Nel peccato originale c’è il modello di tutti i peccati

stellamatutina-antonio-rosminiNelle prime pagine dei Frammenti di una storia dell’empietà Rosmini analizza brevemente il primo peccato della storia umana. Egli vi scopre tre caratteristiche, Che si ripeteranno, in futuro, in tutti gli altri peccati: desiderio di programmarsi da solo, senza dover ricorrere all’aiuto di Dio; ambizione a diventare come Dio, come dire che non si trova di meglio sulla terra di quanto c’è in quella divinità dalla quale pur ci si vuole staccare; frivolezza e in inadeguatezza del vile mezzo adoperato (la materia, il senso) per raggiungere un fine spirituale così alto, quale è quello di diventare felici e grandi come lo è Dio.

La narrazione del peccato originale, così analizzata, ci si presenta fornita di tre caratteri singolari.

1° Un tentativo che fa la creatura di rendersi grande e felice da sé medesima, indipendentemente dal Creatore.
2° Un decadimento che fa subito la creatura in Dio, pigliando la divina natura a modello di quella grandezza e felicità che essa cerca.
3° Una assurda e goffa contraddizione fra i mezzi e il fine, scegliendo dei mezzi sensuali e materiali, cose che più la abbassano e la impiccoliscono, a doveva innalzare, ingrandire e felicitare oltremisura, come nella se viene immaginando.

Analizzando così il fatto celeberrimo che nel principio della Genesi si racconta, ciò che io voglio chiamare ad osservare è che quel fatto non è per caso solitario ed unico nelle storie del genere umano.

La maniera costante di operare dell’umanità si accorda mirabilmente col fatto descritto nell’Antico dei libri. Tutto ciò che avvenne nel mondo in seguito, sembra non essere che una ripetizione, vagliata solo nelle parti accessorie, di quel fatto primitivo.

Infatti dappertutto, nelle opere dei figlioli degli uomini, si trova stampato profondamente quel triplice carattere di cui abbiamo visto marcato il primo loro delitto. Ci sono sempre degli sforzi replicati di eseguire l’impresa temeraria di rendersi grandi e felici indipendentemente da Dio. E sempre con gli stessi frivoli mezzi, con la stessa contraddizione, col persuadersi di dover pervenire ad una felicità e grandezza divina, secondo le promesse incessanti del serpente, nel tempo appunto che le cose sensibili e materiali più ciecamente si abbandonano.

Per quel fatto descritto da Mosé è, insieme, parabola della natura umana. E quelli che non volessero ammetterlo per vero, sarebbero tuttavia costretti ad ammetterlo come figura di tutto ciò che è avvenuto in seguito sulla terra, di tutto ciò che offrono concordemente le memorie dell’umanità.

FONTE: A. Rosmini, CHARITAS, anno XC, n.3, marzo 2016

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