Bisogna rispondere subito.
Subito: questo avverbio di tempo sta scritto due volte nel Vangelo, proprio quando narra la risposta di S. Pietro e S. Andrea, di S. Giacomo e S. Giovanni alla chiamata di Gesù.
Narra il Vangelo che Gesù incontrò i due fratelli Pietro e Andrea, mentre gettavano le reti in mare. Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». I due fratelli non ebbero un attimo di indugio, ma «s u b i t o, lasciate le reti, lo seguirono» (Mt 4,18-9).
Poco oltre Gesù incontrò altri due fratelli pescatori, Giacomo e Giovanni, che stavano rassettando le reti nella barca, con il loro padre. Gesù chiamò anche loro, ed essi «s u b i t o, lasciata la barca e il padre, lo seguirono» (Mt 4,22). «Subito»: così bisogna rispondere alla chiamata di Gesù. Lasciare senza indugi ogni cosa, staccarsi con prontezza anche dalle cose più care – genitori, casa, lavoro – per donarsi a Gesù. Non può e non deve esserci altro modo di corrispondere alla divina chiamata.
S. Paolo, rovesciato da cavallo, accecato da luce misteriosa, sente il lamento del Signore (« Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? … ») e gli chiede con prontezza: «Signore, che vuoi che io faccia?». Alla risposta di Gesù egli, l’ardente e terribile persecutore, diventa docile e mite, pronto a fare quello che Gesù gli ha chiesto, a farsi condurre dove Lui ha detto.
Del resto, che cosa ci può essere di più bello della chiamata a essere interamente di Gesù, suo ministro o sua sposa? Non è forse questo il più grande onore che Dio fa a una creatura, che tanti vorrebbero, ma non l’hanno?
«Quando Cristo chiama – ammonisce S. Giovanni Crisostomo – esige da noi un’obbedienza così pronta, che non dobbiamo indugiare neppure un istante».
Ogni indugio o rimando non può venire che dal maligno, e può essere fatale, come Gesù stesso fece capire a quel giovane che voleva ritardare un poco a seguirlo, per andare prima a salutare i parenti: «Chi mette, mano all’aratro e si volta indietro, non è atto al Regno dei cieli » (Le 9,66).
A un altro giovane, poi, che chiese di poter andare almeno a seppellire suo padre, prima di seguirlo, Gesù disse queste dure parole: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!» (Lc 9,62).
Non si può scherzare con la vocazione. E’ un dono immenso. Ci viene offerto e ci può essere ritirato anche al primo indugio, con gravi conseguenze per noi e con grande dispiacere del Signore. Per questo S. Alfonso de’ Liguori dice che «quando Dio chiama a uno stato più perfetto, chi non vuole mettere in gran rischio la sua salvezza eterna, deve obbedire ed obbedire subito»; e ancora: «Le chiamate divine a vita più perfetta certamente sono grazie speciali, e molto grandi, che Dio non fa a tutti: per questo ha molta ragione, poi, di sdegnarsi con chi le disprezza».
Ma a quale età conviene lasciare la propria casa? Orientativamente, l’età dei 15-16 anni è ottima sia per i ragazzi che per le ragazze, purché siano consigliati da una guida spirituale saggia e soprannaturale. Meglio prima, magari, anziché dopo.
A una madre che stava per accompagnare il figlio quindicenne al Noviziato, un’amica volle dare questo consiglio: «Rimanda un po’ di tempo: lasciagli prima conoscere e godere un poco il mondo…».
«Ah, che razza di consiglio mi dai! – rispose la madre – Così poi offrirò a Dio un frutto guasto…». Saggia e santa risposta. Ma sono molti, purtroppo, a ragionare da insensati quando affermano che i loro figli innocenti, chiamati da Dio, debbono prima conoscere il mondo, rendersi conto del male, e poi decidere. Questa è solo follia! Sentite questo episodio tratto dalle Cronache giudiziarie di Anversa: «Una ragazza era stata sempre una giovane buona e pia. Un giorno, anzi, manifestò al padre il desiderio di farsi suora; ma egli, per stornarla da tal proposito, le donò libri osceni: – Leggi prima questi libri; poi deciderai – . Quei libri pervertirono in breve tempo la giovane, la quale arrivò all’orrendo delitto di uccidere il padre… La Corte di Assise di Anversa condannò a 10 anni di lavori forzati Maria Smolders, rea di parricidio… (Su Via Verità Vita, sett. 1954, p. 429).
Non c’è chi non comprenda che sarebbe davvero brutta ingratitudine se, a un dono di predilezione così prezioso e raro, anziché rispondere subito e con gioia, si rispondesse con l’indugio e con il rimando che possono anche compromettere tutto.
S. Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico che tanto dovette soffrire per poter subito «seguire Gesù», ci spiega il dovere della prontezza nel rispondere alla chiamata di Gesù, dicendo che i lumi speciali del Signore di solito non sono permanenti, ma passeggeri; per questo «l’invito a una vita più perfetta deve essere seguito senza ritardo», altrimenti la voce del Signore passa oltre, e chiama altri.
Quando S. Francesco d’Assisi ebbe quel sogno-visione a Spoleto, in cui il Signore gli chiese perché mai lasciasse il padrone, per correre dietro al servo (a combattere nelle Puglie), S. Francesco rispose anch’egli al pari di S. Paolo: «Signore, cosa vuoi che io faccia?». E il Signore a lui: «Torna nella terra che ti ha visto nascere…». S. Francesco obbedì prontamente all’invito e lui, il re della gioventù di Assisi, brillante e ardimentoso come pochi, dovette affrontare con non minor coraggio il disonore del ritorno ad Assisi quasi come un vile disertore, senza che nessuno potesse spiegarsi quella apparente diserzione.
Proviamoci ora a immaginare e a chiederci: che cosa mai sarebbe stato di S. Francesco se non avesse subito corrisposto all’invito del Signore, ma avesse proseguito per le Puglie?…
Se la vocazione è un dono straordinario, viene da sé che, lungi dall’indugiare, è necessario affrettarsi per non rischiare di perdere un bene così grande e per non tardare neppure di un giorno a vivere nella casa dello Sposo.
Aveva compreso bene tutto ciò l’angelica S. Teresina quando rifiutò il dono di un viaggio in Terra Santa, solo perché le avrebbe fatto ritardare di un mese l’entrata al Carmelo.
Avevano compreso bene tutto ciò le intrepide vergini S. Chiara d’Assisi e S. Teresa d’Avila, quando organizzarono la fuga dalla loro casa paterna, per non tardare oltre a consacrarsi totalmente al Signore.
Quando S. Francesca de Chantal, rimasta vedova, ebbe sistemato i figli e la casa, decise di abbandonare tutto per consacrarsi a Dio nella vita religiosa, sotto la guida di S. Francesco di Sales. Il figlio Celso Benigno, però, non voleva assolutamente questo distacco e, per impedire alla mamma l’uscita dalla casa, si distese a terra sul vano della porta. L’eroica madre, a quella vista, pianse lacrime amarissime, ma poi passò sopra al figlio, per seguire la voce di Gesù.
La fuga ardimentosa, lo strappo violento…, tutto bisogna essere pronti a fare per Colui che «mi ha amato e ha immolato se stesso per me» (Gal 2,20), per Colui che ora mi chiama fra «i suoi», perché io sia interamente, esclusivamente, suo, senza il cuore «diviso» (1 Cor 7,33), tutto consacrato alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Se penso a tutto questo, mi affretterò davvero e correrò alla chiamata del Signore, così come si affrettò e corse il piccolo Samuele quando sentì chiamarsi nel sonno dal Signore, a cui subito rispose: «Eccomi» (1 Sam 3,5).
Giovane che leggi, forse una punta di rimorso ti brucia dentro? Se pensi ai tuoi rimandi a catena, per esaminarti seriamente sulla tua vera vocazione, comprenderai come stai rischiando brutto. Entra in te, ascolta, rifletti e medita. Fa presto a dire «eccomi, Signore». Non indugiare e non temere. Confida nel Signore come faceva S. Paolo che scriveva: «Tutto posso in Colui che mi sostiene» (Fil 4,13). Ciò che adesso ti può sembrare difficile e forse tifa ritardare, ti sarà reso via via più facile appena ti muoverai, come dice il Salmista: «Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio… Cresce lungo il cammino il suo vigore»(83,6 e 8).
Fonte: VIENI E SEGUIMI, Padre Stefano M. Manelli
Riguardo a quanto è scritto che la chiamata di Dio può essere ritirata, è anche vero che san Paolo dice:i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!