CUORE MORTIFICATO
Se Gesù non avesse avuto un Cuore mortificato, non avrebbe scelto per sé una vita così mortificata e dura come quella menata per trent’anni nell’umile villaggio di Nazaret, non avrebbe scelto una vita pubblica così povera e insicura come quella menata per le strade della Palestina.
Che cosa mai poteva dargli Nazaret, così grama e insignificante?
Gli stessi israeliti poterono dire: «Da Nazaret è mai venuto nulla di buono?» (Gv 1,46).
Chi ha potuto visitare i resti dell’antica Nazaret si sarà fatto una qualche idea della vita di privazioni che Gesù volle accettare per darci l’esempio di semplicità e di austerità sia nel paese, che nella casa, nei cibi, nel lavoro, nei rapporti sociali. Quanti agi e comodità non offre la società di oggi agli uomini? Gesù non ebbe nulla di tutto questo. La mortificazione del cuore e dei sensi era costante nella sua giornata, nutrita di tanta preghiera, di molto lavoro, di molti disagi e stenti.
Pensiamo alla povertà e rusticità nei cibi. Fra gente umile e semplice ci si contenta di poco. San Francesco d’Assisi lodava Dio con giubilo di fronte a pochi tozzetti di pane avuti in elemosina, che spesso costituivano il suo pranzo insieme all’acqua di una fonte. San Pio X, sia da semplice prete che da vescovo e da papa, spesso si contentava di fare pranzo e cena con un po’ di pane e formaggio, o con una mela, o con poche noci… Egli godeva fama di avere le “mani bucate”, e realmente egli dava ai poveri tutto quel che aveva, senza nessun riguardo per sé.
Gesù si nutrì per tutta la vita nella maniera più semplice, e durante la missione pubblica, se non si fermava in casa di qualcuno, si contentava di masticare un po’ di grano colto dalle spighe del campo (Mc 2,23).
Il cuore mortificato sa vivere di ben altre consolazioni che non siano quelle della gola e del corpo. Quando il demonio tentò Gesù nel deserto, gli chiese di trasformare le pietre in pani, per soddisfare la fame del corpo. Ma Gesù gli rispose con divina nobiltà: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
Il cuore che vive per Iddio disdegna l’ansiosa preoccupazione delle cose terrene, ascoltando la parola di Dio che dice: «Che state a preoccuparvi di che cosa mangerete, vi vestirete…
Di queste cose si preoccupano i pagani. Cercate piuttosto il Regno dei cieli, e il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6,24-34).
CUORE INGORDO
Nella vita di santa Margherita M. Alacoque si legge che la Santa era fortemente allergica a un cibo molto comune, e di cui si faceva molto uso nel monastero: il formaggio.
Le bastava vederlo per provarne subito l’invincibile ripugnanza; se poi doveva portarlo alla bocca per mangiarlo, si sentiva rivoltare lo stomaco; appena mangiato, infine, quasi subito doveva rimetterlo fuori.
Ebbene, quando le Superiore del monastero vollero mettere a dura prova la santità di suor Margherita Maria, decisero di far mangiare anche a lei il formaggio a tavola, quando si passava a tutta la comunità. A vedere il formaggio davanti, la Santa non fiatò, si fece una violenza incredibile, e mangiò il formaggio; dopo poco corse fuori del refettorio a rimettere tutto. Così durò non per una settimana o un mese, ma per otto anni!
La mortificazione della gola in santa Margherita arrivò al punto di lambire con la lingua il vomito di una consorella ammalata. La violenza che ella riusciva a imporsi non era inferiore a quella di coloro che affrontavano a fronte alta le fiere da cui dovevano essere sbranati.
Ma ci vuole un cuore gigante per battere gli stimoli del corpo, le ingordigie della carne e le voglie della gola.
Il nostro cuore è ingordo di ogni soddisfazione. E il vizio della golosità non è certamente l’ultimo a umiliare l’uomo, rendendolo schiavo di cose tanto meschine. Eva si lasciò sedurre da una mela che appariva «buona a mangiarsi, piacevole all’occhio, desiderabile…» (Gn 3,6).
Esaù arrivò a vendersi la primogenitura per un piatto di lenticchie (Gn 25,29-34). Quanti uomini perdono ogni dignità abbandonandosi al vino fino all’ubriachezza?
L’intrepida Giuditta con il digiuno e con la preghiera si preparò a battere il terribile Oloferne, che finì miseramente, perché dormiva ubriaco (Gdt 13,1-4).
«Siate sobri e vigilate», ci raccomanda san Pietro (1Pt 5,8). «La mortificazione della gola è l’abbiccì della perfezione », diceva san Vincenzo Ferreri. E, «vinta la gola – insegna san Gregorio Magno – si sottomettono facilmente molti altri vizi». Perché? Perché con il vizio della gola si alimentano la lussuria, l’accidia e la disonestà. Ed è per questo che non è facile debellare l’ingordigia del nostro cuore. Anzi! «Che cosa vi è di più insaziabile della gola?… – si chiede sant’Ambrogio – Quando è sazia pensa alla moderazione; ma quando ritorna lo stimolo, essa congeda tutte le virtù».
Il Cuore divino di Gesù così sobrio e così nobile, voglia liberare il nostro cuore dalle pastoie dell’ingordigia, per farci vivere soprattutto «di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Proposito: Fare una mortificazione a tavola.