San Luigi M. Grignion de Montfort

Maestro della devozione mariana 

I primi anni a Montfort

S. Luigi Maria Grignion nacque e fu battezzato nella parrocchia di S. Giovanni Battista a Montfort, il 31 gennaio 1673. Nella Bretagna, in Francia.

Era secondo di diciotto figli, di una famiglia borghese. Fu dato a bàlia alla contadina del podere di famiglia, e restò nel contado fino all’età di due anni e mezzo.

Dal carattere del padre, impetuoso, ereditò la forza. Dalla tenerezza della madre, deve aver ricevuto il cuore. Appena di quattro anni o cinque anni, vedendo la mamma soffrire, l’avvicinava per consolarla: ma come la consolava? incoraggiandola a soffrire con pazienza.

Nella sua vita si legge: “Strinse fin dall’infanzia un’amicizia intima con una delle sue sorelle… poiché la trovava più docile degli altri a seguire i sentimenti e le pratiche di pietà che egli voleva ispirare… La chiamava in segreto e con abilità di tra le sue piccole compagne, per condurla con sé a pregare Iddio. La sorella lo seguiva e, sull’esempio del fratello, attirava anche le sue piccole compagne a recitare insieme il Rosario. Per determinarle a recitarlo ogni giorno, Luigi dava loro ciò che aveva di meglio e di più bello…”.

Via via che Luigi avanzò negli anni, provò e portò – quasi patì – un amore grande alla Madonna. A un certo momento, forse alla Cresima, prese il suo nome, e volle essere chiamato Luigi Maria nel tempo e per l’eternità.

Al collegio di Rennes 

A dodici anni partì per il collegio di Rennes, dei Gesuiti, restandovi per otto anni.

Il Santo riportò i migliori risultati scolastici. Però, ai suoi scritti futuri, di cui il più famoso (tradotto almeno in 40 lingue) è il “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”, giovarono di più le sue letture private, la frequenza di uomini e circoli spirituali e, soprattutto, una personalissima meditazione e pratica della preghiera e della vita spirituale. Per giunta, senza negare affatto il suo debito alle scuole, egli da scrittore seguirà più la tradizione degli autori popolari che la tradizione classica francese, studiata in collegio.

La corrente galante del libertinaggio, come ovunque, c’era pure nelle città di Rennes. Luigi Maria la combatté con decisione. Una volta, trovandosi solo in casa (la famiglia era venuta a Rennes), distrusse un libraccio di figure scandalose gettandolo nel fuoco, disposto a soffrire ogni maltrattamento da parte del padre se fosse venuto a saperlo. Tanta risolutezza gli veniva dalla Madonna, benedetta fra le donne, tutta bella, tutta pura, Vergine Mamma, che egli supplicava e amava tanto.

La sua vera devozione alla Madonna lo spingeva ad amare il prossimo, anche eroicamente. Dava sollievo a ogni bisognoso. E l’amore ai poveri lo portò ad amare la povertà. Aiutando i sofferenti, fu portato a patire lui stesso. “Le discipline, le catene di ferro e altri strumenti simili di mortificazione furono usati da lui appena conobbe”. Ed era lieto, sì, lieto perché amava molto.

Egli amava pregare, e amava la Madonna. Questi amori o questo amore è un fatto dominante della sua giovinezza, è la luce maggiore dei suoi anni giovanili. E riguardo a ciò, un considerevole influsso lo esercitarono su di lui un professore, che dirigeva il corso filosofico, e il confessore del collegio, nipote del filosofo Cartesio. Nel collegio, poi, vi erano quattro associazioni mariane: S. Luigi Maria fu ammesso alla Congregazione Mariana Maggiore, nel 1688.

Ai piedi della Madonna 

A Rennes, frequentava principalmente la chiesa di San Salvatore dove, in una cappella, le folle si succedevano da seicento anni ai piedi di una statua di legno raffigurante la Vergine, con il titolo di Madonna dei Miracoli. Ogni giorno, andando al collegio, e la sera, prima di rientrare a casa, si mescolava alla folla prostrata davanti alla santa immagine. Un’altra statua, venerata nella Cappella del Carmelo Maggiore, col nome di Madonna della Pace, riceveva pure, due volte al giorno, la visita del santo studente. Ed è probabile che andasse spesso anche al santuario della Madonna della Buona Novella, sempre nella città di Rennes.

Quando il giovane Santo era davanti a un’immagine di Maria, sembrava non conoscere nessuno, come fuori dai dei sensi. Con un’aria devota e animata, in una specie di essai, immobile e senza azione, stava per delle ore ai piedi dell’altare a pregarla, a onorarla, a reclamare la sua protezione, a consacrarsi al suo servizio. Chiamava la Madonna sua Mamma, sua buona Mamma, e andava a lei con una semplicità infantile, a chiederle tutto il necessario sia temporale che spirituale. E che cosa gli è mai mancato con l’aiuto della celeste Regina? I miracoli della sua provvidenza materna su diluì si moltiplicavano con i giorni, e se qualche volta sembrava abbandonarlo per qualche ora, era soltanto per animare la sua confidenza in lei ed esercitarlo nelle virtù più difficili. Così, come una buona madre che si sottrae qualche momento agli occhi del suo bambino per ridargli poi subito la sua presenza più dolce e più sensibile, la divina Maria, sembrava qualche volta dimenticare il suo grande devoto, ma dopo averne provato la virtù, non tardava più a fare risplendere la sua tenerezza per lui. Sembrava che la Madonna lo portasse per mano in tutte le sue vie e che egli imparasse da Lei tutto quello che doveva fare.

Luigi Maria aveva una purezza angelica. Era modesto non tanto per essere casto, ma perché era casto. Aveva un’umiltà profonda, un’ubbidienza e sottomissione esatta ai comandi. Aveva una pietà esemplare. Intanto, era nata in lui, e maturata, la vocazione al sacerdozio, come una necessità d’amore: dare a Dio tutti, non solo se stesso.

In seminario a Parigi 

Per il lato economico, si interessò una buona donna. Il padre poteva tanto poco, che per il viaggio da Rennes a Parigi, dove c’era il seminario di S. Sulpizio, gli diede appena dieci scudi: quasi nulla. Nei pochi soldi ricevuto e nell’impossibilità di riceverne altri, il Santo vide la giustificazione per fare a piedi quel viaggio, come lui voleva. E si avviò, con il rosario in mano, libero da tutto, abbandonato alla Madonna, Madre di Dio provvidente. Camminò per nove giorni, circa, tra umiliazioni e patimenti, accettati con gioia perché amava, amava.

Era esemplare. Portava gli occhi così bassi, che poteva vedere soltanto il terreno ai suoi piedi. Ma, cosa che faceva meraviglia, sapeva dove erano poste le immagini della Madonna negli incordi di strade e sulle porte delle case. Un giorno, un amico, meravigliato di vederlo tanto spesso levarsi il cappello senza vedere a chi, gli domandò chi salutasse. Rispose che salutava immagini della Madonna sulle porte delle case, le quali c’erano effettivamente ma tanto allo scuro, che l’amico non riusciva a vederle senza una ricerca degli occhi.

Quaggiù soltanto per lassù

A Parigi, almeno agli inizi, S. Luigi Maria Grignion conobbe di più che a Rennes la povertà. Non la povertà consolata di chi, senza possedere nulla in proprio, è sicuro del pane e di un cuscino, ma la povertà di chi deve stare ogni momento per ogni necessità alla speranza di un passante o di un generoso. Conobbe da vicino anche la morte quando, tre o quattro volte la settimana, doveva vegliare di notte i cadaveri in chiesa. A queste durezze, aggiunse altre di sua iniziativa: i cilici, le discipline, le astinenze, il poco sonno, le fatiche domestiche più brutte, le catenelle, i bracciali di penitenza, la rinuncia alla pittura e alle amicizie.

Affrontò con mirabile coraggio il giudizio umano: che cosa importava a lui quel che si diceva di lui? Lo spettacolo della morte, lo pettegolo del peccato gli avevano insegnato a vivere quaggiù soltanto per lassù. La sua preghiera divenne continua e nulla sembrava interromperla. La sua conversazione quasi sempre cominciava o ricadeva sulla Madre di Dio. Parlava spesso di Dio. Dominanti, nella sua vita affettiva ed effettiva, erano la devozione alla Madonna e l’amore alla Croce.

Quando trovava immagini della Madonna belle e devote, il suo cuore era soddisfatto a guardarle. A un certo punto, ebbe l’incarico di accomodare l’altare e l’immagine della Madonna nella chiesa di San Sulpizio: allora, per andare lì sacrificava con gioia la ricreazione, perché tutto cil che riguarda il culto di Maria formava la sua delizia.

Consacrato Sacerdote

S. Luigi Maria di Montfort fu ordinato Sacerdote il sabato 5 giugno del 1700.

Poco prima o poco dopo quei giorni, cominciò a scrivere molte canzoncine popolari. Da allora cominciarono anche i suoi pellegrinaggi, a piedi, il primo dei quali fu alla Madonna di Chartres. Strada facendo, si fermò qua e là a parlare di religione ai contadini o ad altra gente; finita la strada, si riposò pregando ai piedi della sacra immagine, per ore e ore, anziché andando in albergo.

Qualche tempo prima dell’ordinazione sacerdotale, aveva fatto il voto di castità, scegliendo a Parigi la chiesa di “Notre-Dame”. In questa chiesa dedicata alla Madonna, era andato con altri seminaristi ogni sabato a fare la Comunione in onore di Lei.

Dopo una settimana di preparazione, celebrò la sua Prima Messa. Preferì per tale occasione quella cappella della Madonna, nella parrocchia di S. Sulpizio, di cui aveva avuto tanta cura da seminarista.

I suoi primi anni di sacerdozio furono intimamente dolorosi: incompreso, malvisto, ostacolato, amareggiato. Si parlava di lui nelle conversazioni devote, che non sempre sono le conversazioni più intelligenti e, spesso, non sono le più caritatevoli.

In questo periodo, fondò la Congregazione delle Figlie della Sapienza. Intanto aspirava sempre più a “fare amare nostro Signore e la Sua Santa Madre, e andare in maniera povera e semplice a fare il catechismo ai poveri della campagna ed eccitare i peccatori alla devozione verso la SS. Vergine”. Ed ecco “una piccola e povera compagnia di buoni preti… sotto lo stendardo e la protezione della Madonna”. Erano i Sacerdoti Missionari della Compagnia di Maria, chiamati poi Monfortani.

Missionario apostolico 

Dei suoi quarantatré anni di vita, gli ultimi dieci li trascorse camminando, sempre a piedi: dal 1706, quando fu pellegrino a Roma, al 1716 quando, durante una missione, morì. Durante quel pellegrinaggio si fermò anche a Loreto, a venerare la S. Casa di Nazareth. A Roma, fu creato missionario apostolico dal Papa, che però gli negò il permesso di andare in India, all’estero, come aveva chiesto. Perciò fu missionario in patria.

In una lettera alla gente, tra l’altro si legge: “Ricordatevi… di amare ardentemente Gesù Cristo, di amarlo per mezzo di Maria, di far risplendere ovunque e doventi a tutti la vostra genuina devozione alla santissima Vergine, nostra buona Madre… Almeno qualche uomo di Dio, qualche donna di Dio non si dimentichi di far penitenza, anche pubblica, per il peccato pubblico, fosse pure di una sola Ave Maria… Con Maria è facile; io confido in lei, anche se il mondo e l’inferno brontolino…”.

Una volta, con frate Maturino, suo compagno fedele nelle varie missioni, capitò a Montfort. Qui, volle chiedere ospitalità alla famiglia dell’affezionata bàlia. Chiese come un povero qualsiasi. Ebbe un rifiuto. Dormì nella casa di un povero, il quale lo riconobbe. Tutto il paese lo riconobbe. Allora Andreina (si chiamava così la bàlia) corse da lui a scusarsi, ed egli le disse: “Se ieri sera vi avessi chiesto da mangiare a nome del prete Grignion da Montfort, me l’avreste dato. Lo chiesi a nome di Gesù Cristo, vostro Dio e mio, e me l’avete rifiutato. Andreina, che grossa indelicatezza avete commesso, Andreina”. Lo stesso scherzo lo fece altre volte ad altri.

La sua singolarità

Non è detto che i Santi siano gente comoda: in essi c’è sempre qualcosa rinnovatrice che, senza disubbidienza, va però contro il mondo comune (anche se buono).

Il primo carattere delle missioni al popolo era in quei tempi la esteriorità, che lui per amore di Dio e delle anime portava a un limite che era creduto esagerato dai preti, dai religiosi (eccettuati i Gesuiti), dalle autorità, dalle persone che sono dette comunemente “perbene”. Processioni di una solennità e a una partecipazione di popolo mai viste, predicazioni all’aperto vibranti e lunghe, penitenze pubbliche fino al sangue, erezioni di calvari, ricostruzioni di chiese. Lui in persona andava, come fuoco purificatore, in luoghi dove nessuno avrebbe mai voluto farsi vedere. Ancora: era il ritratto della povertà, del patimento, era, si può dire, un crocifisso ambulante.

Le parti sostanziali di ogni missione erano tre: le meditazioni sulle verità eterne, le istruzioni di catechismo e di morale, le funzioni religiose con canti. Secondo i testimoni, nel predicare era proprio “folgorante”, e si restava come bruciati vivi. I suoi canti, poi, facevano molta presa sul popolo. Come ci teneva al canto! Diceva che Dio ama il canto, e aggiungeva che “cantando, diventiamo angeli”: essi cantano e cantano. Diceva ancora: “Il canto è un segreto di santità”, perché cantare illumina l’anima, la vuota delle tristezze.

Nelle missioni di tutti i missionari buoni accadono fatti come conversioni, paci, legittimazioni di uomini: in quelle del Grignion accadevano anche fati straordinari, da parte sua, come estasi, visioni, profezie, risposte miracolose. Così la sua santità, specialmente negli ultimi anni, si faceva visibile pure a chi non volesse vedere. Di lì a poco, forse egli avrebbe trionfato delle resistenze, forse tutti gli avrebbero voluto bene. Ma la Madonna se lo chiamò. Comunque, sulle sue tracce di Santo, nasceva santità. Morì il 28 aprile 1716.

L’uomo, l’artista, il Santo 

La sua statura era più alta della media. Corporatura robusta. Occhi vivi ma molto modesti. Di temperamento fortissimo, trasformò tale forza in forza di dolcezza, pur essendo per natura assai collerico. Oh, la potenza dolcificante della soavità della Madonna! All’esterno, egli poteva apparire anche sgarbato, violento, ma in effetti la sua violenza era quella che apre i cieli. In confessionale poi era dolce e insieme fermo con i penitenti, invece dal pulpito sferzava i vizi.

S. Luigi Maria di Montfort possedeva anche talenti d’arte, e ciò avrà giovato non poco alla sua santità: chi è artista può essere un santo mancato, ma il Santo è un artista riuscito nel senso che collaborando con il Signore, fa di sé un capolavoro. Aveva reali capacità artistiche, in vari campi, e nelle opere sue di questo genere la religione è trattata in un modo profondo ma facile per tutti. In particolare, i suoi canti furono cantati da tutti, durante le sue missioni e per decine e decine di anni dopo. Comunque, anche se artista, il suo ardore non era basato sul sentimento, che può esserci o non per conto suo, ma sulla volontà: era l’ardore del vero amore, e in lui era alta temperatura perché era l’ardore proprio del Santo.

Con la sua forza di volontà, intesa come offerta personale risoluta, e soprattutto con la forza della grazia divina, per cui si partecipa alla vita e alla natura stessa di Dio, divenne Santo, amando fino all’eroismo. Ma fu grande così il suo amore “per mezzo di Maria, con Maria, in Maria, per Maria”. In lui l’amore alla Madonna era quasi nato con lui. Si può dire che la Madonna l’abbia scelto per prima come uno dei suoi più grandi favoriti, stampando nella sua anima quella tenerezza particolare che egli ebbe sempre per lei e che l’ha fatto stimare uno dei suoi più grandi devoti. Si può dire che da bambino era in piccolo quel che da adulto è stato in grande: predicatore instancabile della sua devozione, intesa come “schiavitù d’amore” verso di Lei. Così predicava la devozione mariana, soprattutto così la praticava. E così pure la scrisse nel breve “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine” (titolo dato altri al suo manoscritto), tanto utile a chi vuole amare veramente la Madonna e pure a chi vuole conoscere meglio questo Santo, particolarmente mariano.

FONTE: I Santi e la Madonna, ©Ed. CasaMariana, vol. 3
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