Commento al Vangelo: II domenica del T.O. – Anno B – 2015

La vocazione dei primi discepoli

San Giovanni, stando con due dei suoi discepoli nel luogo stesso dove aveva additato Gesù quale Agnello di Dio, cercava sempre occasione per eclissarsi, e per orientare le anime verso il Redentore.

Quand’ecco lo vide passare e, mirandolo, disse nuovamente: Ecco l’Agnello di Dio; lo disse per invitare i due discepoli a seguirlo. Essi, infatti, gli andarono dietro da lontano, per raggiungerlo a casa e parlargli con maggiore intimità. Gesù Cristo, però, conoscendo già i loro desideri, si voltò e disse loro: Che cercate voi? Essi risposero chiamandolo col nome affettuoso di Maestro mio, Rabbì, e gli domandarono dove abitasse, per potergli parlare. Gesù li invitò a seguirlo dove era ospite, perché non aveva abitazione propria. Stettero con Lui tutto quel giorno, e parlarono certamente del regno di Dio.

Fu un momento d’immensa gioia per il loro spirito, e san Giovanni che certamente era uno dei due discepoli, nota l’ora di quella santa chiamata, l’ora decima, cioè circa le quattro di sera che fu per la sua vita di decisiva importanza.

Andrea, l’altro discepolo che seguì Gesù, s’incontrò col proprio fratello Simone, e gli disse: Abbiamo trovato il Messia, e lo condusse da Gesù. Questi, fissandolo in volto e considerando la missione che voleva dargli di pietra fondamentale della Chiesa, gli disse: Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa, ossia Pietro.

La nostra vocazione e sulla vocazione in genere

Le circostanze nelle quali furono chiamati i primi apostoli sembrano accidentali, eppure erano particolari disposizioni di Dio che ci fanno intendere come siamo chiamati anche noi nelle vie del Signore.

Andrea e Giovanni, sentendo chiamare Gesù Agnello di Dio, lo seguirono per parlargli nella casa dove abitava; quella visita fu il primo anello dell’incomparabile grazia dell’apostolato. Andrea s’incontrò col fratello Simone, e gli annunciò di aver trovato il Messia, conducendolo egli medesimo da Gesù. Filippo fu chiamato direttamente da Gesù con una parola energicamente precisa: Seguimi, ed egli lo seguì senz’altro. Natanaele fu chiamato da Filippo, e seguì l’invito a stento e con un senso di prevenzione che si dileguò, poi, innanzi alla luce che gli venne dalle parole stesse di Gesù Cristo.

Tutto era disposto dalla Provvidenza, e tutto sembrava naturale e normale.

Così sono chiamate le anime ad una particolare missione o vocazione: una parola di fede ascoltata da un’anima buona e accettata con umiltà, una visita a Gesù Sacramentato fatta con vero amore può determinare nell’anima un indirizzo nuovo di grazia. Il Signore si può servire dell’amore fraterno per indurre un’anima a seguirlo, può servirsi di una parola di amicizia, come fece Andrea con Simone e con Natanaele, e può chiamare con un’ispirazione diretta, come fece con Filippo.

Tacciare di fantasia una vocazione religiosa determinata dall’esempio o dall’invito di un fratello o di una sorella, tacciare di superficialità una vocazione determinata da una parola amica, e credere segni di nessuna vocazione le prime difficoltà che l’anima oppone alla grazia, è completamente falso.

La vocazione sacerdotale o religiosa a volte è come una di quelle sementi campestri che vengono portate dal vento sui ruderi di un edificio e, alle prime piogge, si schiudono e danno il loro fiore. Pretendere che tutte le vocazioni siano frutto di calcolo spirituale o di ponderazione umana e naturale significa ridurre una delicata funzione di grazia soprannaturale alla scelta di un mestiere o di una professione di proprio gradimento.

La vocazione è un dono di Dio, e si possono benissimo invitare i giovanetti e le giovanette a dissodare le loro anime e vedere se vi alligna, poi, il germe di una vocazione vera mandata da Dio.

Non è una sopraffazione e tanto meno un tradimento preparare le anime con una vita cristiana e perfetta a maggiori altezze spirituali. La sopraffazione e il tradimento, semmai, hanno luogo quando si curano poco i virgulti novelli, e si riducono i seminari o i noviziati a miseri collegi laici, col pretesto di evitare le esagerazioni della pietà e della devozione.

Non siamo tutti chiamati alla perfezione? E non è un vantaggio incamminarsi per la via del Cielo? E se anche per errore – come dice sant’Alfonso de’ Liguori –, si abbracciasse una vocazione perfetta, e si fosse costretti così ad una vita distaccata dal mondo, potrebbe questo chiamarsi un danno? Il danno sta proprio nell’opposto, quando si conduce una vita mondana, avida di beni terreni e di piaceri fugaci e traditori.

La vita passa, e tutto ciò che ne forma l’attrattiva passa in un baleno; trovarsi al suo termine senza avervi raccolto quello che passa, e constatare di avervi, anche con stento o a malgrado, raccolto beni imperituri, è un grandissimo dono di Dio e un’immensa consolazione.

Don Dolindo Ruotolo, (Gv 1,35-42)

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