Intrinseca immoralità delle pratiche anticoncezionali

Se noi osserviamo, attentamente, spassionatamente l’ordine naturale e di esso scopriamo le leggi che lo governano, ci rendiamo conto che le pratiche anticoncezionali, di qualunque genere esse siano, come pure quei comportamenti che in sostanza equivalgono alle pratiche anticoncezionali, sono contro la legge naturale e, quindi, contro la legge di Dio.

 Infatti, scrutando la natura e le sue leggi, ci si rende conto che la sessualità umana, per legge di natura e non per imposizione di chicchessia, è volta alla procreazione, alla trasmissione della vita. È vero che può conseguire e di fatto consegue anche altre finalità, come il perfezionamento personale dei coniugi, finalità anch’esse intese dalla natura. Tuttavia, esaminando gli elementi strutturali della sessualità del suo concreto esercizio, così come la natura li presenta, ci si rende conto che il fine del matrimonio è innanzitutto e soprattutto la procreazione.

Questo esame va fatto con occhio limpido e con cuore retto e libero da preconcetti. Deve essere fatto con ‘recta ratio’, ossia con la ragione libera da suggestioni fuorvianti, da egoistici impulsi istintivi e da altri fattori soggettivi che possano impedire o rendere difficile la percezione della realtà oggettiva.
E allora, tutto ciò che studiosamente, volutamente impedisce all’esercizio della sessualità umana il conseguimento di questo fine è contro natura, ed è perciò immorale e peccaminoso.

A questo punto è bene che noi sentiamo che cosa la Chiesa ci insegna a questo riguardo. Mi accontento, almeno per il momento, di una citazione.
Così si espresse Pio XI in un sua celebre enciclica che aveva come argomento il matrimonio cristiano: «Poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questa  operano contro natura, e compiono un ‘azione turpe e intrinsecamente disonesta…

«Pertanto, essendovi di tali che, abbandonando manifestamente la dottrina cristiana, insegnata fin dalle origini, né mai modificata, hanno ai nostri giorni, in questa materia, preteso pubblicamente proclamarne un’altra, la Chiesa Cattolica, alla quale lo stesso Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità e l’onestà dei costumi, constatando tanta corruzione dei costumi, al fine di preservare la castità del patto matrimoniale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della nostra parola, in segno della sua divina missione, e nuovamente sentenzia: che qualsiasi uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave» (Casti connubii, n. 57).

Ecco, questo è l’insegnamento della Chiesa, la quale ha da Dio il compito di illustrare la legge divina, tanto naturale quanto positiva, di interpretarla, di applicarla a tutte le situazioni concrete. Ed è da notare che il Papa sottolinea la gravità di questo peccato. Sappiamo bene che dire ‘peccato grave’ equivale a dire ‘peccato mortale’; è la stessa cosa. E peccato mortale significa estinzione della vita divina in noi, significa rottura con Dio, significa, quando si muore in questo , stato, la perdizione eterna.

E purtroppo oggi, moltissimi, anche tra i cristiani cosiddetti praticanti, non dànno peso a questo peccato o addirittura non lo ritengono affatto peccato. E allora è necessario correggere queste prospettive e comprendere l’intrinseca malizia di certi comportamenti. Non ci si può considerare a posto con Dio quando si profana l’amore coniugale, quando maliziosamente si violentano le leggi della natura e in tal modo ci si mette contro Dio, che della natura è creatore e ordinatore.

E purtroppo si deve dolorosamente constatare che non tutti i sacerdoti e i confessori insegnano quello che la Chiesa insegna, non tutti a tale insegnamento si attengono nell’esercizio del loro ministero. Anche in certi seminari e in certe facoltà teologiche (sarebbe meglio dire sedicenti teologiche) si insegnano cose che non sono conciliabili coll’immutabile legge divina. Purtroppo oggi si verificano queste situazioni estremamente gravi e dolorose. Si verifica cioè il fatto che chi, per vocazione e per qualifica, avrebbe il compito di illuminare le coscienze e di guidare i fedeli sulla via del bene, talvolta confonde le coscienze, inganna i fedeli e li distoglie dalla via del bene. lo ho già avuto tra le mani pubblicazioni edite da Case che si definiscono cattoliche, nelle quali, a questo riguardo, si sostengono princìpi che non vanno d’accordo con la Legge di Dio.

Ed è proprio in considerazione di questa situazione che Pio XI, già allora, dopo aver chiaramente riaffermato quello che già ho citato, aggiungeva questi severi ammonimenti: «Perciò, come vuole la suprema autorità nostra e la cura commessaci dalla salute di tutte le anime, ammoniamo i sacerdoti che sono applicati ad ascoltare le confessioni e gli altri tutti che hanno cura d’anime, che non lascino errare i fedeli a sé affidati, in punto tanto grave della legge di Dio, e molto più che custodiscano se stessi immuni da queste perniciose dottrine, e ad esse, in qualsiasi maniera, non si rendano conviventi. Che se qualche confessore o pastore delle anime, che Dio non lo permetta, inducesse egli stesso in tali errori i fedeli a sé commessi, o, se non altro, ve li confermasse, sia con approvarli, sia colpevolmente tacendo, sappia di dover rendere severo conto a Dio, Giudice Supremo, del tradito suo ufficio, e stimi a sé rivolte le parole di Cristo: ·Sono ciechi, e guide di ciechi; e se il cieco al cieco faccia da guida, l’uno e l’altro cadranno nella fossa’» (L.c., n. 58).

E purtroppo, a questo riguardo; in questi ultimi tempi le cose si sono ulteriormente aggravate e ci sono non pochi i quali sostengono tesi e predicano princìpi che non possono conciliarsi con quanto Dio ha stabilito nell’ordine naturale.

E allora è mio grave dovere raccomandare: se a qualcuno capitasse di leggere qualche pubblicazione, che si definisce cattolica, o di ascoltare qualche predicatore o qualche confessore che insegna la liceità morale delle pratiche anticoncezionali o di un comportamento che ad esse equivalga o che minimizza l’illiceità di queste pratiche al punto da renderla trascurabile, non lo ascolti e non lo segua! È un falso profeta, chiunque sia e qualunque qualifica abbia!

lo sono rimasto colpito da quello che, a questo riguardo, ho letto nella biografia di S. Caterina da Siena, scritta dal suo confessore,. il Beato Raimondo da Capua. Questa Santa ebbe un giorno una visione dell’aldilà e vide le pene, sia dei dannati, sia delle anime che si trovano in Purgatorio. «Fui colpita così ella si esprime – in un modo speciale da come si puniscono coloro che peccano nello stato matrimoniale, non rispettandolo come è loro dovere e cercandovi le soddisfazioni alla loro concupiscenza». Le domandai – così dice il biografo – perché quel peccato, che non era più grave degli altri, fosse punito gravemente. Rispose: «Perché a quel peccato non gli dànno importanza, e per conseguenza non ne hanno il dolore come degli altri, e, quindi, vi cadono più spesso e con più facilità». E soggiunse: «Troppo è pericolosa quella colpa, anche per piccola che sia, perché chi la commette, non si cura di allontanarla con la penitenza» (p. 162).

lo ho citato un passo di un’enciclica di Pio XI, pubblicata nel 1930. Nessuno però voglia pensare che, essendo ormai trascorsi tanti anni da quando il Papa parlò nei termini citati, tale suo insegnamento debba essere considerato superato e non abbia più valore alcuno. Purtroppo ho già sentito persone, anche qualificate, che si esprimono proprio in questi termini. E allora vediamo di chiarire le cose.

Ho già rilevato che la legge naturale è immutabile. L’ordine morale, dal momento che riflette l’ordine della natura, non può essere soggetto a trasformazioni, esattamente come non può l’ordine fisico. L’ordine che Dio ha dato alla natura al momento della creazione, sia per quanto si riferisce all’ordine fisico, come a quello morale, non può cambiare. E allora, come sarebbe assurdo pensare che possano cambiare le leggi fisiche, così è altrettanto assurdo pensare che possano cambiare le leggi morali. Come è assurdo pensare che verrà un giorno in cui un sasso lanciato nell’acqua galleggerà come un sughero o che il fuoco non brucerà più o che l’acqua non solidificherà più a 0°, così è altrettanto assurdo pensare che quello che in se stesso era male ieri possa diventare bene oggi o diventarlo domani. Pertanto, quanto ha insegnato Pio XI nell’ormai lontano 1930, illustrando la legge di natura, è valido anche oggi e lo sarà anche domani.

Da quanto detto consegue logicamente un altro principio che conviene esplicitare chiaramente, questo: la legge naturale non ammette eccezioni e non può ammetterle. Un comportamento che in se stesso, intrinsecamente, per sua natura è cattivo, non può mai, per nessuna ragione al mondo, diventare buono e lecito. Anche a questo riguardo posso paragonare l’ordine morale all’ordine fisico e rilevare che, come non ammette eccezioni questo, così non ammette e non può ammettere eccezioni quello. Come il fuoco brucia per una stessa natura e non è possibile far sì che in · qualche raro caso non bruci, così un comportamento intrinsecamente, per sua natura cattivo non può mai diventare buono e lecito, in nessun caso e per nessun motivo.

Ebbene, la pratica degli anticoncezionali va collocata in questa prospettiva. Essa è intrinsecamente immorale, per sua natura immorale, e non ci sono mai casi in cui possa diventare moralmente lecita, neppure . per ragioni gravissime. Come non si può pretendere che, sia pure in un caso del tutto eccezionale, il fuoco non bruci allo scopo di evitare un disastroso incendio, così non è mai ammissibile la liceità morale delle pratiche anticoncezionali, sia pure in casi del tutto eccezionali e allo scopo di evitare grossi guai.

Anche su questo punto Pio XI è stato chiaro. Ascoltiamo le sue parole: «Senonché, non vi può essere ragione alcuna, sia pure gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questa conseguenza, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta» (L.c., n. 55).

E d’altra parte anche i successori di Pio XI, cronologicamente a noi più vicini, si sono espressi negli stessi termini. Paolo VI, nella sua celebre e contestata enciclica sulla retta regolazione della natalità, la ‘Humanae vitae’, è stato anch’egli esplicito. Ecco le sue parole: «E… esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (n. 14).

E ancora: «…Richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi uso del matrimonio deve rimanere per sé aperto alla trasmissione della vita. Tale dottrina, più volte esposta dal Magistero, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (n. 11/2).

Dell’attuale Pontefice citerò tra breve un significativo passo. Egli ritorna spesso su questo argomento e i suoi numerosi interventi sono stati raccolti in una pubblicazione che voglio suggerirvi. Si tratta di un libro che si intitola ‘Uomo e donna lo creò’ – Catechesi sull’amore umano. In quest’opera, che raccoglie molti discorsi di Giovanni Paolo II su questo argomento, i problemi relativi all’amore umano vengono diffusamente trattati. E sarebbe bene che le persone coniugate, come pure coloro che si preparano al matrimonio, leggessero anche un libro che il Papa ha pubblicato quando ancora era Arcivescovo di Cracovia, sempre su questo argomento. Si intitola ‘Amore e responsabilità’.

Sì, se osserviamo con obiettività e con animo retto le linee strutturali della sessualità umana, ci rendiamo conto che essa, per legge di natura – e, quindi, per legge di Dio, che della natura è creatore – non è finalizzata semplicemente ad una soddisfazione materiale, ma alla . trasmissione della vita. Nell’esercizio concreto della sessualità si riscontra qualcosa di analogo a quanto avviene nell’assunzione del cibo. Come il cibarsi non è finalizzato alla soddisfazione del senso della gola, ma all’alimentazione e al sostentamento dell’organismo, così la sessualità non è finalizzata – ripeto: per legge di natura – alla sperimentazione di una soddisfazione carnale, ma a quella funzione che è prevista ed iscritta nell’ordine naturale, ossia la trasmissione della vita. E come il piacere che accompagna l’assunzione del cibo è volto a facilitare l’alimentazione dell’organismo, così il piacere che accompagna l’esercizio concreto della sessualità è volto a stimolare la realizzazione dell’altissimo compito di trasmettere la vita.

Un proverbio popolare dice che non bisogna vivere per mangiare, ma piuttosto mangiare per vivere. Credo che questo principio lo possiamo applicare, adattandolo, anche al campo che si riferisce all’esercizio della sessualità. Non si vive per ricercare le soddisfazioni carnali, ma la sessualità è volta, per legge di natura, alla trasmissione della vita. Come non avrebbe senso mangiare evitando che il cibo venga assimilato dall’organismo e ad esso dia alimento, energia e vita, anzi si farebbe violenza alle leggi della natura, così non ha senso ed è contro le leggi della natura esplicare l’attività sessuale evitando artificialmente che si accendano nuove vite.

Adattando il proverbio citato, potrei esprimermi così: lo scopo della vita non è quello di ricercare soddisfazioni carnali, ma queste possono essere lecitamente perseguite quando vengono subordinate a quanto la natura esige, ossia la trasmissione della vita, alla quale l’unione coniugale tende per sua natura. Ricercare esclusivamente il piacere carnale, volutamente escludendo quanto è richiesto dalla natura, comporta una violenza alla natura stessa, un sovvertimento dell’ordine naturale. Tale comportamento è pertanto in se stesso malvagio e non può mai essere giustificato.

Le soddisfazioni che l’uomo può perseguire e sperimentare non hanno carattere, potrei dire, finale, quanto piuttosto strumentale, nel senso che sono volte a facilitare, in un modo o nell’altro, l’adempimento di un dovere. Esse sono un mezzo, non una meta. E quando l’uomo si propone la ricerca esclusiva delle sue soddisfazioni, escludendo il dovere e il perseguimento di un fine ultimo; quando a questa ricerca subordina ogni altra cosa e ad essa dà la precedenza nella concreta programmazione della sua vita, allora cade nel disordine e cammina in senso inverso alla realizzazione di se stesso.

Non mi è possibile ora diffondermi su questo principio che meriterebbe una lunga dissertazione. Per un approfondimento di questo tema, consiglio la lettura attenta di quella meravigliosa opera che è ‘La vita interiore semplificata’ del P. Pollien, soprattutto il cap. Vll della parte l. In essa questo problema è considerato nella prospettiva dello scopo della vita umana, e, quindi, in una visione integrale e obiettiva dell’uomo.

È per questi motivi, i quali scaturiscono dalla natura stessa dell’uomo. che nell’unione coniugale – come ha ammonito Paolo VI – non si può mai scindere il significato unitivo dal significato procreativo. Il farlo comporta una violenza alle leggi della natura, in quanto viene artificiosamente impedito che essa consegua quella finalità che le è propria. Colle pratiche contraccettive viene distorta la finalità essenziale della sessualità, che in tal modo diventa, non la trasmissione della vita, ma la ricerca della soddisfazione personale. Non solo, ma con questo comportamento praticamente ciascun coniuge considera l’altro come un oggetto, non come una persona, lo considera come”uno strumento del quale ci si serve allo scopo di appagare la propria brama di piacere.

Per tutti questi motivi che abbiamo considerato, le pratiche anticoncezionali, in qualunque modo vengano praticate, vanno considerate immorali. «La contraccezione – dice Giovanni Paolo II, rifacendosi alla dottrina che la Chiesa ha sempre insegnato – è da giudicare, oggettivamente, così profondamente illecita da non poter mai, per nessuna ragione, essere giustificata» (17/9/83).

Se ci sono cristiani i quali pensano il contrario, io vorrei invitarli, non soltanto a meglio riflettere, ma anche a leggere quanto viene narrato nel capitolo 38° del libro della Genesi, là dove si parla di Onan, il quale, proprio perché si comportava in questo modo, fu punito da Dio con la morte.

Fonte: Fra Pier Giorgio, Ed. Casa Mariana, 1989

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