San Pasquale Baylon

Pastorello della Madonna 

I primi anni e il futuro

Il Patrono dei Congressi Eucaristici nacque a Torre Formosa (Spagna) da Martino e Isabella Jubera, nella festa di Pentecoste del 1540, il 16 maggio, il mese più caro alla Madonna.

I suoi genitori, modesti agricoltori, erano ricchi di quei tesori celesti che, come si legge nel Vangelo, “i ladri non rubano” (Lc. 12,33). Contenti per la nascita del bambino, al fonte battesimale lo chiamarono Pasqualino. E procurarono di educarlo il meglio possibile, affinché crescesse caro a Dio.

Benchè, per la tenera età, non sapesse ancora parlare, sentendo dalle labbra materne i soavi nomi di Gesù e di Maria riuscì a pronunciarli. E ben presto, con l’aiuto materno, imparò a pregare da solo.

La pia Isabella accompagnava ogni giorno Pasqualino alla vicina chiesa del monastero cistercense, per ascoltarvi la S. Messa: ella si accorse che il piccolo, durante l’Elevazione, fissava gli occhietti vivaci sul’Ostia e sul Calice con tanto ardore… Un mattino, non vedendolo a casa, andò a cercarlo in Chiesa, dove lo trovò inginocchiato davanti all’altare, con le manine giunte e lo sguardo fisso sul tabernacolo. Questa devozione serafica verso l’Eucarestia avrebbe imbalsamato tutta la sua vita.

E verso la Madonna sentiva tanto affetto! Inginocchiato davanti alle Sue immagini, che ornavano le pareti di casa, recitava con tanto soave trasporto le preghiere imparate dalla mamma: senza distrarsi, rapito come in estasi, quasi.

Pastorello alla “Madonnina della Serra” 

All’età di sette anni, fu incaricato da suo padre di custodire un branchetto di pecorelle.

Non lontano da casa, verso la zona del pascolo, c’era una chiesetta dedicata alla Madonna, antico santuario. Questo, anche se con i muri scrostati, era per lui un piccolo paradiso terrestre. Lo visitava spesso, per guardare la sorridente “Madonnina della Serra” e pregarla incantato…

Non lo perdeva mai di vista. Quando doveva allontanarsi di là, lo aveva presente alla memoria e, più ancora, al suo cuore. Si racconta che a qualunque distanza si trovasse, si metteva a pregare, di tanto in tanto, con la faccia rivolta verso quell’amata chiesetta, specialmente durante la recita del Rosario, sua preghiera preferita.

Quando doveva allontanarsi tanto da perdere di vista il santuario, la sua devozione gli suggeriva un rimedio. Aveva un robusto bastone per difendere il gregge dei lupi, e ci aveva applicato un’immagine della Madonna e una croce, incisa con il suo coltello a serramanico. Conficcato in terra il bastone pastorizio, si prostrava davanti, pregando come se si trovasse lì dentro.

Pregare la Madonna, insegnare il catechismo 

Pasqualino faceva progressi nell’amore di Dio, che attingeva dal culto di Gesù Eucaristico e della Mamma celeste.

Cercò pure di farsi istruire un po’. Intelligente com’era, imparò preso a sillabare e poi a leggere correntemente.

Appena fu capace di recitare l’Ufficio mariano, ne fece un’occupazione prediletta e, perché dotato di una bella voce, cominciò a mollare lodi alla celeste Sovrana, con devota ammirazione. Invece di insuperbirsi, lui, pensava piuttosto di fare catechismo a quei pastorali, parlando ad essi della verità di fede, della virtù, del vizio.

Quando recitava l’Ufficio della Madonna, cercava di separarsi dagli altri pastorali, perché voleva pregare con la massima devozione, nell’amabile compagnia di Gesù e della sua impareggiabile Mamma. Il Rosario però lo recitava assieme.

Il piccolo catechista filava dritto con il suo ragionamento, semplice e forte. Si avvicinavano per ascoltarlo anche persone adulte quando parlava.

Il manto della Mamma celeste

Un giorno, si era visto il cielo, prima sereno, coprirsi di densi nuvoloni. Per ripararsi dalla tempesta, lui e un’altro pastorello si erano rifugiato sotto due querce. Ma, poco dopo, quelle piante venivano sbattute tra lampi e tuoni dal vento, violentissimi. I piccoli tremavano di paura, anche per i loro greggi, che erano rimasti allo scoperto.

Preghiamo la Madonna di volerci proteggere! – suggeriva Pasqualino. E intonò il S. Rosario con filiale fiducia nella Mamma celeste.

Il vento, intanto, aveva schiantato le due querce, mettendo allo scoperto i pastorali, che però, nonostante tutto, rimasero salvi fino alla comparsa dell’arcobaleno. E anche le pecorelle erano al sicuro, benché tutte bagnate e belanti.

Questo fato fu creduto un prodigio della Madonna pregata fervorosamente dal piccolo Santo, il quale aveva una fiducia senza limiti in Lei. Egli insisteva sulla devozione verso la celeste Regina, e consigliava ai suoi conoscenti la recita del Rosario. Per diffondere tale pratica, costruiva corone con certi semi, che univa con sottili giunchi, e le distribuiva. A un passante, una volta, che gli domandava a che servissero quegli oggetti, rispose:

Poiché ho una sola corona, ricevuta in dono dalla mamma, ne costruisco altre, che possono servire allo stesso uso e costano solo un po’ di fatica da parte mia. Ne desiderate una pure voi?

– Volentieri! Quanto costa?

– La recita di un Rosario seconda la mia intenzione… – disse lui con un angelico sorriso.

Gli restavano altri quindici anni di vita pastorizia, durante i quali poté abituarsi alla penitenza, alla preghiera, all’umiltà, all’ubbidienza.

Un’apparizione, una delusione e l’attesa 

Che avesse una spiccata inclinazione alla vita di convento, risultava fin dalla sua fanciullezza. Ma sono a vent’anni, forse per umiltà, bussò alla porta di un convento, francescano alcantarino, il quale era dedicato alla Madonna di Loreto.

– Entrate! – rispose il frete portinaio, che lo accompagnò alla cella del Superiore, come Pasquale gli aveva chiesto.

– Frate voi!? – disse il P. Guardiano quando Pasquale gli ebbe manifestato lo scopo della visita.

Se il Signore mi chiama… Così, del resto, mi dissero un frate e una monaca durante un’apparizione.

Un’apparizione?! E, secondo voi, chi erano?

Forse S. Francesco e S. Chiara, se non m’inganno…

– Non scherziamo… Si tratta di fantasie, alle quali non bisogna badare: la vostra salute… Vi vedo così mingherlino, che dubito assai della vostra capacità a sopportare la vita religiosa. Volete un consiglio da amico? Ritornate al vostro gregge e, intanto, preghiamo per conoscere la volontà del Signore.

Il santo giovane restò amareggiato, comunque si rassegnò. Ma non andò dai suoi: cercò e trovò lavoro non lontano dal convento, mandando poi alla famiglia il modesto salario. Il lavoro trovato era tutt’altro che nuovo: custodire il gregge.

Frequentava volentieri la chiesa dei Francescani, anche perché dedicata alla Madonna, alla quale egli si raccomandava filialmente per la vocazione. Ogni mattina, dunque, poteva assistere alla Messa e fare la Comunione, ma pure al pomeriggio visitava la Chiesa, per trattenersi in adorazione davanti al tabernacolo.

Qualche volta, per recitare meglio l’Ufficio mariano, si ritirava presso quella chiesa e, piantando a terra il bastone con l’immagine della Madonna, affidava alla dolce Sovrana le pecore, ricordando l’amabile titolo di “celeste Pastora”.

Il fraticello

Sperava con ferma fiducia di diventare frate francescano. La sua frequente invocazione alla Madonna era questa: “Salvami, Maria mia! Porgimi aiuto, o grande Vergine Madre di Dio!”.

Intanto, erano passati questi cinque anni da quel colloqui col P. Guardiano. Si presentò di nuovo al convento, chiedendo di essere accettato come postulante.

– Ottimamente! – fu in breve la risposta del Superiore.

Vestito il saio francescano, emise i voti nel 1565, nella fetta della Purificazione della Madonna. Aveva quasi 25 anni quando diventò frate, precisamente fratello laico.

Osservando il suo comportamento in convento, sembrava che egli fosse abituato da molti anni a una eccellente vita religiosa.

Al suono della campana, al mattino, per incarico ricevuto andava a bussare di cella in cella, dicendo per tre volte: “Siano lodati Gesù e Maria!”.

Compiuti gli esercizi dello spirito in chiesa, passava ai servizi domestici del convento, tra cui: preparare il refettorio e ciò che occorreva. Durante il lavoro, che faceva in religioso silenzio, rivolgeva di tanto in tanto lo sguardo al Crocifisso e alla Madonna. E qualche volta si metteva a cantare, sottovoce, le lodi della Vergine.

Dopo il pasto dei confratelli, si occupava di quello dei poveri, invitandoli poi a ringraziare la Provvidenza. E quelli adatti a lavorare li spingeva a guadagnarsi il pane lavorando, per non toglierlo così ai più bisognosi.

S. Pasquale occupava la giornata in diversi altri lavori, per es. in giardino, dove coltivava fiori per l’altare della Madonna e l’altare del Santissimo: fiori, che offriva con mano devota e cuore ardente. Tra le varie occupazioni, ne aveva un’altra: leggere libri utili e scrivere anche, per nutrire lo spirito desideroso di perfezione.

Tra i doni che ebbe, quello della scienza infusa, della profezia, di cui ci furono molte prove e anche solenni.

All’ombra del chiostro, il suo amore per l’Eucarestia aumentava di continuo, come un vasto incendio. Quando gli fu affidata l’ubbidienza di questuare, la prima visita che faceva arrivando in un villaggio era riservata al divino Prigioniero del tabernacolo. Durante tutti i tempi liberi, che gli permetteva l’ubbidienza, faceva la guardia al celeste Sovrano in chiesa.

Una difficile ubbidienza

Il Signore dispose con S. Pasquale dal suo Ministro Provinciale fosse inviato in Francia, per portare un plico importantissimo al Ministro Generale. Il villaggio era difficoltoso, più che per la distanza per la presenza degli “ugonotti”, eretici che non credevano nella presenza reale di Gesù nel Sacramento dell’altare ed erano disposti a ogni persecuzione contro i “papisti”.

Non sarò solo, perché sarò accompagnato dal mio buon Angelo Custode e protetto dalla Madonna.

Così disse al P. Provinciale, e parti: a piedi nudi, con la tonaca più malandata, e allegro come una Pasqua, dopo aver fatto la Comunione e assistito alle prime Messe.

Durante il cammino pregava, e pregava. Gli piaceva specialmente il S. Rosaria. Egli aveva imparato, dal suo Maestro di noviziato, che il Rosario aveva preso il nome del fiore più bello: dalla rosa, regina dei fiori. Lo recitava spesso, e con devozione.

Un giorno entrò in una chiesetta per adorare il Santissimo e rivolgere un’Ave alla Madonna. Uscito di là, riprese il cammino con più lena, l’umile fraticello, vestito poveramente. La povertà: S. Francesco la chiamava sua fidanzata, sua signora e regina, ma la grande dignità di essa viene da Gesù e da Maria stessi.

Dopo molte e varie sofferenze durante il viaggio, dopo aver superato pericoli d’ogni genere, arrivò a Parigi e consegnò il plico al Superiore Generale. Poi, tornato al convento di Valenza, in Spagna, continuò a vivere la sua vita religiosa in modo esemplare.

“Vieni, servo buono e fedele” 

Il Signore gli concesse una morte privilegiata.

Una settimana prima, andò alla cerca per Villareale, nel quo convento, dedicato alla Madonna del Rosario, sarebbe morto. Passando di casa in casa, lasciò tanti e preziosi ricordi e diede opportuni consigli di vita virtuosa.

Dopo quell’ultima cerca, sentendosi molto stanco, spossato, pregò il confratello infermiere di lavarelli i piedi. Disse: “Può avvenire che io peggiori, e abbia bisogno dell’Olio Santo, perciò conviene che mi tenga preparato”.

Il P. Provinciale dispose che si togliesse la tonaca al sofferente, per rendergli meno peno la colica, da cui era colpito. S. Pasquale non voleva ma, appena informato che tale era la volontà del Superiore, ubbidì prontamente, pregando l’infermiere di voler apprendere la tonaca di fronte, per poterla almeno vedere.

Le condizioni del paziente peggioravano, ma il suo contegno continuava ad essere lieto e amorevole, come abitualmente. La vigilia di Pentecoste, ricevette il S. Viatico e l’Unzione degli infermi. Il giorno dopo, domenica di Pentecoste, volle rivestirsi della tonaca e gli fu concesso. Invece non fu messo a giacere sul pavimento, come desiderava, volendo imitare il serafino Fondatore. Allora, sempre rassegnato, intrecciò la corona alla dita e cominciò a pregare la Madonna di prepararlo al grande passo.

– Gesù, Maria! – ripeteva con fervore, mentre dal coro sentiva il canto dei confratelli alla Messa solenne.

A un tratto, il morente pregò il confratello sacerdote che lo assisteva di aspergerlo con l’acqua benedetta, perché probabilmente il demonio lo “stava tentando. Comunque era corazzato contro gli assalti del maligno.”

E mentre si elevavano l’Ostia e il Calice durante la S. Messa moriva, il 17 maggio 1592, giorno di Pentecoste. Era nato nel mese mariano, il giorno festiva di Pentecoste, e nello stesso mese e giorno terminava la sua prova terrena: misteriosa coincidenza!

FONTE: I Santi e la Madonna, ©Ed. CasaMariana, vol. 3

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