LA PENITENZA
Che cos’è la penitenza?
È la virtù che fa riparare l’offesa fatta a Dio con il peccato. Si possono riparare le offese proprie e le offese degli altri. C’è, infatti, chi fa penitenza per i peccati propri e anche per i peccati degli altri.
Gesù è stato il divino Penitente per i nostri peccati. La Madonna è stata la celeste Penitente per le nostre colpe. Vittime sublimi, si sono immolati interamente e soltanto per la nostra salvezza.
Con la loro immolazione essi ci hanno redenti aprendoci le porte del Paradiso e offrendoci i mezzi di grazia per salvarci. Adesso tocca a noi servirci di questi mezzi. Uno di questi mezzi è certamente la penitenza: «Se non farete penitenza, perirete tutti» (Lc 13,15).
Perché la penitenza?
Perché siamo peccatori e continuiamo a peccare. È necessaria, perciò, la riparazione, l’espiazione. È giustizia; si ripara il male fatto.
«Ogni peccato, piccolo o grande, – scrive sant’Agostino – non può restare impunito: o è punito dall’uomo che ne fa penitenza, o all’ultimo giudizio dal Signore».
Possiamo qui ricordare alcuni grandi peccatori convertiti e diventati Santi: santa Maria Maddalena, sant’Agostino, santa Margherita da Cortona, sant’Ignazio di Loyola, san Camillo de Lellis… Essi ci dimostrano che con la penitenza si ripara e si recupera tutto, fino alla santità più alta; e danno ragione a san Cipriano che esclama: «O penitenza…, tutto quello che era legato, l’hai sciolto; quello che era chiuso l’hai aperto». La penitenza scioglie dalle catene dei debiti contratti per i peccati, e apre i forzieri delle grazie più elette.
Penitenza e amore
Quando san Domenico Savio era gravemente ammalato, venne un giorno sottoposto a un salasso. Prima di iniziare, il medico gli disse: «Voltati dall’altra parte, Domenico, così non vedrai scorrere il tuo sangue».
«Oh no! – rispose il Santo – Hanno forato le mani e i piedi di Gesù con grossi chiodi sulla croce: ed Egli non ha detto nulla…».
E Domenico soffrì senza un lamento i dieci piccoli tagli che gli vennero fatti. Ecco la legge dell’amore: quando si ama veramente una persona, si vuol condividere tutte le sofferenze della persona amata. Non se ne può fare a meno.
Chi ama Gesù, e conosce la sua vita di umiltà e sacrificio, culminate nella crudele Crocifissione e Morte, non può fare a meno di desiderare la partecipazione a tutto quel dolore voluto dall’amore.
L’intensità di questa partecipazione a volte si è fatta anche manifesta in modo prodigioso e sanguinoso: pensiamo a san Francesco d’Assisi, santa Veronica Giuliani, santa Gemma Galgani, san Pio da Pietrelcina. Ma in tutti i Santi la penitenza più crocifiggente è stata un’esigenza dell’amore. Essi arrivavano al punto di non bramare altro che patire. Ricordiamo alcuni esempi mirabili.
San Francesco Saverio, sebbene oppresso da penosissimi dolori, pregava con trasporto, dicendo: «Ancora, Signore, ancora di più!». E all’isola su cui aveva patito le più gravi tribolazioni volle mettere il nome di Isola delle consolazioni.
Santa Teresa di Gesù è celebre anche per quel suo grido: «O patire o morire!». E san Giovanni della Croce, a Gesù che gli chiedeva che cosa volesse rispose: «Patire ed essere disprezzato per te».
San Gabriele dell’Addolorata diceva che il suo paradiso erano i dolori della Madonna. San Massimiliano M. Kolbe chiamava «caramelle» le croci le tribolazioni. San Pio da Pietrelcina diceva che i suoi tremendi dolori erano «i gioielli dello Sposo». Così ragiona chi ama.
Fare il proprio dovere
La prima e più importante penitenza del cristiano è quella di compiere fedelmente e perfettamente i propri doveri quotidiani. Fare altre penitenze, omettendo questa, significa badare al secondario trascurando il principale. Il primo posto, ricordiamo bene, tocca sempre al compimento esatto dei propri doveri. Se c’è questo, la sostanza della nostra vita di penitenza è assicurata.
San Giuseppe Cafasso menava una vita di penitenza nascosta agli occhi dei più. Dalle deposizioni al Processo di Beatificazione sappiamo che si accorse di qualcosa la buona donna che gli lavava la biancheria macchiata di sangue.
«Come mai le camicie sono sempre macchiate di sangue? – disse un giorno. Ha forse qualche piaga?».
Il Santo avrebbe voluto tacere; ma poi rispose schiettamente: «Via, voi siete come mia madre. Vi dirò tutto, a patto, però, che non lo diciate a nessuno. Dovete sapere che noi preti portiamo una cintura con punte, detta “cilizio”. Ecco perché trovate delle macchie». «Ma deve far male, povero figlio mio!», esclamò la donna.
«Sicuro che fa un po’ male; ma bisogna scontare i peccati, no?».
«Che dice? – interruppe l’altra, sgomenta – Se lei ha bisogno di far penitenza, che dobbiamo far noi?».
«Voi lavorate sodo – rispose il Santo – e lavorare tutto il giorno è una bella penitenza…».
Penitenza per i peccatori
Il lamento accorato della Madonna di Fatima dovrebbe starci veramente a cuore: «Molte anime vanno all’inferno, perché non vi è chi si sacrifichi e preghi per loro».
Giacinta, il fiorellino della Madonna di Fatima, fu la pastorella a cui maggiormente stettero a cuore quelle parole della «Bella Signora». Ella volle essere la vittima innocente; e il soffrire per i peccatori fu la sua passione dolorosa fino alla morte.
Colpita dalla spagnola e dalla pleurite purulenta, con infezione progressiva; trasportata in ospedale, lontana da casa; sottoposta a intervento chirurgico per l’asportazione di due costole senza esser addormentata… Povera bimba! Eppure, fu eroicamente coraggiosa nel non perdere ogni occasione e sacrificio per i peccatori: cibi ripugnanti, sete, solitudine, immobilità nel letto, dolori brucianti… Il suo celeste conforto era l’assistenza materna della Madonna; e morì consumata da febbre e dolori, sola sola, sul Cuore dell’Immacolata venuta dal Cielo a prendere l’innocente vittima per i peccatori. Quale esempio di penitenza eroica!
Fioretti
*Meditare la Passione e morte di Gesù (Mt 26 e 27).
*Offrire tutti i sacrifici e disagi alla Madonna Addolorata.
*Recitare i misteri dolorosi del Rosario.