Commento al Vangelo della XIX Domenica TO – 9 agosto 2015

Il discorso garba poco agli Ebrei…

Gli Ebrei, alle parole di Gesù, rimasero increduli. Erano andati da Lui con la pretesa di vedere dei miracoli, e credevano di poter essi disporre del suo potere; non ammettevano altro che quello che passava per la loro testa, e avevano sempre la presunzione di dovere avere essi di diritto i doni del Signore, nel modo che a loro garbava; credevano quasi che il mondo si fermasse senza il loro volere. Per questo, Gesù aggiunse: Tutto ciò che il Padre mio mi dà, arriverà a me, ed io non respingerò chi viene a me, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato.

E voleva dire: la vostra mancanza di fede non distrugge il disegno di Dio, poiché il Signore, mandandomi in mezzo a voi, non ha ristretto l’opera mia a voi soltanto; Egli mi dona le anime di tutto il mondo, Egli le chiama, e quando esse vengono a me io non le caccio, benché non appartengano al vostro popolo. È questa la volontà del Padre mio, ed io la compio fedelmente: Egli vuole che io non perda tutti quelli che mi dona, ma li risusciti nell’ultimo giorno, e vuole che abbiano la vita in me e per me, credendo in me Io li accolgo, li alimento di me con un dono di fede, di pura fede, nel quale la vista, il tatto, il gusto s’ingannano, e nel quale si deve solo credere alla mia parola.

Essi vengono, credono, si alimentano, vivono di me, risurrezione e vita, ed Io li risuscito dalla morte nell’ultimo giorno. Gesù, dunque, prima di annunciare e promettere formalmente il dono ineffabile dell’Eucaristia, ne pone i fondamenti e ne determina il carattere: Esso è la nuova manna del suo popolo peregrinante dall’esilio alla Patria; è Pane disceso dal cielo, è Lui stesso che è venuto in terra per alimentare le sue creature, per saziarle d’amore divino, e spegnere in loro la sete delle passioni disordinate.

L’Eucaristia non è un dono ristretto alla sola nazione ebraica: è un Dono universale; dipende dalla volontà del Padre e non dal diritto di eredità; affratella tutti gli uomini senza distinzione di razza; li affratella perché Dio li chiama alla stessa fede nel Redentore, e questi li accoglie, li nutre, li santifica e, vincendo anche la morte corporale, li risuscita gloriosamente nell’ultimo giorno. Chi crede in Lui, cioè chi riceve il Pane della vita credendo che è Lui stesso vivo e vero, ha la vita eterna. Chi lo crede solo un simbolo, un segno, un pane comune e materiale, in realtà non crede in Lui, e perciò non ha la vita.

È evidente, dal contesto, che Gesù non parla della fede in Lui in un senso generale, e tanto meno parla della fede di semplice assentimento a Lui Salvatore, o di fiducia nei suoi meriti, senza curarsi delle opere buone; Egli parla del Pane di vita, dell’Eucaristia, e asserisce che chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna; vede il Pane di vita, lo crede sostanzialmente il Figlio di Dio Incarnato, crede in Lui ivi presente, se ne ciba, ed ha la vita eterna.

Tutte le volte che Gesù in questo capitolo parla della fede in Lui, parla della fede nella sua reale presenza nel Pane di vita, e ogni volta che parla del Pane disceso dal cielo, parla di se stesso vivo e vero, fatto cibo delle anime. Non si può equivocare sulle sue parole né si può dare ad esse un senso simbolico che non hanno.

Gesù Cristo parlava in senso tanto reale, chiamandosi Pane vivo disceso dal cielo che il popolo cominciò a mormorare di Lui, dicendo: Non è forse costui Gesù, figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo il padre e la madre? Come dunque dice Costui: Io sono disceso dal cielo? San Giuseppe probabilmente era già morto quando Gesù cominciò la sua vita pubblica, ma il popolo l’aveva conosciuto, e l’aveva sempre creduto padre vero di Gesù, ignorando il mistero dell’Incarnazione per opera dello Spirito Santo.

Credendo dunque di conoscerne il padre e la madre, si stupivano che Egli si chiamasse Pane vivo disceso dal cielo, e mormoravano di questa espressione, come chi ascolta una cosa ardua, non assurda. Era tale l’accento di verità che traspariva dalle parole di Gesù che essi non osavano direttamente tacciarlo di dire una cosa assurda, come sarebbe stato naturale, ma s’interrogavano a vicenda per cercare di interpretare quello che diceva.

Nel dire Gesù: Io sono il Pane vivo disceso dal cielo, faceva sentire che Egli era la Verità che era per donarsi come pane che questo pane doveva essere pane vivo, pane negli accidenti e vita nella sostanza, pane disceso dal cielo, perché era Lui stesso donato in cibo alle anime.

Gesù sapeva bene quanto gli sarebbero stati ingrati gli uomini

In questo mirabile discorso eucaristico, Gesù fu di una recisione precisa, poiché l’amore del suo Cuore traboccava, ed Egli sapeva bene quanto gli sarebbe stato ingrato l’uomo. Non erano solo gli Ebrei i suoi oppositori, erano gli eretici di tutti i secoli, e specialmente i protestanti. Egli li vedeva con la sua divina prescienza, e poiché voleva darsi per amore, non tollerava che si fosse potuto dubitare di questo suo dono; preferiva che quelli che non volevano credergli se ne fossero andati, rinunciava alle anime loro, pur amandole infinitamente, ma non rinunciava ad essere esplicito e preciso in quello che voleva donare.

Perciò, quando gli Ebrei cominciarono a mormorare perché s’era chiamato pane vivo disceso dal cielo, invece di rispondere alla loro obiezione, disse: Non mormorate fra voi; nessuno può venire a me se non lo attiri il Padre che mi ha mandato, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno, e voleva dire: quello che io affermo può capirlo solo chi è attratto dal Padre mio, cioè chi ne riceve una grazia particolare, e questi avrà la vita gloriosa nell’ultimo giorno. Voi non l’intendete perché non siete attratti dal Padre mio, per colpa vostra.

Non crediate poi che chiunque, a suo arbitrio, potrà prendere il Pane di vita che io prometto; sarà necessaria una speciale attrazione di grazia, e questa attrazione sarà data a chi sarà ammaestrato da Dio, secondo il detto dei profeti (cf Is 54,13), cioè sarà preparata da una diffusione più viva della divina Parola, della mia parola, e chi l’ascolterà con docilità e con fede verrà a me, Pane di vita. Non parlerà direttamente il Padre, perché Dio è invisibile all’uomo, eccetto a Colui che è da Dio, cioè all’Uomo-Dio, ma parlerà per me, e per quelli che io manderò. In conclusione – soggiunse Gesù con decisione che non ammetteva repliche –, qui non si tratta di discutere, perché il Pane di vita è un mistero di fede, chi crede in me vivo e vero nel Pane di vita, questi ha la vita eterna.

Gesù Cristo aveva presenti tutti i secoli, e guardava a quello nel quale il Pane di vita sarebbe stato distribuito e diffuso a piene mani, negli ultimi tempi, più prossimi alla fine del mondo e alla risurrezione dell’ultimo giorno. Egli stabilì formalmente che questa diffusione eucaristica non sarebbe stata frutto di arbitrio personale, ma frutto di attrattiva divina, e ne diede come contrassegno specifico una diffusione così viva della divina Parola nella Chiesa e nel mondo, da potersi dire col profeta: Sono tutti ammaestrati da Dio.

La luce della verità sarà così viva, da sembrare quasi di vedere Dio, benché Egli sia invisibile all’uomo mortale.

Noi assistiamo già al preludio di questo tempo di vivissima vita eucaristica, ne abbiamo raccolto il segreto, e cominciamo ad usufruirne, benché fra tante nostre ingratitudini.

Ecco, la Parola di Dio, chiara e luminosa per tutte le menti, si diffonde già e inonda la terra; ecco, non l’arbitrio ma l’attrazione del Padre celeste ci conduce a Gesù, Pane di vita, poiché è assurdo che si possa partecipare a questo Dono ineffabile senza una particolare attrazione di Dio. I Congressi eucaristici medesimi, caratteristica del nostro tempo e prima preparazione alla diffusione del regno dell’amore eucaristico, non sono una diffusione luminosa della Parola di Dio nelle discussioni e nelle prediche, e una divina attrazione per le anime che si cibano del Pane di vita?

Crescerà la diffusione della Parola luminosa di Dio, e crescerà la diffusione del Pane di vita, fino a porre termine all’ingratitudine umana che ha dimenticato il Dono ineffabile che ci fa vivere di Gesù Cristo, ci unisce in Lui in una sola famiglia e ci dona la pace nel fulgore della gloria di Dio per tutta la terra.

Stabiliti i fondamenti del dono ineffabile che voleva elargire agli uomini, Gesù Cristo ne parla più determinatamente, perché non si fosse potuto equivocare sulla sua reale natura, ed esclama: Io sono il Pane della vita; non della vita materiale ma di quella spirituale; e poiché gli Ebrei avrebbero desiderato vedere un prodigio come quello della manna nel deserto, Gesù mostra la superiorità del Pane della vita sulla manna, soggiungendo: I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il Pane vivo che sono disceso dal cielo. Chi mangerà di questo Pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

La manna era un cibo che sosteneva la vita del corpo, ma non liberava dalla morte; il Pane vivo disceso dal cielo, invece, sostiene una vita immortale, quella dell’anima, e la libera dalla morte eterna, salvandola per sempre nella felicità eterna; questo pane, poi, è la carne stessa del Redentore, quella che Egli darà per la vita del mondo sulla croce e che sarà data continuamente nel sacrificio dell’altare per la vita delle anime. Non si poteva, dunque, equivocare in nessun modo: Gesù parlava non di un simbolo della sua Carne ma della sua vera Carne, poiché Egli non la offrì simbolicamente ma veramente e sanguinosamente sulla croce.

Gli Ebrei lo capirono perfettamente, e se ne stupirono discutendo fra loro e dicendo: Come mai può Costui darci da mangiare la sua carne? Se la divide fra noi muore, e allora come può chiamarsi più pane vivo? Come mai può darcela viva? Se le parole di Gesù non avessero avuto l’accento della verità, essi non avrebbero discusso animatamente fra loro, ma le avrebbero disprezzate come una pazzia; essi, invece, sentivano che erano vere e assolute, e ne discutevano perché ne avrebbero voluto una spiegazione.

Com’era possibile una spiegazione naturale?

Ma, in un mistero di fede e d’amore così grande, la spiegazione naturale non era possibile; Gesù Cristo esigeva solo la fede, poiché, mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue sotto le Specie del pane e del vino, si sarebbe capito il mistero dai suoi mirabili effetti, vivendone. D’altra parte, Egli non parlava per stabilire una discussione, possibilissima, ma sproporzionata alla mentalità di quelli che l’ascoltavano; il suo Cuore ardeva d’amore, e l’amore anelava solo a donarsi; non ammetteva la discussione, voleva essere ricevuto e, promettendo un tanto dono d’amore, voleva come risposta l’amore; perciò soggiunse, rivolgendosi agli Ebrei e a tutto il mondo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

Egli non alludeva, come pretesero gli eretici, all’immolazione che avrebbe subito né voleva dire che se non l’avessero ucciso non avrebbero avuto la vita, perché sarebbe empio e assurdo supporre che un delitto spaventoso, quale la morte che gli avrebbero dato, un delitto punito da Dio, poi, con la distruzione della nazione, avesse potuto portare la vita eterna e la risurrezione gloriosa a quelli che l’avrebbero consumato. Perciò Gesù Cristo, per evitare che si fosse frainteso, e per confermare che Egli parlava del suo Corpo e del suo Sangue come di vero alimento di vita spirituale, replicò: La mia carne è veramente cibo e il mio Sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in me e io in lui.

Con una sublime analogia, poi, mostrò in quale maniera chi mangiava della sua Carne e beveva del suo Sangue aveva la vita e rimaneva in Lui: Come il Padre che ha la vita in sé, ha inviato me, e io vivo per il Padre, così, chi mangia di me, vivrà anch’egli per me.


Don Dolindo Ruotolo; Gv 6,41-51

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