mostrata loro la bambina, una di esse, senza più far parola, corse a chiamare il medico. Frattanto la bambina respirava a sussulti, tanto che la suora rimasta, impressionata, suggerì di portarla all’a­perto. Subito fuori, mia moglie scorse a pochi passi la statua della Madonna di Lourdes e disse alla figliola che l’accompagnava: «Recitiamo un’Ave Maria alla Madonna e un Gloria a padre Pio, affinché salvino la sorellina». Mia moglie però durante il percorso dalla casa all’ospedale non aveva cessato un momento d’in­vocare la Madonna e padre Pio.

Poco dopo recitata la preghiera, la suora venne a dire che il medico attendeva di là. Mia moglie con la bambina sulle braccia si recò nell’ambulatorio, ivi la distese sul lettino e con sorpresa generale la bambina si mise a sedere da sola, anzi voleva scendere dal letto per raccogliere una scatolina, che aveva tenuto serra­ta in mano fino a qualche istante prima. Non aveva più il panno agli occhi e respirava regolarmente.

Ci aveva pensato lui salvando la bambina 

Il medico mandò a chiamare l’internista e il chi­rurgo, temendo qualche lesione o emorragia interna. Questi, sopraggiunti, la visitarono punto per punto e conclusero che la bambina non aveva nulla ad ecce­zione di qualche livido sulla testa. Consigliarono di tenere la bambina a riposo assoluto per qualche gior­no nel timore di qualche emorragia interna.

Incontrai mia moglie sulla via del ritorno dall’o­spedale. Ella mi raccontò tutto minutamente. Io non mi impressionai di nulla, e dissi soltanto, riferendomi a padre Pio: «Ci sta chi ci pensa».

Il giorno dopo, verso le undici, venne a casa l’in­ternista con due carabinieri per sapere come erano andate le cose; volle rivedere la bambina che stava giocando con tutti i fratellini; non riconoscendola, si ostinava a dire che non era quella la bambina visitata da lui…

L’anno seguente ci trasferimmo a Lucera.

Un giorno io, mia moglie e la bambina fummo convocati in tribunale, dove il medico di ufficio volle controllare la bambina e insisteva nell’affermare l’im­possibilità che la bambina durante l’anno non avesse accusato alcun disturbo. Ma noi confermammo che la bambina lì con noi non aveva avuto nessun disturbo.

In seguito ci recammo da padre Pio per ringra­ziarlo del suo miracoloso aiuto. Egli, che si trovava in mezzo ad un gruppo di persone, mi invitò a raccontar loro tutto l’accaduto. Cominciai a raccontare, e con­clusi il racconto; ma alla fine padre Pio mi guardò e mi disse: «Dì quello che hai detto tu». «Ma io non ricordo», risposi. Ed egli: «Te lo dico io; tu hai detto: “Ci sta chi ci pensa” ». E veramente ci aveva pensato salvando la bambina.

La miracolata oggi è sposata, ha quattro floridi bambini e gode ottima salute.

«QUESTO BAMBINO, IL SIGNORE LO VUOLE PER SÉ»

Franceschino: era un bel bambino, il settimo fi­glio, nato a Fiume il 24 giugno del 1935. È stato il bambino che ha avuto una storia molto breve nella nostra famiglia; la sua vita è stata un passaggio rapido di tredici mesi su questa terra per raggiungere subito il Paradiso, secondo il disegno imperscrutabile di Dio. È stato come una cometa di grazia che ha fatto ritorno molto presto a Colui che ce lo aveva donato; e il suo ritorno è stato segnato da una piccola Via Crucis di sofferenze che lo hanno reso una vera vittima inno­cente.

A pochi mesi dalla nascita, infatti, dopo il trasfe­rimento della famiglia da Fiume a Lucera, vicino a Foggia, Franceschino ebbe necessità di ricevere il lat­te da una balia, perché cresceva gracilino. Con mio marito ci informammo dal medico, il quale ci presentò una donna che aveva il suo bambino neonato, ma era in grado di allattare anche il nostro Franceschino.

Disgrazia volle, però, che quella donna, dopo qualche tempo, venne colpita dalla malaria, una ma­lattia brutta e pericolosa, a quei tempi difficilmente curabile, trasmessa anche al nostro bambino. Franceschino, infatti, ne subì subito le conseguen­ze con febbri, sudori e vomiti che lo spossavano. Povero bambino! Iniziammo subito le visite e le cure mediche che si potevano fare allora, sperando di riuscire a superare la virulenza del male. Di mese in mese, però, i pochi miglioramenti si alternavano alle ricadute che facevano sempre più temere per la vita del bambino. Franceschino era veramente bello, viva­ce, con quel suo sorriso angelico che faceva pensare davvero al Paradiso.

Nella primavera del 1936, non vedendo via di uscita per la guarigione, portammo Franceschino an­che da un medico specialista di Foggia, il quale fu molto accurato nella visita, ma non ci diede grandi speranze, mentre segnò molte medicine da comprare e ci fece spendere tanto, quel giorno, che alla fine ci tro­vammo senza neppure i soldi necessari per prendere il treno di ritorno a Lucera!…

Con tutti quei medicinali, però, c’era davvero da dubitare che un bambino così piccolo potesse mai sop­portarli. Si vedeva quanto Franceschino soffriva, di giorno in giorno, ma non si sapeva che cosa fare, si era davvero impotenti a liberarlo da quel male. France­schino si animava, comunque, e ricordo che quando vedeva papà di ritorno dalla scuola, si muoveva tutto gioioso nel suo girello e gli correva incontro come un vero angioletto felice…

Ai primi di luglio, poi, il medico ci consigliò di fargli cambiare anche aria portandolo al mare. Con tutta la famiglia, perciò, si decise di partire per Pescara pineta, negli Abruzzi; ma prima si andò tutti a San Giovanni Rotondo per visitare padre Pio e per affidare a lui Franceschino che stava sempre più male, confi­dando che la cura dell’aria marina potesse giovargli.

A San Giovanni Rotondo mio marito prese Fran­ceschino in braccio e salì su, al convento, per incon­trare padre Pio. Dopo poco, infatti, vide padre Pio, gli andò incontro e gli mise fra le braccia il bambino.

Padre Pio tenne il bambino fra le braccia per pochi istanti, poi lo baciò e lo rimise fra le braccia di mio marito dicendo queste parole con la sua voce paterna e ispirata: «Questo bambino il Signore lo vuo­le per sé!». Mio marito scese con il bambino in brac­cio, venne da me e mi ripetè subito le parole di padre Pio: «Questo bambino il Signore lo vuole per sé!». Ci guardammo un istante solo e capimmo che padre Pio ci avvertiva: il bambino sarebbe volato in Paradiso…

Durante il viaggio, ricordo che, in treno, avevo messo Franceschino disteso sul sedile. Era pallido e sofferente. Passò di là un medico, lo vide, si avvicinò, seppe che io ero la mamma e mi disse subito: «Non si accorge, signora, che il bambino potrebbe finire di vivere da un momento all’altro?». Queste parole suo­navano come un prolungamento di quelle di padre Pio, ma non mi restava altro che la confidenza nel Signore e nella Madonna.

A Pescara, comunque, si iniziò subito a curare il bambino con l’aiuto del primario dell’ospedale, che si mise a disposizione nel fare ogni tentativo possibile. Si trovò anche una nuova balia. Franceschino, però, sembrava non reagire più ad ogni cura, e quindi peg­giorava di giorno in giorno, rapidamente. Al sesto giorno, infatti, dall’incontro con padre Pio, egli lasciò questa terra, vera vittima innocente per la salvezza di molti, e volò in Paradiso dal Signore che lo voleva per sé, vicino a sé, piccolo angelo del Paradiso: egli è da allora il nostro san Franceschino!

La nostra sofferenza fu davvero grande. Il pianto di mio marito era incontenibile. Egli amava particolar­mente questo bambino e si era sacrificato fino all’ulti­mo, senza misura, per cercare di salvarlo e di farlo gua­rire. La sofferenza era mitigata soltanto dalla Fede che ci assicura che il bambino è in Paradiso; e ciò era stato confermato dalle profetiche parole di padre Pio: «Que­sto bambino il Signore lo vuole per sé!».

Due particolari delicati e belli ci furono per i fune­rali di Franceschino: la padrona di casa, commossa, volle preparare per il bambino un bell’abitino bianco da angioletto, e poi la piccola bara bianca con Fran­ceschino, messa in un drappo bianco, venne portata da quattro giovani ragazze in Chiesa e al cimitero: le ra­gazze tenevano i quattro angoli del drappo. Il signifi­cato era bellissimo: Franceschino era un angioletto portato da quattro vergini al cospetto di Dio in Para­diso. Ed è sempre lì, al cospetto di Dio, accanto alla Madonna e a san Pio che noi, genitori e figli, ritrovia­mo e ritroveremo il nostro san Franceschino, tutto immerso nell’ineffabile beatitudine divina.

«INVECE DI CRITICARLI, PENSA A PREGARE PER LORO»

Un pericolo reale per me, figlia spirituale di padre Pio, è stato quello del facile confronto che mi veniva di fare tra padre Pio e gli altri Sacerdoti. Forse è stato un pericolo per tutti i figli spirituali di padre Pio. E una volta mi dovetti accusare proprio a padre Pio di aver criticato alcuni Sacerdoti per il loro comporta­mento che lasciava apertamente a desiderare nelle co­se di Dio. Il Padre mi rispose secco: «Invece di criti­carli, pensa a pregare per loro».

Con questa risposta padre Pio volle disarmarmi dell’arma pericolosa della critica, e armarmi dell’ar­ma salutare della preghiera.

Pregare anzichè criticare. Oggi soprattutto. Così c’è solo da guadagnare, per noi e per loro. Non dob­biamo mai dimenticare l’umanità fragile dei ministri di Dio, tanto più bisognosa oggi di preghiere, perché tanto più esposta ai pericoli di questo mondo così cat­tivo. «Pregare per loro, anziché criticarli»: è una massima che può sostenerci nei momenti in cui la ten­tazione della critica ci punge con una voglia irresisti­bile. È vero che la critica, soprattutto in alcuni casi, potrà sembrarci giusta, e addirittura doverosa; ma resta il fatto che la preghiera è certamente benefica, ci mette al sicuro dagli errori di giudizio, ci fa costruire senza possibilità di sbagliarci.

Ricordiamoci che padre Pio insegnava così e faceva così: pregava, invece di criticare; anzi, pregava e sanguinava.

A noi, imitarlo fedelmente, per non farlo «sfigu­rare», come ci raccomandava di frequente.

«SALUTE E PANE QUOTIDIANO»

Nel 1933 dimoravo con la mia famiglia a Fiume, nella Venezia Giulia. Da parecchi anni io soffrivo di ipercloridia che non accennava a guarire, nonostante la rigida dieta e le cure mediche. Anzi, andavo di male in peggio. Ero ridotto in tale stato che anche bevendo acqua pura mi faceva acidità seguita da vomito che sembrava zolfo tanto era ardente.

Su consiglio di un medico mi recai a Bologna dal prof. Silvagni, clinico di chiara fama.

Il professore mi visitò, direi, con scrupolo, e con­cluse: «Lei ha i visceri sani, faccia questa cura, e gua­rirà».

Tornato a casa iniziai la cura con molta speranza, e francamente dopo pochi giorni cominciavo a stare meglio; ma questo periodo di benessere durò solo qualche settimana, dopodiché i dolori ricominciarono peggio di prima, mentre diminuivo di peso e avevo fatto il viso giallo-limone.

Consigliato da alcuni amici mi recai a Casino Boario a bere quelle ottime acque. Ne ebbi un miglio­ramento per una quindicina di giorni, subito dopo ri­cominciai a star male; non gliela facevo più a tirare innanzi non potendo riposare neppure la notte.

Decisi allora di recarmi da padre Pio. Sul posto il Padre mi chiese: «Come stai?». «Veramente non sto bene di stomaco», risposi; ma in quel momento non gli chiesi nessuna grazia; mi intrattenni con lui a par­lare e dopo tornai alla pensione in paese.

Mi guarisca lei, e non ci pensi più

La sera, come al solito mangiai un pò di mozza­rella fresca e un piattino di cicoria lessata. Dopo poco tempo dalla cena fui assalito da dolori che non avevo mai avuto fino allora, tanto che mi sentivo la fronte bagnata di sudore gelido, allora, ricordandomi che ero venuto a San Giovanni Rotondo per chiedere la grazia a padre Pio, dissi a, me stesso: «Domani mattina cer­cherò la grazia al Padre». Frattanto, per calmare i dolori, presi sciolto in un po’ d’acqua, un cucchiaio da tavolo colmo di bicarbonato di sodio, e così potei alla meno peggio riposare la notte.

La mattina, appena arrivato al Convento cercai di padre Pio. Dopo un breve scambio di parole io dissi: «Padre, lei ieri mi ha chiesto come stavo e io ho rispo­sto che non stavo bene di stomaco. Ieri sera, dopo cena, ho avuto un attacco così violento che se continua così, data la robustezza del mio fisico, potrò vivere ancora per un anno al massimo. Padre, facciamo così: mi guarisca lei, e non ci si pensi più». Padre Pio mi rispose sorridendo: «Vuoi essere guarito per i tuoi bamboletti?» (allora io ero padre’ di cinque figli, in attesa del sesto, e il primo dei figli, era di appena sei anni). Io risposi semplicemente: «Anche per quelli!».

Padre Pio alla risposta accentuò il sorriso e alzan­do la mano destra mi battè un forte colpo sulla spalla sinistra esclamando: «Salute e pane quotidiano».

Da quell’istante non ho avuto più il minimo disturbo di stomaco e a tutta la mia famiglia (oggi tre­dici figli viventi) non è mancato mai il pane quotidia­no. Da quel giorno sono trascorsi più di quaranta anni.

«VENGO IO A VOLARE CON TE»

Nel giugno 1934 fui richiamato, come capitano aviatore in congedo, per addestramento voli con desti­nazione all’aeroporto di Ferrara.

Da Fiume, ove risiedevo, mi recai prima a Firenze per la prescritta visita medica. Fui dichiarato idoneo. Impressionato e preoccupato, perché ero padre di sei figli, di cui il maggiore di sette anni e l’ultimo di un mese, mi recai da padre Pio a chiederne la prote­zione.

Padre Pio, come sempre, mi accolse col più lieto sorriso e con la più manifesta cordialità, e quando chiesi di assistermi durante i voli egli sorridendo ris­pose: «Và a volare, vengo io a volare con te». Allora partii sicuro.

A Ferrara trovai un ambiente tale che mi sembra­va di essere come in famiglia. Il Maggiore Generale, Comandante dell’aeroporto, volle che il mio posto a mensa fosse quello dirimpetto a lui, perché egli, subi­to dopo conosciutomi, amava discorrere con me. I voli poi si svolsero con tanto successo che al termine del corso venni proposto per la promozione a Maggiore.

«HAI FATTO VINCERE IL DIAVOLO»

Si sa da tutti quanto padre Pio ci tenesse all’os­servanza fedele del terzo Comandamento di Dio: «Ri­cordati di santificare la festa». Assistere alla Santa Messa e rispettare il riposo festivo erano due cose da farsi inseparabilmente e di cui egli chiedeva stretto conto ai suoi penitenti. E sono stati molti coloro che non vennero assolti dal Padre per non aver santificato a dovere il giorno festivo. Come sempre, e come in tutto ciò che riguardava Dio e l’anima, padre Pio non ammetteva sotterfugi, cose a metà, arrangiamenti. Mandava via senza assoluzione o riprendeva con in­flessibile fermezza per difendere i diritti di Dio e del­l’anima.

Ne feci le spese io stessa quella volta, tanti anni fa, che dovetti accusarmi da lui di aver lavato di do­menica una vesticciola per una delle mie bambine che volevo veder più bella vestendola a festa. Per quel lavoretto di mezz’ora al massimo, il Padre non mi ne­gò l’assoluzione, ma mi riprese con severità dicendo­mi: «Per una vanità, hai fatto vincere il diavolo!».

Fu una risposta che valse una lunga lezione e che porto ancora scolpita nella mia memoria.

Si vede proprio che i dieci Comandamenti stanno a cuore a Dio, perché la loro osservanza significa il bene e la salvezza delle nostre anime. Ma si vede che stanno a cuore, a rovescio, anche al demonio, perché ogni Comandamento non osservato è la nostra con­danna. Dio e satana lottano con la nostra libertà per­ché osserviamo fedelmente i Comandamenti o perché li calpestiamo, se non in tutto almeno in parte. Siamo noi arbitri della vittoria dell’uno o dell’altro. Di qui la nostra responsabilità di persone libere e coscienti.

Quella volta padre Pio mi svelò senza ambiguità il contenuto più tenebroso del peccato, di ogni pecca­to, veniale o mortale che sia: «Hai fatto vincere il dia­volo»: contro Dio, contro il Padre nostro che sta nei cieli. È terribile!

«NON SEI VERAMENTE PENTITA»

Fra coloro che si confessano di frequente è molto facile udire lamenti come questi: «Ho sempre gli stes­si difetti da accusare», «commetto sempre gli stessi peccati», «cado sempre nelle stesse infedeltà», «non ho da confessarmi che la… ripetizione della confessio­ne precedente…». Chi non ne ha fatto l’esperienza? Questo è un pro­blema, si direbbe, di ordinaria amministrazione. Ma per lo spirito non è né piacevole né facile a risolversi. Le risposte che si danno a quei lamenti sono moltepli­ci e varie. Io volli la risposta di padre Pio.

In una confessione, gli chiesi perciò espressamen­te: «Padre, perché non miglioro mai, cadendo sempre nelle stesse colpe? Perché non riesco a correggermi e mi ritrovo sempre uguale con i miei difetti settimana dietro settimana?».

«Te lo dico io perché – mi rispose il Padre -. Perché non sei veramente pentita dei tuoi difetti». Questo è mettere il dito sulla piaga! È scoprire la causa nella sua radice. Infatti, se non c’è difetto che non si acquista se non volendo, tanto più non c’è difet­to che non si toglie se non volendo e volendo sul serio.

Ma quando si tratta di liberarsi di un difetto, per volere davvero, è necessario pentirsi davvero, fino in fondo, del male che il difetto fa all’anima, fa alla Chiesa, fa a Gesù Crocifisso.

Pur confessandoci spesso, noi siamo capaci di tra­scinarci per anni, e magari per una vita intera, con le catene delle nostre miserie giornaliere, nella «schia­vitù umiliante dei nostri difetti», come diceva ancora lo stesso padre Pio; e questo, perché non ci pentiamo mai veramente dei nostri difetti. Pentirsi vuol dire distruggere, annientare. Chiediamo a Dio e alla Madre Santissima la grazia del vero pentimento. È una grazia di valore inestimabile. Santa Gemma Galgani arrivò a dire che la grazia del pentimento era stata «la grazia più grande ricevuta da Gesù»! Perché pentirsi signifi­ca convertirsi e convertirsi significa santificarsi.

«VERRÒ A FARTI DA ATTENDENTE»

Si era nel 1941. Come Tenente Colonnello Aviato­re in congedo venni richiamato dal Ministero dell’Ae­ronautica e destinato a Bari al comando di quel centro di aviazione.

Sorpreso per il richiamo, mi recai da padre Pio per chiedergli come mai mi avevano richiamato, quando egli, fin dall’inizio della nostra entrata in guerra a fian­co della Germania, mi aveva assicurato che non mi avrebbero più richiamato.

Incontratomi in sacrestia col Padre, gli comunicai il richiamo. Sorridendo, egli mi rispose: «Non ti trat­terranno; và, io verro a farti da attendente e ti dirò: “Signor Colonnello, Signor Colonnello”», e contem­poraneamente con la destra faceva il saluto militare e rideva di tutto cuore. Partii per Bari.

Al comando fui accolto con deferenza; mi venne assegnata una camera stile novecento e mi fu dato per attendente un giovane ventenne di Ravenna.

«Pio, signor Colonnello»

La sera stessa il capitano m’invitò a cena in un ristorante tra i migliori di Bari, e qui avvennero cose che umanamente non si possono spiegare, ma che senz’altro furono uno scherzo di padre Pio.

Ordinammo tagliatelle all’uovo, arrivarono in tavola fumanti e profumate, facevano venire veramen­te la voglia di divorarle. Cominciammo a mangiare con impegno, ma alla seconda forchettata le tagliatel­le si trasformarono in dure e tese come cotiche. Io guardai il capitano e lui guardò me, come interrogan­doci, poi il capitano chiamò con voce risentita il diret­tore e con la forchetta alzata mostrò le tagliatelle. Il direttore rimase interdetto e si scusò dicendo che non capiva come mai fossero così essendo fresche di gior­nata; le sostituì con un piatto di riso che mangiammo solo in parte, perché sfatto. Ordinammo del pesce: impossibile mangiarlo: putiva. Richiamammo il diret­tore e glielo facemmo odorare. Successe il finimondo fra il direttore e il cuoco; io dentro di me ridevo, per­ché avevo capito fin dal primo momento da dove e da chi veniva lo scherzo…

La mattina dopo venne a svegliarmi l’attendente; non conoscendone il nome, glielo chiesi, ed egli sul­l’attenti e salutandomi militarmente mi rispose: «Pio, Signor Colonnello». Immediatamente mi ribalenò in­nanzi il saluto di padre Pio prima di partire.

Dopo pochi giorni fui ricollocato in congedo, su mia domanda, per famiglia numerosa, e allora venni a sapere che, mentre il Ministero della Guerra mi aveva collocato in congedo assoluto, il Ministero dell’Aero­nautica mi aveva richiamato per errore. Tornato a casa, mi recai subito a trovare padre Pio, per ringraziarlo. Appena egli mi vide, ridendo mi disse con amabile confidenza: «Beh, professò, ti sò venuto a fà da attendente? …».

«TORNA A CASA, NON MUORE NESSUNO»

Nel 1937 eravamo a Lucera (FG). Ai primi di luglio dovevamo partire per la villeggiatura, ma una nostra bambina di dieci anni, l’ottava, si ammalò gra­vemente di gastro-enterite.

A nulla valsero le cure di più medici della città; la bambina peggiorava a vista d’occhio, si era ridotta solo pelle e ossa.

Una mattina ci accorgemmo che aveva gli occhi storti: uno guardava a destra, l’altro a sinistra; inoltre muoveva la testina continuamente in modo strano.

Chiamammo di nuovo il medico; appena la vide ridotta in quella condizione diagnosticò una meningi­te e disse che non c’era più niente da fare; aggiunse che, se volevamo, poteva rilasciare anche subito il certificato di morte, perché la bambina non sarebbe arrivata alla sera.

Noi lo pregammo di tornare il giorno dopo, egli rispose che era inutile, ma sarebbe tornato solo per farci piacere.

Non perdetti tempo; volai a San Giovanni Roton­do; incontrai il Padre in sacrestia, lo supplicai di aiu­tarmi e di non far morire la mia bambina. E il Padre in risposta: «Torna a casa, non muore nessuno».

«Ma è questa la bambina di ieri?»

Al ritorno trovai mia moglie con delle signore vicino, che cercavano di farle coraggio, perché la bam­bina durante la mia assenza aveva peggiorato tanto che sembrava dovesse spirare da un momento all’altro.

Io piuttosto bruscamente allontanai quelle signore comunicando loro quel che padre Pio mi aveva detto. Sul loro volto, mentre se ne andavano, vidi come un’e­spressione di compatimento.

La bambina intanto si addormentò, si risvegliò durante la notte: meravigliati notammo che gli occhi ora li aveva diritti e che la testina non la muoveva più. Le demmo un po’ di acqua da bere e si riaddormentò. La mattina appena sveglia, la bambina, con quale nostra meraviglia è facile immaginarlo si mise a gio­cherellare sul letto, come faceva quando stava bene.

Poco dopo le ore undici ritornò il medico creden­do di trovarla morta, e invece trovò la bambina che rideva e giocava.

Egli chiese: «Ma questa è la bambina di ieri?». «Sì», rispondemmo. La visitò scrupolosamente e me­ravigliandosi del repentino cambiamento disse che la bambina non aveva assolutamente più niente; se vole­vamo potevamo partire subito per la villeggiatura; ciò che facemmo.

«LO SAI CHE MADRE È SINONIMO DI MARTIRE?»

Una fra le tante cose belle in padre Pio era il suo parlare vivo e denso, con parola forte e affabile insie­me, senza mai addolcimenti superflui. Un parlare che sosteneva, nutriva.

A me è capitato che nella mia vita di madre, via via che si moltiplicavano le mie maternità e i figli mi venivano alla luce come splendidi doni di Dio, perché creature destinate al Paradiso, si moltiplicavano anche i travagli per il loro sostentamento, la loro crescita e la loro educazione. Senza soste, senza respiro, giorno dopo giorno mi ritrovavo tra i mille affanni della fami­glia. C’era qualche momento buio di sconforto, ma quasi sempre non c’era neppure il tempo di pensarci su. Dovevo muovermi, affaccendarmi, sbrigare.

Una volta, in uno di quei momenti di buio, mi capitò di trovarmi a San Giovanni Rotondo e di poter­mi confessare dal Padre. Ne approfittai per presentar­gli la mia depressione a causa dell’assillo quotidiano nella cura della numerosa famiglia (avevo già otto figli allora). Il Padre mi ascoltò, e poi, con tono forte e insieme affabile mi disse: «Ma tu che cosa vuoi?… Lo sai che madre è sinonimo di martire?» Era un rim­provero e un conforto nello stesso tempo. Mi richia­mava illuminandomi e consolandomi. Il buio che ave­vo dentro si dissolse alla luce della missione eroica di madre; lo sconforto si trasformò in conforto nell’in­travedere l’aureola del martirio sul mio compimento dei doveri materni.

Né c’è bisogno di dire che il Signore e la Madon­na mi hanno sempre sostenuto in questo martirio quo­tidiano, tanto più quando i figli diventarono tredici. Questo aiuto mi divenne così naturale che non ci face­vo più caso, e anzi finii col credere che ce la facevo in tutto da me. Una volta il Padre mi richiamò anche su questo: «Figlia mia, non credere alle tue forze, perché è tutto l’aiuto di Dio che ti sostiene, altrimenti non ce la faresti per nulla a portare avanti la famiglia con i tuoi dieci figli».

Sì, solo il Signore è la nostra forza. Ce lo ha detto Lui stesso: «Senza di Me non potete fare nulla».

«IL DEMONIO È SEMPRE IN VEGLIA»

Eravamo nell’agosto del 1941 e come da parecchi anni anche in quello avevamo deciso di trascorrere un mese estivo a San Giovanni Rotondo, vicino a padre Pio.

Prendemmo in affitto un appartamentino nei pressi del Convento. A quel tempo avevamo nove figli e si era in attesa del decimo, che sarebbe dovuto nascere per la fine di settembre. Io mi intrattenevo spesso a discorre­re col Padre, e la sera, dopo la funzione, andavo con lui in giardino insieme con altri suoi figli spirituali.

Alla fine di agosto dovevamo rientrare a Lucera, dove risiedevo; mia moglie, il giorno prima di partire, in confessione, salutò ìl Padre, dicendogli che il gior­no dopo sarebbe ritornata a Lucera, poiché si avvici­nava il tempo del parto; il Padre, come meravigliato le disse: «Ma come? Te ne vai?».

Che ne faremo di questo bambino?

Mia moglie ebbe l’impressione che il Padre aves­se piacere che rimanessimo ancora a San Giovanni, e rispose: «Padre, allora ne vogliamo fare un sangio­vannaro di questo bambino che sta per nascere?». E lui serio: «Sì, un sangiovannaro».

Pregato, ci aiutò presso il padrone dell’apparta­mento, affinché ci lasciasse stare per altri due mesi. Decidemmo di rimanere.

Trascorso qualche giorno, una sera, mentre io, il Padre e parecchi altri eravamo in giardino, all’im­provviso il Padre voltandosi verso di me disse: «Tu come farai a riportare a casa il bambino che deve nascere?». Sorpreso risposi: «Perché Padre? Come ri­conduco a casa gli altri, ricondurrò anche lui». Padre Pio scuoteva la testa, e io pensai lì per lì che egli volesse alludere alle difficoltà del viaggio: a quel tem­po c’era una sola corriera in servizio San Giovanni Rotondo – Foggia e per salirvi bisognava fare una vera lotta, essendovi sempre gran folla, né d’altra parte era possibile trovare un taxi; per questo soggiunsi: «Perché Padre? Si può soffocare?». Il Padre, metten­do due dita allargate alla gola rispose: «Sì, soffocare, soffocare».

Verso la metà di settembre mia moglie in confes­sione chiese al Padre, come altre volte aveva fatto, che nome doveva mettere al bambino. E lui rispose: «Chiamalo Francesco come me». Dal nome capimmo che sarebbe nato un altro maschio.

«Che Iddio ti assista»

Intanto per il paese si era sparsa la notizia che il bambino sarebbe stato battezzato da padre Pio; parec­chi nostri conoscenti si offrirono a fare da padrino; ma poiché, scegliendo uno invece di un altro, sarebbero sorti dei malumori, decidemmo di chiedere al Padre chi doveva essere il padrino. Il giorno dopo in confes­sione glielo chiesi. Egli mi rispose: «Se è una femmi­na falla tenere alla moglie dell’avvocato Morcaldi». Ma poiché noi dal nome indicatoci precedentemente sapevamo che doveva nascere un maschio, io dissi: «E se sarà maschio?». Ed egli: «Se sarà maschio il pa­drino lo troveremo»; subito dopo si alzò e andò via.

Noi però eravamo tanto sicuri che sarebbe stato un maschio, che non ci preoccupammo affatto di conoscere la madrina indicataci dal Padre.

Nel frattempo ci eravamo dati da fare per trovare una donna di servizio. Ci raccomandammo al Padre, perché ci aiutasse a trovarla; lui rispose: «Voi cercate­la, se non la trovate verrò io, così diranno che padre Pio fa anche da levatrice»!…

I tempi stringevano e la donna, non riuscimmo a trovarla. Si era alla vigilia di san Francesco, il termi­ne per il parto era scaduto da una decina di giorni; la mattina del 3 ottobre mia moglie andò a confessarsi, pur non sentendosi tanto bene; disse a padre Pio che Francesco si faceva già sentire, e il Padre le rispose: «Che Iddio ti assista».

Nacque al lume di una lucerna

La sera, dopo la funzione eucaristica, andai come al solito in giardino con il Padre e con altri; il Padre a un certo punto si voltò verso di me e bruscamente mi disse: «Il demonio è sempre in veglia, non smonta mai, è sempre alle nostre calcagne, vegliamo e pre­ghiamo».

Faccio presente che mia moglie aveva avuto un’ottima gravidanza; una ventina di giorni prima del parto, l’ostetrica, dopo averla visitata, aveva assicura­to che tutto era a posto.

Tornato a casa riferii le parole del Padre: «Il de­monio è sempre in veglia… ». Poco dopo mia moglie avvertì le prime doglie. Si aspettò qualche po’ per as­sicurarci, poi mi recai al paese a chiamare l’ostetrica. Mentre camminavo per la strada pregavo e con mia grande sorpresa mi accorgevo di recitare il «Gloria Patri», e a metà di finirlo con le parole del «Requiem».

Tornai a casa con l’ostetrica, ma questa, visitata mia moglie, si mise le mani nei capelli dicendo che era un parto terribile. Chiese l’assistenza di un medi­co che, data l’ora (erano le ventitrè) era difficile repe­rire. Dopo parecchi tentativi trovammo un medico generico, il quale, dopo aver visitato mia moglie, disse che bisognava ricoverarla d’urgenza all’ospeda­le di Foggia. Ma dove trovare una macchina a quel­l’ora?… Il medico fece tutto il possibile, poi spiegò che si trattava di un parto trasversale, che il bambino era molto grosso, bisognava capovolgerlo e tirarlo fuori per i piedi, ciò che fu fatto con molta fatica (ri­cordiamo che a quell’epoca nelle case lungo la strada del Convento non vi era né luce, né acqua). Il parto si svolse al lume di una lucerna, tra l’emozione mia, la preoccupazione del medico e dell’ostetrica che face­vano vivo contrasto con la forza d’animo e la serenità di mia moglie. La presenza di padre Pio era innega­bile!

Verso l’una nacque Francesco, pesava circa cin­que chili, era bellissimo, ma dopo pochi attimi, appe­na il tempo di battezzarlo, morì per soffocamento; notammo più tardi che attorno al collo aveva un alone bluastro. Fu sotterrato a San Giovanni Rotondo e di­venne un sangiovannaro. Mia moglie non ebbe a sof­frire nessuna conseguenza.

Capimmo quanto costò a padre Pio

Il giorno dopo venne a trovarci una signora di San Giovanni; ci disse che tanto volentieri avrebbe fatto da madrina se fosse stata una bambina, ma mia moglie rispose che padre Pio già aveva indicato l’eventuale madrina: la moglie dell’avv. Morcaldi, già sindaco di San Giovanni. La signora scattò in piedi dicendo: «Ma la moglie dell’avo Morcaldi è morta da quattro me­si!».

Restammo senza parola, e capimmo bene allora quanta ansia e quanto dolore dovettero costare a padre Pio il difficile e pericoloso parto e la salvezza di mia moglie.

«MA IO DEBBO STARE SEMPRE A FAR MIRACOLI A CASA TUA»

In un giorno dell’estate 1942 mi recai da padre Pio. Il Padre aveva finito di confessare; lo trovai in sacrestia che discorreva in mezzo ad un gruppo di per­sone; mi unii a loro. Improvvisamente il Padre, vol­tandosi verso di me, quasi gridando mi dice: «Ma io debbo stare sempre a far miracoli dentro casa tua?…». Io non comprendevo nulla di quelle parole. Ma capii quando rientrai in famiglia, dopo alcune ore. Mia moglie appena mi vide mi raccontò che il nostro figlio maggiore, quindicenne, la stessa mattina si era recato con dei compagni coetanei a fare un ba­gno in un laghetto non molto lontano da casa nostra. Egli e i compagni si divertivano nuotando da una sponda all’altra. Dopo qualche tempo, stanchi, deci­devano di tornare a riva per far ritorno alle loro case. Giunti alla riva, però, i ragazzi si accorsero che nostro figlio mancava. Guardarono in giro per il laghetto, ad un certo momento videro uscir fuori dall’acqua la te­sta di nostro figlio e subito dopo sommergersi, e que­sto per più volte. Capito il pericolo in cui si trovava il compagno, parecchi giovani si slanciarono in acqua e dopo molti sforzi riuscirono ad afferrarlo e a tirarlo a riva.

Quando nostro figlio si riebbe dallo choc narrò che se i compagni avessero tardato ancora pochi atti­mi, non ce l’avrebbe fatta più a ritornare a galla.

Controllata l’ora dell’accaduto, essa corrisponde­va all’ora in cui il Padre mi aveva detto: «Ma io debbo stare sempre a far miracoli a casa tua?».

«LA SALVEREMO UN’ALTRA VOLTA»

A Lucera, nei 1942, una nostra bambina si am­malò di reni. Aveva le urine rosse di sangue, e ogni volta che le faceva erano pianti e gemiti.

I medici della città consultati non ci vedevano chiaro, le loro cure non giovarono. E la bambina peg­giorava.

Mi recai allora da padre Pio, e gli dissi: «Padre, la stessa bambina che mi avete salvato una volta ora sta molto male». Ed egli: «La salveremo un’altra volta».

Tornato in famiglia, poiché la situazione era oscu­ra e la bambina soffriva molto, decidemmo di condur­la a Roma dal prof. Mingazzini, che, dopo gli accerta­menti in analisi e radiologia, ci comunicò che la bam­bina aveva un calcolo al rene e che era necessario l’in­tervento chirurgico.

Fu operata dallo stesso prof. Mingazzini nella cli­nica San Giuseppe a Roma.

L’operazione riuscì bene, il professore mi conse­gnò anche il calcolo grosso come un cece.

Il terzo giorno dall’operazione, però, la bambina cominciò a star male ed era molto abbattuta; anzi, ad un certo momento notai che aveva un respiro molto irregolare: chiamai la suora, che, appena vistala, ne capì la gravità; corse subito alla ricerca di un medico, anche per telefono, ma essendo domenica non ne tro­vò, e in quel momento non era presente in clinica neanche il medico di turno. Chiesi allora alla suora se la bambina così come respirava poteva morire; mi rispose che poteva morire da un momento all’altro. Pregai la suora di rimanere vicino alla bambina, men­tre io andavo a fare un telegramma a padre Pio. Lungo il tragitto, in lagrime, io pregavo con tutto il cuore padre Pio di venire subito in soccorso. Al mio ritorno in clinica, con grande meraviglia, trovai la bambina completamente cambiata e serena, soprattutto respira­va regolarmente; la suora però non c’era.

Le chiesi come mai era sola, mi rispose che la suora era andata via da poco e che subito dopo le era uscito un pò di sangue dal naso, che aveva asciugato col suo fazzolettino, e si era sentita bene.

Di colpo capii che padre Pio aveva risposto al mio grido di aiuto con la rapidità del lampo e aveva salva­to la mia bambina per la seconda volta.

«CHE VUOI DI PIÙ?»

La Provvidenza Divina e la povertà erano carissi­me a padre Pio. Non le separava mai, e cercava di farle amare sempre insieme. La Provvidenza fa china­re Dio sulle creature. La povertà fa innalzare i cuori delle creature a Dio. La Provvidenza assicura il pane quotidiano, la salute necessaria, il lavoro indispensa­bile per la vita. La povertà assicura il distacco da que­sto esilio, la speranza nella Patria dei cieli, il guada­gno dei beni celesti, come disse Gesù.

Queste riflessioni mi sono venute spontanee ri­pensando a una lontana confessione che feci da Padre Pio. Si era, allora, nei tempi più tristi dell’ultima guer­ra mondiale. La scarsità dei mezzi di sostentamento pesava dolorosamente su tutti. Nella nostra famiglia, molto numerosa, si era ridotti persino a dover dormi­re su tavole, coperti alla meglio, senza molte di quel­le cose ritenute necessarie.

In quella confessione, me ne lamentai con padre Pio, dicendogli la mia grande pena nel vedere soprat­tutto i bambini dormire a quel modo, senza poter provvedere in nessun modo. Ricordo che padre Pio prima mi ascoltò attentamente, poi mi chiese deciso:

«Ma i tuoi bambini stanno tutti bene, sì o no?».

«Sì, Padre, stanno veramente tutti bene». «E allo­ra? Ci sono di quelli che tengono i loro figli nell’o­vatta con tutte le comodità, e ne hanno sempre una addosso; i tuoi bambini invece non hanno dove dor­mire, ma stanno sempre bene: che vuoi di più? …». Giusto. Povertà e Provvidenza, ossia, ricchezza di grazia e di salute. Che cosa volere di più?

«SARESTE MORTI TUTTI SCHIACCIATI»

Nella primavera del 1943 la nostra famiglia si tro­vava a Lucera (FG), in via Federico II. Si viveva in una bella casa, in affitto, con tre camere da letto, una grande camera da pranzo, la cucina, una terrazza, un bel corridoio e i servizi.

La famiglia era composta di nove figli, di cui l’ul­tima, Anna Maria, piccola di alcuni mesi. Almeno una volta al mese si andava tutti a San Giovanni Rotondo, da padre Pio da Pietrelcina, per un incontro e la con­fessione.

Nella primavera del 1943, appunto, in questa casa di Lucera avvenne un fatto drammatico che avrebbe potuto distruggere in un attimo l’intera nostra fami­glia, senza la protezione speciale di padre Pio e l’assi­stenza degli Angeli Custodi.

A quel tempo mio marito, Preside della Scuola Media di Lucera, ogni mattina si alzava presto e, dopo la santa Comunione nella vicina Chiesa di San Fran­cesco, si recava a scuola per il lavoro di presidenza.

Ebbene, quella mattina di primavera mio marito non volle alzarsi perché avvertiva un malessere inde­finibile che lo prostrava. Rimase a letto, infatti, incaricando uno dei figli che andava a scuola di far pre­sente al segretario della scuola che egli non sarebbe andato perché indisposto.

Per l’intera mattina mio marito rimase a letto, pre­gando o leggendo qualcosa. All’ora del pranzo, poi, rientrati tutti i ragazzi dalla scuola, pronta la tavola per il pranzo con la pasta asciutta già nei piatti, andai a chiamare mio marito perché venisse a mangiare a tavo­la con la famiglia, come sempre. Ma, con mia sorpre­sa, la sua risposta fu negativa, dicendomi che preferiva restare ancora a riposo, pur sentendosi un po’ meglio. Rimasi male a quel diniego; non riuscivo infatti a spie­garmi quel rifiuto di venire a mangiare a tavola con tutta la famiglia, dal momento che egli stava un po’ meglio. Mio figlio più grande si accorse del mio di­spiacere e mi disse che andava lui a convincere papà perché venisse a tavola. Ma anche lui tornò dicendo che papà preferiva restare ancora a riposo.

I bambini erano già in piedi attorno alla tavola e aspettavano che si dicesse tutti insieme la preghiera prima di mangiare. Dispiaciuta perché mio marito era assente, feci fare io a tutti la preghiera comunitaria prima del pranzo, ma lasciai che i ragazzi iniziassero a mangiare mentre io, anziché sedermi a tavola, mi recai in cucina per sbrigare qualc’altra cosa.

A quel punto, però, mentre io stavo in cucina, avvenne un fatto incredibile: uno alla volta i ragazzi, chi con il piatto di pasta in mano e chi senza, lascia­vano la tavola e si spostavano sulla vicina terrazzina, senza nessun motivo che potesse spingerli a lasciare la tavola. Stefano fu l’ultimo a lasciare la tavola e stava sulla soglia della terrazza proprio mentre io, affac­ciandomi per caso dalla porta della cucina sulla ter­razza, vidi quel movimento strano di tutti i figli e mi misi a gridare: «Ma siete tutti impazziti?… Solo per­ché papà oggi non è a tavola…»: in quel preciso istan­te, però, mi si spezzarono le parole in bocca, perché nella sala da pranzo si udi un boato con uno schianto spaventoso, seguito da un polverone accecante, ac­compagnato da grida angosciose: «Aiuto!… Aiuto!… Aiuto!… ».

Che cosa era successo? Era successo che la metà della volta della sala da pranzo era caduta proprio sulla tavola attorno alla quale pochi momenti prima si trovavano tutti e nove i miei figli! E quelle grida di aiuto che si udivano in quel momento erano le grida di due donne – una signora anziana e una signora più gio­vane – cadute giù dal piano superiore dove abitavano. Pochi istanti dopo, infatti, udii bussare freneticamente con pugni alla porta della nostra casa: erano i parenti che si precipitarono a soccorrere le due donne cadute in casa nostra.

A quel punto arrivò subito anche mio marito tutto spaventato. Furono attimi tremendi di angoscia per tut­ti e due. Radunammo immediatamente i nostri figli, e li avemmo subito tutti vicini a noi, ed erano tutti sani e salvi! Inspiegabilmente, infatti, essi avevano abbando­nato la sala da pranzo e la tavola pochi istanti prima del crollo. In sala da pranzo era rimasta soltanto la bambi­na più piccola, Anna Maria, che non subì alcun danno perché stava sul seggiolone in fondo alla sala da pran­zo, sotto la metà della volta che non era caduta.

Immediatamente, commossi, ringraziammo Iddio, la Madonna e il nostro protettore, padre Pio. Comprendemmo subito, infatti, che senza una speciale provvidenza sarebbe accaduta una vera trage­dia per tutta la famiglia. Osservammo anche un parti­colare terribile: proprio sul posto dove si sarebbe se­duto mio marito a tavola era caduta una lastra di mar­mo di cinquanta chilogrammi; e proprio accanto a mio marito mi sarei seduta anch’io a tavola!

Ci rendemmo conto allora perché papà non potè né alzarsi quella mattina, né partecipare al pranzo con la famiglia. La sua presenza a tavola, infatti, avrebbe significato la tragedia per tutta la famiglia, perché nes­suno si sarebbe mosso da tavola durante il pranzo, e la caduta della volta avrebbe schiacciato tutti inesorabil­mente. Quando, infatti, mio marito raccontò il drammatico episodio a padre Pio, questi esclamò subito con voce grave: «Sareste morti tutti schiacciati!». Tutto si è salvato, invece, per la grandezza della Provvidenza di Dio, dell’assistenza della Madonna, della protezione di padre Pio.

Come spiegare, intanto, che i ragazzi si mossero tutti dalla tavola abbandonando la sala da pranzo, chi con il piatto e chi senza il piatto di pasta fra le mani? Durante il pranzo, infatti, era di norma che nessuno si muoveva dalla tavola prima della fine del pranzo. Come spiegare, allora, quel muoversi di tutti senza nessun motivo particolare di richiamo? Con mio mari­to abbiamo dovuto pensare agli Angeli Custodi che in quei momenti spingevano e quasi portavano tutti i ra­gazzi lontani dalla tavola e fuori della sala da pranzo proprio per salvarli dal pericolo incombente. Grazie, cari Angeli Custodi!

Da questo drammatico fatto impariamo particolar­mente quanto grande deve essere la nostra gratitudine verso padre Pio che con le sue preghiere e i suoi sacri­fici non si stancava mai di proteggerci e di scamparci dai pericoli. Veramente noi siamo sempre la «sua» fa­miglia, e vogliamo esserlo davvero sempre, sulla terra e nei cieli.

LA MADONNA E IO TI SALVEREMO

Nel 1943 ero Preside della scuola media di Luce­ra. Nell’aprile dello stesso anno mi recai da padre Pio. Arrivai che il Padre, come mi fu detto, era solo nel coro della piccola chiesetta. Salii da lui, ma poiché stava seduto con la testa fra le braccia appoggiate a semicerchio al banco, non volli disturbarlo e restai in attesa. Nel frattempo guardavo davanti a me il quadro di Santa Maria delle Grazie.

Mentre guardavo, improvvisamente sul volto del­la Madonna apparve il volto di padre Pio, scomparve dopo pochi attimi riapparendo il volto della Madonna,

e poi di nuovo il volto del Padre e ancora il volto della Madonna, e così per qualche minuto ancora. Stupefat­to mi girai a guardare il Padre che stava sempre nella stessa posizione in cui l’avevo trovato; rivoltomi ver­so il quadro della Madonna il fenomeno riprese e con­tinuò ancora per poco, finché non cessò del tutto.

In quel frattempo il Padre si alzò, io gli andai vici­no, lo salutai e discorremmo per breve tempo. Tornai a casa rigirandomi sempre in mente quel fenomeno che non riuscivo a spiegare; riferii in fami­glia, ma nessuno dei miei ci capì niente.

La morte era lì a un passo

Qualche mese dopo mi recai dal Provveditore a Foggia; mentre stavo salendo suonò l’allarme; dagli uffici fu un fuggi fuggi generale. Anch’io scesi in fret­ta le scale, arrivai all’inizio del corso presso la grande fontana, lì, vicino c’era un rifugio, fui invitato ad en­trare, risposi che preferivo morire all’aria aperta (quel rifugio fu distrutto dalle bombe e ci furono numerosis­sime vittime).

A lenta corsa arrivai fino al monumento ai caduti, ma siccome il bombardamento si spostava attorno a me colpendo la villa e al mio fianco Pian delle Fosse, avendo visto crollare una casupola a pochi passi dal­l’albergo Roma, mi gettai ventre a terra.

Da tutte le parti si udivano gli scoppi delle bombe e cadevano vetri e calcinacci con fragore. Ero solo, attorno a me un’atmosfera di morte; invocai la Ma­donna e padre Pio; in fretta mi raccomandai l’anima a Dio, chiesi misericordia; la morte era lì a un passo. Ad un certo momento vi fu una pausa nel bom­bardamento, mi alzai da terra, attorno a me vedevo pezzi di vetro e calcinacci, ma, cosa strana non una scheggia mi aveva toccato. Ricominciai a correre e nel frattempo il bombardamento riprese più forte dalla parte degli impianti del gas.

Allora io presi dalla parte opposta e mi allontanai verso la campagna. Il bombardamento spostandosi or qua or là durò ancora per parecchio tempo.

Mia moglie mi credeva morto

Verso il tramonto già esso era cessato; mi avvici­nai alla città: era tutta una immensa maceria in più punti ancora in fiamme, le strade erano cancellate; quel giorno vi furono più di novemila morti. La ferro­via era stata distrutta, il centro della città era irricono­scibile, non riuscivo a raccapezzarmi per trovare la strada diretta a Lucera.

Camminai a caso per parecchio tempo attraverso i campi; per grazia di Dio ebbi la ventura di trovarmi a un certo momento sulla strada per Lucera. Passavano macchine alla volta di Lucera, con i segni speravo che qualcuno si fermasse, ma non ne ricavavo nulla. Quando mi erano cadute tutte le speranze, una macchina a cui avevo fatto cenno ma che aveva conti­nuato a correre come le altre, contro ogni previsione si fermò e fece marcia indietro verso di me, invitandomi a salire; era la macchina di un signore di Lucera che io conoscevo bene e che mi aveva riconosciuto. Egli in quel bombardamento aveva avuto il cognato morto.

Alle nove di sera giunsi a casa; mia moglie mi credeva morto; la casa era piena di professori che cer­cavano di farle coraggio; fu per tutti uno scoppio di gioia allorché mi videro entrare sano e salvo.

Rimasti soli io e mia moglie capimmo il vero si­gnificato dell’apparizione del volto di padre Pio sul volto della Madonna, e cioè: la Madonna e io ti sal­veremo.

TRA LA VITA E LA MORTE

Eravamo in periodo di guerra, gli alleati erano ar­rivati anche a Lucera, reparti canadesi vi si erano sta­biliti. Vigeva il coprifuoco. I soldati andavano sempre in cerca di vino, per cui si lamentarono atti di violen­za e anche morti.

Una sera io e un mio amico ci affrettavamo a rien­trare alle nostre case, e già eravamo quasi arrivati, quando un giovane canadese eccezionalmente alto e snello ci fermò bruscamente gridandoci ripetutamente sul viso: «Vino, vino».

Noi cercammo di fargli intendere che le cantine a quell’ora erano chiuse, e facemmo per andarcene, ma egli ci sbarrò il passo e infuriando trasse fuori una grande pistola, appoggiandone la bocca sul mio petto; nello stesso tempo mi offri una sigaretta e mi co­mandò: «Fumare, fumare». Di rimando io risposi: «Non fumare, non fumare»; egli, premendo ancor più la pistola sul petto mi ripeté con voce minacciosa: «Fumare, fumare». Di rimando io risposi: «Non fuma­re, non fumare» e dentro di me a gran voce chiamavo la Madonna e padre Pio dicendo: «Accorrete se no questo ci ammazza».

Il soldato canadese, come sorpreso e scombusso­lato dalla mia resistenza, ritirò la pistola inaspettata­mente, e la portò e puntò sul petto del mio amico, in­giungendogli ancor più imperiosamente: «Fumare, fu­mare». L’amico, che era balbuziente, per lo spavento senza più balbutire, subito rispose: «Sì, fumare», e tol­ta la sigaretta dalla mano del canadese che gliela ac­cese, la fumava, sprigionando dalla bocca il fumo con voluttà.

La ronda ci liberò dal pericolo

Eravamo spaventati, non sapevamo come liberar­ci; lì a pochi passi c’era una cantina chiusa, il mio amico che conosceva la padrona, bussò alla porta chiamandola a nome; la padrona, riconosciutolo alla voce, apriva pian piano la porta. Nello stesso tempo il soldato canadese si portò con un balzo davanti alla porta spianando contro essa la pistola; appena la don­na lo scorse cacciò un urlo e precipitosamente rin­chiuse.

Le cose si mettevano al tragico; dentro di me non cessavo d’invocare la Madonna e padre Pio; final­mente sopraggiunse l’aiuto.

Passava poco lontano da noi la ronda; ci scorse e si avvicinò. Esponemmo la situazione, pregando di provvedere a farci tornare alle nostre case non lonta­ne. Il comandante capì e subito trattenne presso di sé il soldato canadese mettendoci in libertà per raggiun­gere le nostre case.

La mattina dopo venimmo a sapere che il canade­se lasciato poi libero dalla ronda, camminò innanzi e indietro davanti alla cantina sparando poco dopo un colpo di pistola contro di essa.

In seguito io seppi da un nostro conoscente quel che disse padre Pio allorché gli fu riferito l’accaduto: il pericolo più grande di morte io lo avevo attraversa­to quando il soldato canadese mi puntò la pistola sul petto. Mi trovai davvero fra la vita e la morte.

«NON FARA’ IN TEMPO»

Eravamo in guerra contro la Germania nel 1944. Tutto il mondo era sotto il terrore di Hithler; i suoi slo­gans, tra i quali «Mezzanotte e non più mezzanotte», gelavano il sangue. Si parlava di armi segrete germa­niche di spaventosa micidialità e si temeva che potes­sero venir fuori da un momento all’altro.

Io, come di abitudine, mi recai da padre Pio per una visita. Incontratomi con il padre, gli chiesi se le tremende armi germaniche di cui si parlava ovunque sarebbero state da Hitler usate e quando. Padre Pio mi guardò fermo e dopo qualche momento di silenzio mi rispose: «Non farà in tempo».

È universalmente noto, oggi, che la bomba atomi­ca tedesca non poté essere ultimata prima della fine di Hitler.

Padre Pio profeta, semplice e sicuro leggeva nel futuro i piani degli uomini con i loro limiti e le loro scadenze. Una luce superna riempiva la sua mente per cogliere quel futuro che sta solo nelle mani di Dio.

«IL FUTURO CHE È PRESENTE»

Si era nel periodo di liberazione dell’Italia da parte degli alleati; vi era confusione e disorientamento, per­ché poste e ferrovie non funzionavano quasi più; l’Ita­lia era divisa in due; i soldati in servizio al nord non potevano comunicare con le loro famiglie al sud. Padri e madri erano molto preoccupati, spesso angosciati. Sapendo che io mi recavo frequentemente da Lucera a San Giovanni Rotondo per incontrarmi con padre Pio, venivano a casa mia, pregandomi di chiede­re al Padre notizie dei loro figlioli. Ogni volta quindi che io mi recavo da padre Pio portavo con me un foglio con molti nominativi. E questo è avvenuto per parec­chie volte.

Non una volta il Padre ha dato una risposta che non rispondesse a realtà! Cito alcuni fatti.

Un capitano della polizia, a Roma, ricercato dai tedeschi, si teneva nascosto, e siccome da più di un anno non aveva dato notizie di sé né alla moglie, né alla suocera, i suoi lo piangevano per morto. Ne par­lai a padre Pio, e mi disse: «Stringe la cinta, ma è vivo». Infatti appena liberata Roma ritornò in famiglia che era irriconoscibile, diminuito di peso di ben qua­rantadue chilogrammi!

Un altro soldato da un paio di anni non dava più sue notizie. Si sapeva solo che era prigioniero in Russia. Quando chiesi notizie di lui al Padre, egli mi rispo­se: «C’è un filo di speranza». Il tempo però passava e questo soldato non si faceva vivo. Un giorno ritornò piangendo da me la madre, dicendomi di aver saputo da un soldato reduce dalla Russia che suo figlio parec­chi mesi prima del suo ritorno era stato trasferito in un campo di concentramento da cui molto difficilmente si usciva vivi. Riferita la cosa al Padre, egli con faccia sorridente mi rispose: «Dì a quella mamma, che apris­se pure il cuore alla speranza». Portai la notizia alla madre, che però nel suo dolore rimase incredula. Ma il Padre ben sapeva quel che diceva. Due sere dopo, in­fatti, quando i famigliari erano a letto sentirono bussa­re alla porta colpi robusti, andarono ad aprire e si tro­varono davanti il loro figliolo.

Aggiungo che il Padre era molto triste quando doveva dare una brutta notizia. Mi diceva: «Non ho il coraggio di dire ad una madre che suo figlio è morto».

Ci fu una madre che continuamente veniva a pre­garmi di chiedere al Padre qualche notizia di un figlio di cui da tre o quattro anni non sapeva più nulla. Il Pa­dre mi rispose triste, triste: «Lo vedo scuro scuro». Il giovane, infatti non ritornò più.

«TIENILI STRETTI»

Far pregare i ragazzi e i bambini! In una famiglia numerosa, con figli grandi, meno grandi, e piccini, ce n’è da affannarsi per poter radunare tutti in preghiera. È una delle gioie più pure e profonde vedere tutta la famiglia pregare unita; ma è una tribolazione senza fine ottenere che i figli preghino e sorvegliare perché preghino come si deve. Ne ho dovuto raccontare di storie e di favole ai miei bambini per radunarli e tener­li attenti, prima di recitare il Santo Rosario ogni sera! Volti angelici e cuori innocenti…, li rivedo ancora tutti attorno a me con una commozione che mi è sempre nuova.

Ma anche su questo punto, mi è capitato a volte di non sapere esattamente cosa fare e come fare, special­mente con i figli più grandi che tendono a sfuggire la preghiera. Non sempre sapevo bene se esigevo troppo o meno, se dovevo essere più indulgente o continuare con mano ferma. Parlai anche di questo a padre Pio, per potermi regolare secondo la sua direttiva. «Padre, – gli dissi – come debbo comportarmi per far pregare i miei figli? Mi accorgo che pregano male, si distrag­gono con facilità; c’è chi scappa da una parte, chi sfugge da un’altra; chi non vuoi pregare, chi pensa a scherzare… Come fare, cosa fare?». «Tienili stretti! Tienili stretti!» mi rispose subito il Padre. Non cedere, quindi, né lasciar correre. La natura segue spontanea­mente la china errata, ma comoda, degli istinti ciechi. E i ragazzi ne sono le prime vittime inesperte, se non vengono tenuti a freno con la disciplina. Responsabili siamo noi genitori a cui tocca questo vigile sforzo di «tenere stretti» i figli, prevenendone i pericoli. Com­pito duro, è vero; ma doveroso quanto mai, poiché si tratta della salute primaria dei nostri figli.

«ERA BELLO, eh!»

Padre Pio conosceva la sua predestinazione certa al Paradiso? Dal suo Epistolario parrebbe di no. Anzi! Lo stesso appare dal Diario del suo Direttore Spiri­tuale, padre Agostino da San Marco in Lamis. Eppure, quel che capitò a me, e soprattutto quel che Padre Pio mi fece comprendere, non sembra lasciare ombra di dubbio sulla consapevole sicurezza che padre Pio ave­va di entrare un giorno nel Regno dei cieli.

Ecco quel che mi successe.

Una notte dei lontanissimi anni sognai padre Pio nella gloria dei cieli. Ripetere come era il colore di quel cielo e quale era il volto di padre Pio nella sua ansia di andare verso ciò che l’attraeva e lo trasfigu­rava, è oltre le nostre forze.

Mi trovavo a San Giovanni Rotondo, e la mattina seguente, in sacrestia, incontrato padre Pio, subito gli dissi: «Padre, questa notte vi ho visto nella gloria dei cieli; perdonatemi, ma ora per me siete brutto».

Egli, guardandomi e sorridendo, rispose: «Sono brutto, eh!».

«Sì, replicai, perdonatemi, siete brutto».

Un anno dopo,- in convento, nel corridoio che conduceva alle celle, mentre discorrevo con lui di cose comuni, improvvisamente egli alzò il volto verso di me, mi guardò e sorridendo mi disse «Era bello, eh!».

Come avesse toccato un bottone elettrico, di scat­to risposi: «Bello, bellissimo, indescrivibile, inimma­ginabile».

Quel sogno anche oggi, come ieri, è vivo e par­lante dentro di me.

«IL FISCHIO DEL TRENO» FU UNA PROFEZIA?

Si parla, ogni tanto, di una linea ferroviaria che raggiunga anche San Giovanni Rotondo. Se ne parla molto sottovoce, però. Sembra vien presentata come una possibilità ancora lontana, che accarezza il sogno di molti, specialmente degli invalidi e degli ammalati. Ebbene, a questo proposito, ho il piacere di atte­stare che cosa ne pensasse padre Pio nella sua prodi­giosa e misteriosa preveggenza.

Io ricordo che un lontano giorno intorno agli anni quaranta, padre Pio, stando in un piccolo crocchio di noi figli spirituali radunati nella vecchia sacrestia, mentre si discuteva delle difficoltà del trasporto per San Giovanni Rotondo, uscì in questa allusione profe­tica: «Chissà che non arrivi l’ora in cui si verrà quas­sù con la ferrovia. Mi par di sentire già nelle orecchie il fischio del treno».

Ricordo che lo stupore provato a queste parole di padre Pio ci rese muti, mentre lo guardavamo con l’occhio interrogativo di chi avrebbe voluto sapere di più, magari sapere tutto. Ma il Padre non aggiunse altro, lasciandoci in sospeso.

Nel parlarne poi fra noi e anche in casa mia, ci invadeva lo stesso senso di meraviglia a questa novità che pareva un sogno impossibile, se si pensa che a quei tempi raggiungere San Giovanni Rotondo era un problema di lotta serrata per trovare posto sull’unica corriera che partiva al mattino da Foggia.

Ma oggi, riflettendo a quelle parole di padre Pio, voglio chiedermi se non sia giunta davvero l’ora di sa­pere prossima la ferrovia per San Giovanni Rotondo, da lui profetizzata. Quanto grande sarebbe il vantag­gio per tutti, e soprattutto per gli invalidi e per gli am­malati desiderosi di salire al santo monte Gargano!

E come vorrei presto udire anch’io nelle orecchie il fischio del treno che sale a San Giovanni Rotondo!

CI HA ASPETTATO SULL’ALTARE…

Eravamo in ferie a San Giovanni Rotondo con tutti i nove figli durante un’estate degli anni cinquan­ta. Ogni mattina padre Pio celebrava la Santa Messa sul piazzale, e alle ore 11 distribuiva la Santa Comu­nione nella piccola Chiesa, all’altare della Madonna delle grazie. Per ricevere la Santa Comunione Euca­ristica dalle mani stimmatizzate di padre Pio, quindi, ogni mattina, alle ore 11, ci trovavamo in Chiesa con tutti coloro che dovevano comunicarsi. Di solito pa­dre Pio distribuiva la Santa Comunione per circa mezz’ora. Erano davvero molti quelli che volevano ricevere Gesù Eucaristico dalle sue mani piagate, ed era ogni volta uno spettacolo di grazia, una visione di cielo guardare padre Pio mentre distribuiva l’Eucari­stia con il suo volto radioso di cielo e con quelle mani di sangue.

Una mattina, con mio marito, dovemmo recarci in paese, a San Giovanni Rotondo, per alcune cose ur­genti da fare, oltre che per le provviste di cibo alla fa­miglia. Noi si abitava abbastanza vicini al Convento, a quasi due chilometri di distanza dal paese. Calco­lammo, comunque, il tempo del cammino da fare a piedi tra andata e ritorno, e pensavamo di poter arri­vare in tempo per ricevere la Santa Comunione da pa­dre Pio alle ore 11.

Tra le cose da sbrigare in paese, invece, ci fu qual­che brutto intoppo non previsto che ci costrinse a fer­marci più del tempo stabilito, e quando prendemmo la strada del ritorno cercammo di affrettarci al massimo nel cammino, ma temevamo già di non potercela fare ad arrivare in tempo prima che padre Pio finisse di distribuire la Santa Comunione al popolo. Pregavamo lungo la strada, intanto, chiedendo a padre Pio di farci arrivare in tempo, di aspettarci, di non farci perdere la Santa Comunione dalle sue mani.

Padre Pio, frattanto, alle ore 11 aveva iniziato la distribuzione della Santa Comunione e aveva anche terminato, senza che noi fossimo arrivati. A questo punto, però, padre Pio, salito sull’altare, era rimasto inspiegabilmente fermo con la Pisside fra le mani, senza coprirla e senza riporla nel Tabernacolo. I pre­senti, al vederlo, erano sorpresi della cosa insolita non comprendendo perché egli stesse così, fermo sull’alta­re, senza muoversi, per alcuni minuti.

Appena noi due, trafelati, entrammo in Chiesa, vedendo padre Pio fermo all’altare ci affrettammo su­bito ad inginocchiarci alla balaustra, e in quel mo­mento padre Pio subito si girò, scese dall’altare con la Pisside e venne a comunicarci. A quel punto ci appar­ve evidente che padre Pio aveva ascoltato la nostra preghiera di aspettarci per la Santa Comunione, e per questo era rimasto fermo all’altare, senza riporre l’Eu­caristia nel Tabernacolo, proprio per attendere il no­stro arrivo e donarci Gesù Eucaristico.

Quale finezza e grandezza di cuore paterno aveva padre Pio! Solo a ricordarlo, viene ogni volta da com­muoversi. Grazie, Padre!

DIECI ANNI DI VITA IN PIÙ

Avevo 79 anni, e padre Pio ben lo sapeva, perché mio figlio Sacerdote, trovandosi nella ricorrenza del mio compleanno a San Giovanni Rotondo, gli aveva chiesto per me una particolare benedizione.

Pochi giorni dopo mi recai anch’io a San Giovanni Rotondo. In sacrestia domandai del Padre, mi dissero che si trovava in convento nella sala San Francesco, dovendo incontrarsi con un gruppo di giovani di Azione Cattolica molto numeroso, venuti in visita da lui. Io mi recai sopra e mi misi nel gruppo, che si era diviso in due ali in attesa del passaggio del Padre.

Dopo poco si annunziò che il Padre sopraggiun­geva. Appena lo vidi spuntare e venire innanzi, io mi staccai da dove mi trovavo, gli andai incontro gridan­dogli: «Voi siete il pane di vita e chi mangia di questo pane non perirà in eterno». Le mie ultime parole s’in­trecciarono con quelle del Padre, che cercando con le braccia di scansarmi, mi gridava a sua volta: «Profes­sore, a 89 anni fai ancora questi viaggi!».

A sentire «89 anni» fu come se in un lampo com­prendessi che padre Pio mi aveva donato dieci anni di vita. Non uno, ma più giovani mi si fecero intorno chiedendomi increduli: «Ma lei ha 89 anni?». Ogni volta rispondevo: «Sì, ho 89 anni».

Ora ho superato i 90 anni e faccio ancora viaggi a San Giovanni Rotondo. Il resto è nelle mani di Dio.

«MA QUESTO È BELLO»

Si sa quale fosse la grande delicatezza di padre Pio, di molto superiore alla sua burbera scontrosità nei momenti di salutare riprensione per noi. Chi non ricorda quei sorrisi e quegli sguardi di indicibile tene­rezza che egli solo sapeva rivolgere? Gentile e grato, sapeva esserlo con finezza verso chi gli toccava il cuore, sia pure con una sola parola o con un piccolo gesto.

Un giorno, non ricordo quando, ma molti anni or sono, volli fare un modesto dono spirituale a padre Pio. Conversando con lui nel corridoio del convento, a un certo punto, troncando la conversazione, guar­dandolo negli occhi dissi: «Su le vette arde la dispe­razione del cielo». Egli mi fissò a sua volta e mi disse: «Ma questo è bello!». Forse avevo toccato una fibra di quel suo cuore che era realmente una vetta sempre ardente della disperazione del cielo, espressa da san Paolo con quel grido di amore bruciante e consuman­te: «Bramo essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1,23).

IL MIO SANT’ANTONIO ERA PADRE PIO

Nel 1966 ero stato nominato Commissario per l’Italiano alla maturità classica presso il Liceo statale di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia.

Gli esami della sessione estiva si svolsero rego­larmente. Alla riunione plenaria, però, nel momento di salutarci per le vacanze, un professore titolare, che, tra l’altro, godeva fama di mago, disse che un com­missario tra noi non sarebbe ritornato a ottobre. Ci guardammo l’un l’altro sorpresi e impressionati per­ché lo stesso altre volte aveva colto nel segno.

Io e la famiglia partimmo per la villeggiatura. Al primo settembre rientrammo a Roma. Il quattro, di notte, improvvisamente fui colto da tali dolori al petto che mi strappavano grida angosciose. Mi chia­mavo ripetutamente la morte e in continuazione invo­cavo la mia Madonna del mare e padre Pio, affinché corressero in mio aiuto. Essendo notte molto inoltra­ta non riuscimmo a reperire un medico.

Dolori lancinanti e alte grida si protrassero per tutta la notte.

Dette un colpo con la mano

La famiglia era spaventata. La mattina presto mandammo un telegramma a padre Pio prospettando la situazione come disperata, e contemporaneamente chiamammo il medico di famiglia.

Subito dopo il telegramma vi fu una pausa nel dolore: nel frattempo sopraggiunse il medico. Mi vi­sitò e trovò che la pressione era scesa fino a 110; dia­gnosticò una aortite e consigliò di stare a letto per qualche giorno: mi ordinò una medicina e andò via. Nei giorni seguenti migliorai, ma io non mi senti­vo bene avendo il respiro sempre affaticato.

Il 14 partii alla volta di San Marco in Lamis per la sessione autunnale degli esami. Il giorno seguente al mio arrivo mi recai alla vicinissima San Giovanni Ro­tondo per salutare padre Pio; appena mi vide mi do­mandò come mi sentivo, e risposi che sentivo un dolo­re al petto e avevo il respiro un poco inceppato, e che al riguardo gli avevo inviato un telegramma. «L’ho avuto», mi rispose, e dette un colpo con la mano sul mio petto, poggiandovela, facendo con la bocca delle smorfie misteriose e guardando lontano.

Ripresi gli esami il giorno dopo, congratulandoci l’un l’altro, noi Commissari, per esserci ritrovati tutti vivi.

E dicono che non esistono i miracoli

Rientrato a Roma, notai che avevo le gambe un pò gonfie; mi recai da un medico, mi osservò e alla vista delle mie gambe gonfie mi domandò se avevo distur­bi al cuore. Risposi che ai primi di settembre mi ero sentito malissimo, che il medico curante mi aveva dia­gnosticato una aortite, che ero rimasto a letto qualche giorno e poi ero ritornato al lavoro.

Il medico, dimenando la testa andava dicendo: «Come può guarire una aortite in sette o otto giorni?… Ci vogliono mesi», e mi ordinò l’elettrocardiogram­ma.

Il cardiologo, mentre faceva l’elettrocardiogram­ma, rivolgendosi a mia moglie chiese: «Chi è il medi­co che l’ha curato?»; rispondemmo: «Il medico di fa­miglia, un medico generico». Il cardiologo insisteva: «Ma come si chiama questo medico?… Possibile che non si sia accorto che si trattava di un infarto e di un infarto esteso? E come è possibile poi che suo marito, come poco fa mi ha detto, sia tornato al lavoro rag­giungendo la sua sede distante oltre quattrocento chi­lometri, quando occorrono mesi e mesi di riposo asso­luto con cure adeguate? …».

Portammo l’elettrocardiogramma al medico che l’aveva ordinato; appena questi lo guardò, chiamò il collega della sala appresso dicendogli: «E poi dicono che non esistono i miracoli, leggi questo elettrocar­diogramma…, ma ti pare possibile che con un infarto simile si possano fare oltre quattrocento chilometri dopo pochi giorni di letto? …». E rivolgendosi a me disse: «Vada ad accendere non uno ma cento ceri a sant’Antonio».

Il medico però non sapeva che il mio sant’Antonio era padre Pio!

«TU ANDRAI IN PARADISO»

Se padre Pio è stato un profeta, e grande profeta, la mia esultanza e riconoscenza non hanno limiti, pen­sando alla più grande profezia da lui fattami, e che ogni uomo vorrebbe sentirsi fare da un santo.

Non molti anni prima del transito di padre Pio mi capitò quel che non avrei mai pensato né immaginato. Mi confessavo da padre Pio; noto che ero l’ultimo a confessarmi. Avuta l’assoluzione, padre Pio alzò il viso verso di me e mi disse: «Tu andrai in Paradiso». Immediatamente con voce squillante io risposi: «Vo­glio il Paradiso». Padre Pio abbassò la testa e qualche secondo dopo a voce ugualmente squillante ribattè: «Voglio il Paradiso».

Lascio immaginare la gioia e la commozione di quei momenti che ancora sento dentro di me.

RICORDO E RITORNO DI PADRE PIO

Ma dove sta che sei morto? Non ti abbiamo sem­pre con noi anche se non ti vediamo? Puoi tu dire che non parliamo con te? Che non ti sorridiamo? E non ricordiamo ancora che, quando tu, in esilio, al limite delle forze, ti dimenavi in mezzo alla folla per farti strada, noi facendoci ciechi e sordi, non indietreggia­vamo davanti alla tua impazienza, pur di trattenerti un istante o fermarti con le nostre grida e suppliche?

E allora dov’è più la tua morte? Non riusciamo a immaginarla e questo è la testimonianza del nostro amore per te.

Non senti che anche ora con la stessa ansia e bat­ticuore di una volta ti gridiamo: o padre Pio, qui cadiamo…, là sbandiamo…, siamo sotto tempesta…, non ci si apre finalmente il cuore e rispuntano le spe­ranze?…, non vedi come tutto è sempre buio e chiuso attorno a noi?…, grazie, ci hai ridato vita e animo e ogni cosa canta nel cuore…, corri, stiamo aggrappati all’abisso…, e così, così ancora.

O padre Pio, non siamo divisi, la tua partenza per il cielo ci ha strappati alla tua persona, ma la tua anima, il tuo spirito, tutto padre Pio, che conforta, ammonisce, consiglia, sbalza da cavallo o frusta, av­via al cielo, si congratula o rattrista ma spinge sempre avanti, è qui dentro noi e a differenza del padre Pio terreno è a nostra disposizione.

Come non rivedere in te il Padre, che non diceva mai di no, che prendeva più che a cuore i nostri mali, i nostri errori, le nostre angustie e debolezze?

Le parole che dicevi non erano forse il faro di vita o di speranza che non ci lasciava mai?

Ma chi sei tu veramente? Come possiamo cono­scerti? Qualche volta in un lampo ti afferriamo, ma dopo, in men che non si dica, torni ad essere un libro sigillato.

Continua il miracolo: padre Pio di oggi non è più quello di ieri, è un nuovo padre Pio e così è sempre. La tua improvvisa presenza, qui o a inimmagina­bili distanze, su la scia dei tuoi profumi diversamente parlanti, colpiva, metteva dentro gioia o allarmava o semplicemente salutava, ma ciò come poteva essere? E dalle genti dalle più disparate razze, di cui igno­ravi la lingua, come sei riuscito a farti capire così che ti amavano più di se stesse e con commovente assi­duità ritornavano a te una volta, due volte, sempre? E non basta: quante e quante volte non hai inchio­dato il peccatore a se stesso, tirandogli di colpo fuori il rospo, liberandolo?

E quant’ altre volte ancora con impeto e autorità non hai rimesso in libertà gli ossessi?

Ma da dove veniva a te quella potenza di bussola che dominava la notte e orientava?

Quella potenza di trasfigurazione che faceva di te sull’altare il Cristo redivivo in lotta, tra rapimenti, rotte grida e lagrime, col cielo da ogni parte chiuso e ostile?

Per cui tu eri il figlio continuo di Gesù, che, unico e solo su tutta la terra, portavi nelle tue cinque piaghe sanguinanti e nella tua inesauribile brama di nuovi cieli e nuove terre.

E che dire dei tuoi sorrisi, che, mentre mettevano una luce di cielo sul tuo volto, davano ristoro e sere­nità? E delle altre tue ricchezze che sentivamo vivere in te, ma che tu non hai voluto rivelare?

Noi ora sogniamo di rivederti, non in qualche tua apparizione, ma come quando eri con noi, per dirti: o padre Pio, il mondo è un inferno in movimento: dap­pertutto timori di atomiche alle porte, trionfi di dro­ghe, costumi audaci e danze di immaginose realtà; dappertutto musiche eccitanti o addormentanti in salo­ni, all’aperto, tra magia di addobbi e di luci o in penombre inquietanti, che allontanano nel tempo e fanno stare dove non sappiamo: un vivere meraviglio­so che asservisce la scienza, tocca la favola e glorifica lo scandalo. Ma ben presto dietro queste apparen­ze che cosa mai non vediamo!

Cuori annebbiati, menti deviate, un camminare e correre nella vita a cercarvi piaceri, ricchezze, avven­ture, fonti di delitti, rapine, inganni, grandezze, guer­re, dominazioni; ognuno con l’intento di riuscire ad avere quel che vede innanzi a sé, perché domani sia diverso dagli altri o più degli altri o di terrore agli altri.

Che contrasto se pensiamo che tu, o padre Pio, sei vissuto nella povertà, nella sofferenza, nella miseri­cordia e volevi tutti quanti figli dell’umiltà e dell’a­more!

Siamo dunque all’ultima ora del mondo? Al ritor­no del Figlio dell’uomo su la terra?

Se questo fosse, ebbene! noi ti rivedremo col Cristo che viene su le nubi del cielo in gran potenza e gloria, al suo fianco e tra i suoi più amati emuli.

Appendice prima

«VOGLIO IL PARADISO»

Come si muore santamente?

È una domanda che interessa ogni uomo – e come! Assicurata la morte santa, infatti, l’uomo ha risol­to nientemeno che il problema della sua eternità. Come si muore santamente, quindi?

La risposta è questa: muore santamente colui che, sul letto di morte, è ripieno di grazia divina, si è muni­to dei Santi Sacramenti (Confessione, Comunione, Unzione degli infermi), prega più che sia possibile, abbandonato in tutto fra le mani della Madonna. Ebbene, così è morto il nostro papà, il 26 aprile 1978. Una morte santa. La morte del cristiano. Una morte preparata giorno dopo giorno con il nutrimento dei Sacramenti e della preghiera, in unione costante di spirito con il Signore e con la Madonna.

Veramente, per la robustezza del fisico da aviato­re e per la vitalità dello spirito da lottatore, papà era per noi una solida quercia. Sembrava che dovesse vivere chissà per quanti anni ancora.

Scherzando, egli stesso diceva che avrebbe visto la morte di tutti noi figli.

Ma c’era una profezia di padre Pio, che apparve chiara di colpo quella brutta mattina così inaspettata. Papà e mamma uscivano di Chiesa dopo aver par­tecipato, come ogni giorno, alla Santa Messa con la Comunione. Il tempo era brutto, pioveva. Papà attra­versava la strada sulle strisce pedonali quand’ecco arrivargli addosso una macchina che lo scaraventa a terra e trascina per alcuni metri sulla strada. L’autista non è stato pronto a frenare, vedendo le strisce pedo­nali impegnate. Mamma si era scostata per andare a fare una spesa, ma girandosi ha visto inorridita papà a terra. Si precipita, aiutata da altri, a far caricare papà sulla macchina per portarlo al vicino centro traumato­logico. I colpi dell’investimento furono terribili.

Sembrava la fine. Pronti interventi: trasfusioni di sangue, rianimazione, radiografie, ingessature agli arti fratturati. Inizia la Via Crucis finale della sua vita che durerà due anni.

Ma quale era la profezia di padre Pio?

Dieci anni prima, Padre Pio aveva detto a papà, in tono misterioso di rimprovero: «A 89 anni vai ancor girando! … ». Lì per lì nessuno riusciva a interpretare chiaramente quelle parole. Ora, invece, tutto appariva chiaro: papà aveva appunto 89 anni, e doveva dar l’addio al suo lungo camminare (camminava almeno due ore al giorno!). L’impianto ben solido del suo robusto fisico era stato squilibrato dal terribile investi­mento. Da adesso in poi egli verrà solo trasportato di qua e di là, in vari posti, consumandosi come un’ostia per il Regno dei cieli.

Il 50° di nozze

Alcuni fatti particolari molto belli accompagnaro­no gli ultimi due anni di vita del nostro ammirabile papà.

Fra tutti, merita un ricordo speciale la ricorrenza del 50° di nozze. Il figlio sacerdote, padre Stefano, venne a celebrare la Santa Messa del solenne giubileo. E fu una Santa Messa movimentata e rumorosa per la presenza di un’angelica turba di nipotini irrequieti. Per l’occasione, inoltre, era uscita la stampa del volu­metto «Questa è la mia famiglia» pubblicato dalla Casa sollievo della Sofferenza di padre Pio, in cui sono contenuti i ricordi più belli dei rapporti avuti da papà e mamma con padre Pio che, fin dal primo in­contro, disse a mamma le splendide parole: «Questa è la mia famiglia» (è un libretto, questo che, in tre anni, ha avuto tre ristampe, utilissimo per i fidanzati, per gli sposi novelli e non novelli).

Quanta festa della vita in un cinquantesimo di nozze così feconde! Papà sulla sedia a rotelle e mam­ma sempre vicina a lui vennero festeggiati nella ma­niera più affettuosa e familiare, più semplice e lieta, anzi chiassosa, con tutti quei frugoli di nipotini dal moto perpetuo nelle mani e nelle gambe, dal vocio ininterrotto, mescolati a pianti, strilli, trilli d’argento vivo…

Un accostamento molto bello: prima di morire padre Pio celebrò il suo cinquantesimo di stimmate, che furono la sua fecondità soprannaturale nella rige­nerazione di tante anime; papà, prima della morte, ce­lebrò il suo cinquantesimo di nozze, che furono fe­conde di vita per una grande famiglia cristiana.

L’Arcivescovo gli porta la Santa Comunione

Quando per papà la difficoltà di riprendere a cam­minare apparve insormontabile, stando fermo a casa – amorevolmente assistito dalla mamma con Pia e Tony – si presentò la necessità di fargli portare la Santa Comunione ogni giorno. Durante i ricoveri in Ospe­dale non c’era problema perché il Cappellano gliela portava puntualmente ogni mattina. Ma dove trovare adesso chi gliela voglia portare ogni giorno a casa?

La Madonna provvide nel modo più materno e più degno. Accanto alla dimora di papà c’è una clinica, intestata a Nostra Signora di Fatima e tenuta da Suore molto buone. Presso tale clinica dimora un Arcive­scovo portoghese, Mons. D. Custodio Olvim Pereira che lavora in Vaticano. Ebbene, questo Arcivescovo prese l’impegno di portare ogni mattina la Santa Co­munione a papà.

Come mai? La cosa andò così. Per interessamen­to di una carissima suora indiana, suor Amata, l’Arcivescovo aveva comunicato una volta papà, ed era rimasto colpito profondamente dall’espressione di fede intensissima del volto ardente di papà. Da allora l’Arcivescovo volle conoscere e avvicinare papà, e decise lui stesso di portargli personalmente ogni mat­tina la Santa Comunione non solo a casa, ma anche nella lontana clinica «Villa Pia», durante l’ultimo ri­covero di papà. Grazie, eccellentissimo Arcivescovo! Tutti noi figli, con la mamma, le saremo per sempre grati di questa sua splendida carità verso il nostro papà.

Tutto era significativo in questa Santa Comunione portata a papà dall’Arcivescovo. Papà appariva un ve­nerando vegliardo e patriarca, e a nutrirlo di Dio veni­va un ministro di Dio, altrettanto venerando in dignità come l’Arcivescovo.

Questo Arcivescovo ebbe sempre una stima tale di papà, che, dopo la morte, si rifiutò sempre decisa­mente di ammettere che papà potesse essere andato in Purgatorio, neppure per breve tempo. « È andato dirit­to in Paradiso!» – diceva.

La vicinanza di padre Pio

Un altro particolare molto bello c’è stato nell’ul­timo ricovero di papà in clinica.

Tutti sappiamo che papà aveva sempre desiderato una casetta a San Giovanni Rotondo, per chiudere i suoi giorni accanto a padre Pio. Ma non gli fu mai possibile. Appariva evidente, anzi, che doveva ormai terminare la sua vita, contentandosi solo dell’unione spirituale con padre Pio.

E invece ci fu qualcosa in più della semplice unio­ne spirituale; qualcosa che significò una presenza, una vicinanza particolare di padre Pio.

L’ultimo ricovero in clinica di papà – dopo quelli nelle cliniche San Vincenzo e San Giuseppe Moscati – avvenne, si può dire per pura disposizione della Prov­videnza, nella clinica Villa Pia.

Perchè si chiamava Villa Pia? Perchè era intestata esattamente a padre Pio. Non solo, ma il Direttore Pri­mario della clinica era un figlio spirituale di padre Pio.

che prese molto a cuore papà, ammirandolo con gran rispetto e affetto.

In tal modo, in tale ambiente, si avvertiva quasi sensibile la vicinanza e l’assistenza di padre Pio. E poteva mai essere assente padre Pio alla fine della vita di uno dei suoi primi figli spirituali, di questo papà della «sua famiglia»?

Muore guardando la Madonna

Il particolare più bello, però, è quello sulla Ma­donna. Si sa che l’apparizione della Madonna sul ma­re Adriatico, quando papà era appena quattordicenne, significò per lui la rivelazione di averla per Madre (come gli spiegò in seguito padre Pio: «Ti è apparsa per farti da Madre»). Ebbene, questa dolcissima Ma­dre fu presente in modo speciale, al momento del pas­saggio nell’aldilà di questo suo figlio prediletto.

La cosa è andata così. Anzitutto, la Madonna è ve­nuta a prendere papà in un giorno mariano, il 26 apri­le, festa della Madonna del Buon. Consiglio (che è la Madonna del Santuario di Frigento, dove si trova il figlio padre Stefano con una fiorente comunità fran­cescana e mariana). Questa coincidenza è molto signi­ficativa, perché la primogenita dei ventuno figli di papà nacque lo stesso giorno, con parto gemellare, il 26 aprile del 1927 e venne immediatamente battezza­ta con il nome di Consiglia (in omaggio alla Madonna del Buon Consiglio) e morì qualche ora dopo, lascian­do vivo il fratellino Saulo. La Madonna del Buon Consiglio, che portò in cielo la primogenita, è venuta a prendere nella stessa ricorrenza anche il papà (e non sarà venuta anche la prima figlia, Consiglia?).

Inoltre, in quel 26 aprile 1978, al mattino il figlio padre Stefano aveva tanto raccomandato alla sorella Pia di portare in clinica, nel pomeriggio, il quadro del­la Madonna del Ferruzzi (riproduzione fatta dal mari­to di Pia), che stava di fronte al letto di papà e mamma e che a papà piaceva veramente tanto, perché la più vicina alla sua «Madonna del Mare».

Al pomeriggio, infatti, Pia prese il quadro (piutto­sto grande) e lo portò in clinica. Arrivò proprio in tempo giusto. Il fratello padre Stefano le aveva anche raccomandato di metterlo ai piedi del letto di papà, perché egli potesse guardarlo e riempirsi gli occhi di quella dolce Mamma col Bambino. Pia fece appunto così. Tenne il quadro bene in vista, ai piedi del letto. Mamma indicò a papà il volto della Madonna. Papà, sempre con la corona del Rosario in mano, guardò, guardò… e quasi aspettasse proprio quell’incontro di sguardi, poco dopo, lentamente, chiuse gli occhi e spirò in pace con quella visione negli occhi. Nella stessa ora, a sera il figlio padre Stefano aveva iniziato la ce­lebrazione della Santa Messa, in onore della B. V del Buon Consiglio e la offrì per il papà.

Quali incroci di grazie in questa morte di papà! E quale non fu la serenità e la fortezza che ebbero la mamma e tutti i figli? Nel giorno del funerale, cele­brato dall’arcivescovo con altri sei sacerdoti, tra cui il figlio padre Stefano, la presenza di tutti figli e di buona parte dei nipoti (che sono già oltre quaranta), anzichè aria di lutto, creò un’atmosfera festosa di vita attorno a colui che aveva amato fortemente la vita, l’a­veva procreata generosamente e aveva formato una famiglia, secondo colui che è «Dio non dei morti, ma dei vivi» (Mc 12,27).

Così si muore santamente. Così si passa dalla morte alla vita eterna. Così si entra nel Regno dei Cie­li. Così si raggiunge Cristo, Colui che è «l’alfa e l’o­mega» dell’universo (Ap 1,8), portati dalla Madre di tutti i redenti. In tal modo papà è stato per noi model­lo in tutto: modello di vita cristiana, modello di morte cristiana.

Voglio il Paradiso

Come non ricordare, a questo punto, il brevissimo dialogo avvenuto ancor prima, fra papà e padre Pio, con quella predizione splendida di padre Pio sul Pa­radiso di papà?

«Tu andrai in Paradiso» – gli disse all’improvviso Padre Pio.

E papà di rimando, quasi di scatto: «Io voglio il Paradiso! ».

Padre Pio lo guardò ammirato, e ripetette anche lui con forza e sorridendo: «Voglio il Paradiso!».

Il Paradiso ci viene offerto da Dio, ma bisogna volerlo, bisogna conquistarlo: «I violenti rapiscono il Regno dei Cieli!» ha detto Gesù e quante volte Padre Pio ripeteva questa frase di Gesù!

Ultimo atto di questa volontà protesa al Paradiso è una santa morte. «Se moriamo con Cristo – dice san Paolo – con Lui pure vivremo» (Rm 6,8). Vivremo con Lui, dove? In Paradiso, in quella eterna dimora dove vivono coloro che «muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Il giorno precedente la morte, papà compiva i suoi 92 anni di età. Per l’occasione, il figlio padre Stefano celebrò la Santa Messa nella camera dell’ospedale, mentre attorno al letto di papa erano presenti la mam­ma, con una buona parte dei figli e dei nipoti. Quella

Santa Messa fu bellissima. Fu l’ultima che papà ascol­tava su questa terra, a compimento dei suoi 92 anni di vita.

Con l’unzione degli infermi – ricevuta più di una volta nel corso della malattia – con la Confessione, con la Santa Messa, con la Santa Comunione, con il santo Rosario papà appariva davvero pronto a varcare la so­glia dell’aldilà pieno di serenità e fiducia anzi, in quel 25 aprile, a noi appariva come un «leone di san Ma­rco.. »; lui che nacque proprio il giorno di san Marco!

Papà assistette a quella ultima Santa Messa con grande attenzione e devozione. La sofferenza e la pre­ghiera gli trasfigurarono il volto che appariva roseo e dolce. Era anche lui una vittima che stava per consu­mare la sua immolazione. Al segno della pace, tutti lo baciarono e furono baciati da lui: quello fu il suo ulti­mo bacio e saluto per tutti! Quale grazia non fu mai questa: potersi dare l’ultimo saluto durante la Santa Messa?

Che cosa avrà provato per noi papà in quei momenti? Possiamo intuirlo, ricordando quello che tante volte aveva detto e ripetuto: in Paradiso vi voglio tutti, proprio tutti. «Voglio il Paradiso per me e per tutti voi!… Vi voglio con me … ». Per questo prega­va spesso. Per questo anni prima, l’ultima volta che andò a Giulianova, si fermò tutto solo sulla spiaggia,.

là dove ebbe la visione della Madonna, e recitò quin­dici corone del Rosario, una per ogni membro della famiglia, per i genitori e per i tredici figli. In tal modo egli affidò alla Madonna se stesso e uno per uno tutti noi. Le preoccupazioni di un papà cristiano!

Né si può dimenticare l’ultimo Rosario recitato con Lui, la sera della vigilia della morte: una recita sofferta, drammatica. Papà era stato messo seduto. Teneva la corona bene in mano. Non sentiva bene, ma voleva rispondere ad ogni Ave Maria, e chiedeva con insistenza a mamma di indicargli quando doveva ri­spondere. Soffriva e pregava con passione. Tenace, volle resistere fino all’ultimo, nonostante qualche in­vito ad interrompere. Fu una recita splendida, fu un Rosario di amore e di dolore, con il corpo in trava­glio, ma l’anima intrepida nello stringere la corona benedetta di Maria. Sapendo tutto ciò, che cosa pos­siamo pensare adesso della sua preghiera per noi in Paradiso?

Possiamo essere certi che egli adesso – fino a che non ci avrà tutti con sé – non si stancherà di ripetere a Dio, alla Madonna e a padre Pio: «Voglio il Paradiso anche per tutti loro».

Grazie, papà! Grazie!
i tuoi figli con la mamma

FONTE: Casa Mariana
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